Il nostro Speciale Tsunami-Italiani si sta ormai per concludere, ma nel corso del nostro lavoro di studio, approfondimento e ricerca sono emersi alcuni dettagli particolari su cui abbiamo voluto soffermare tutte le nostre attenzioni.
Il capitolo dedicato agli tsunami Italiani del ‘900 ci ha spinto a parlare del “mistero di Vela Luka” facendoci “scoprire” l’esistenza dei Meteo-Tsunami, cioè (detto in parole povere) di maremoti provocati dalle condizioni meteorologiche avverse.
Un fenomeno davvero affascinante e poco conosciuto, anche se sempre più frequente nei mari del mondo, del Mediterraneo e anche dell’Italia.
E allora scopriamone tutti i dettagli grazie al lavoro dello staff della Redazione di MeteoWeb e in modo particolare di Daniele Ingemi e del geologo Giampiero Petrucci, la cui validissima collaborazione è stata alla base del lavoro sugli Tsunami-Italiani.
Tsunami “anomali”. Generalmente gli tsunami sono originati da forti terremoti o grandi frane sottomarine, talora da vulcani e raramente perfino da meteoriti. In più di un’occasione (per esempio anche nello Stretto di Messina nel 1908) queste cause interagiscono. Ma, come dimostrato recentemente da alcuni studi specifici, esistono però altre onde anomale ed analoghe agli tsunami, prodotte dall’improvvisa insorgenza di intensi fenomeni atmosferici. Tali fenomeni, più frequenti di quanto si possa credere, prendono il nome di “meteotsunami” o “tsunami meteorologici”. In realtà, in prima battuta, il termine “tsunami” potrebbe sembrare un po’ improprio, visto che con questa parola in genere si indica una “grande perturbazione sottomarina” di origine tellurica, franosa od eruttiva. Ma per il momento questa definizione può essere accettata, anche perché le similitudini tra i vari fenomeni sono parecchie. I “meteotsunami” dunque sono gli ultimi arrivati nella famiglia dei maremoti, una sorta di ultima generazione tra le onde anomale: essendo ancora poco noti, meritano un approfondimento.
Origine. I meteotsunami, solitamente, si verificano solo in determinate situazioni e quando vanno a sommarsi una lunga e complessa serie di fattori. Fondamentale è il passaggio di grandi turbolenze, associate ad onde atmosferiche di gravità che si trasmettono nei medi e bassi strati della troposfera. Senza queste particolari “disturbance” atmosferiche il fenomeno non potrà mai formarsi e svilupparsi. Sovente queste grandi turbolenze atmosferiche sono indotte da consistenti perturbazioni annesse a linee di groppi temporaleschi, fronti freddi e sistemi convettivi che esplodono rapidamente nella media-bassa troposfera producendo brusche variazioni della pressione atmosferica in mare aperto o in mezzo all’oceano. Questi repentini sbalzi di pressione spesso riescono a generare delle cosiddette “onde barotropiche” le quali, attraverso complessi meccanismi di risonanza, trasmettono l’energia dall’atmosfera al mare.
Per ottimizzare questo passaggio, è necessario che la velocità di propagazione del fronte atmosferico sia analoga a quella di spostamento del moto ondoso che tende a distendersi verso le aree costiere, esaltando ulteriormente il fenomeno. Inoltre si devono avere dei venti molto forti nell’alta troposfera, quasi sempre da sud ovest (dove si inseriscono le onde gravitazionali), davanti a una profonda depressione in spostamento da ovest ad est. Nei bassi strati invece le correnti devono rimanere piuttosto deboli, favorendo l’avvento delle turbolenze nella bassa troposfera. A questo punto entrano in gioco la batimetria e la morfologia della costa: laddove i fondali marini si impennano bruscamente e il litorale è costituito da baie strette e lunghe (in gergo scientifico significa “alto fattore Q”), si ha ulteriore risonanza e l’onda si espande, diventando minacciosa e distruttiva. Effetti ancora più dannosi si esplicano quando la direzione di propagazione della “disturbance” atmosferica è coincidente con la direzione di allungamento della baia: più le due direzioni sono equivalenti, più forte è il fenomeno. Dunque, un insieme concomitante di parecchi fattori: da qui la rarità dell’evento e la difficoltà di identificazione. Anche perché gli effetti e le caratteristiche di sviluppo dei meteotsunami sono del tutto simili a quelli degli tsunami propriamente detti: i periodi delle onde e le proprietà dinamiche sono sostanzialmente uguali; molte volte si assiste al ritiro del mare, fino a lasciare scoperto il fondale, prima del loro arrivo violento sulla costa. Da questo si evince come, pur differenziandosi per l’origine con i maremoti più tipici, meritino l’appellativo di meteotsunami: vediamo quali sono i luoghi del mondo dove si esplicano con maggiore frequenza.
In Italia. Nel nostro paese la zona dove il fenomeno è più comune è la Sicilia, in particolare il trapanese e Mazara del Vallo il cui porto, associato al fiume Mazaro, possiede un alto “fattore Q”: qui si verifica spesso, praticamente ogni anno, il cosiddetto Marrobbio. E’ originato da un forte squilibrio di pressione o da un forte vento trasversale, come un intenso Libeccio o un impetuoso vento di Ponente (meglio un O-SO), che batte la parte più alta del Canale di Sicilia, determinando un brusco innalzamento del livello delle acque lungo la riva siciliana e un contemporaneo abbassamento sulla riva opposta tunisina. Quando il vento si attenua, cessata l’azione perturbatrice, la massa d’acqua, prima di assestarsi, subisce una serie di grandi oscillazioni stazionarie che possono raggiungere altezze considerevoli, al punto da innescare grandi ondate che vanno ad abbattersi di colpo lungo la costa, con il rischio di inondazioni e allagamenti pure lungo le zone più ridossate. Spesso, a seguito del “marrobbio” a Mazara del Vallo le barche in porto vengono sbattute e le infrastrutture subiscono danni più o meno ingenti, con onde che raggiungono altezze anche superiori al metro. Dunque, anche nel nostro paese esistono meteotsunami.
Grandi Laghi Americani. Ma simili fenomeni si sviluppano dappertutto sul nostro pianeta. Il meteotsunami che ha causato più vittime umane è probabilmente quello di Chicago del 26 Giugno 1954. Quel giorno, un sabato, una forte perturbazione si sviluppò nel mezzo del Lago Michigan, generando (per risonanza) onde che raggiunsero la sponda orientale del lago, nello stato dell’Indiana, nei pressi di Michigan City, senza però creare gravi danni. Queste onde, alte poco più di un metro, “rimbalzarono” contro la sponda e, per riflessione, proseguirono la loro corsa verso la parte opposta del lago. Viaggiando ad una velocità di circa 50 km/h (molto più bassa dunque di uno tsunami vero e proprio), videro la loro altezza raddoppiare per effetto della batimetria dei fondali e per l’ulteriore risonanza tra le onde e la costa. Alle 9.30 raggiunsero, totalmente inattese, la spiaggia ed il molo di North Avenue Beach a Chicago: numerosi pescatori e turisti vennero travolti dall’onda alta quasi tre metri. Otto persone morirono annegate. Fu certamente l’evento più potente degli ultimi 60 anni nei Grandi Laghi americani, spesso teatro di questi fenomeni sia pure a scala minore.
Ciutadella. Il luogo però dove i meteotsunami sono più noti e studiati è Ciutadella, nell’isola di Minorca, nelle Baleari. La baia sembra fatta apposta per esaltare gli effetti del fenomeno: lunga un km e larga 100 metri, profondità sui 5 metri. Come si dice in gergo scientifico, un “fattore Q” di primo livello. Quando a ciò si aggiunge una marea di qualche decimetro e soprattutto una perturbazione che arriva con direzione E-W (la stessa in cui è allungata la baia), abbiamo le condizioni ideali per lo sviluppo del meteotsunami. Come il 15 giugno 2006 quando dapprima il mare si ritirò, lasciando il porto praticamente asciutto e poi tornò con violenza, con onde alte almeno 5 metri: una cinquantina le barche distrutte. Eventi analoghi si svilupparono nel 1984, nel 1989 e nel 1998. Proprio per questa periodicità, qualche autore suole indicare i meteotsunami col termine di rissaga, vocabolo che indica appunto il fenomeno nell’idioma locale delle Baleari.
L’abiki. In Giappone invece si usa il termine abiki. E’ Nagasaki, città che nel 1945 subì l’onta della bomba atomica, a rappresentare il luogo preferito sul suolo nipponico dai meteotsunami che vi si sviluppano con una certa regolarità anche se con effetti raramente disastrosi. Nuovamente colpa, per così dire, della conformazione della baia, larga circa un km e lunga sei km, profonda una ventina di metri e posizionata in direzione Nord-Sud. L’evento del 31 Marzo 1979 rappresenta un po’ il paradigma dello sviluppo di un meteotsunami. Una perturbazione originatasi nel Mar della Cina e viaggiante alla velocità di 31 m/s si dirige direttamente verso la baia di Nagasaki, percorrendo quasi 300 km. Le onde generate in mare aperto sono di pochi centimetri, ma avvicinandosi alla costa, causa lo shoaling e la risonanza, il loro run-up aumenta: all’ingresso della baia infatti sono alte 1.3 metri. Ma il forte “fattore Q” del porto di Nagasaki amplifica a dismisura il fenomeno: le onde si alzano ancora e piombano sulla costa con un’altezza di 4.8 metri. Numerosi i danni alle infrastrutture e 3 anziane donne periscono.
Adriatico. Ma anche l’Adriatico sembra mare privilegiato per i meteotsunami che vi si esplicano con regolarità e violenza. In particolare sulla costa dalmata, in Croazia, il fenomeno è noto e ben studiato grazie ad un team di scienziati tra cui spicca l’oceanografo Ivica Vilibic, particolarmente attivo negli ultimi anni. Come già descritto in un altro articolo, il meteotsunami più noto dell’Adriatico si sviluppò nel 1978 a Vela Luka, con onde alte fino a sei metri e interessò pure le nostre coste, da Giulianova a Bari. Il 27 Giugno 2003 invece tocca a Stari Grad e Mali Ston, due cittadine dalmate poste alla fine di una baia allungata in direzione NordOvest-SudEst, con onde che raggiungono i 3 metri di altezza: si segnalano danni a diversi negozi ed infrastrutture sul litorale. Il 22 Agosto 2007 analogo fenomeno si registra a Siroka Bay, sull’isola di Ist, con onde di 4 metri e parecchi danni sui viali a mare ed a barche ormeggiate: da segnalare la particolarità che il mare dapprima si ritira, lasciando praticamente asciutto il porto. Il 15 Agosto 2008, in piena stagione turistica, è la volta di Mali Losinj, con onde di 2 metri. Infine l’ultimo episodio registrato è del 19 Febbraio 2010, ancora a Stari Grad dove viene allagato il viale a mare, con alcune auto e container trascinati dalla furia delle acque. Dunque il litorale della Dalmazia sembra particolarmente soggetto a questi fenomeni che, se violenti come nel 1978, possono svilupparsi eventualmente pure sul nostro lato dell’Adriatico, sia pure in maniera più limitata.
Regno Unito. L’ultimo meteotsunami accertato di cui si ha notizia risale al 27 Giugno 2011. Protagonista la Manica e l’Inghilterra, in particolare la costa tra Penzance e Portsmouth, circa 200 km di litorale. Dopo un breve ritiro, il mare torna sulla costa ma non con grande violenza e con altezze non superiori al metro, comunque ben avvertibile dalla popolazione e dalle barche che subiscono lievi danni. Fortunatamente, il fenomeno non viene associato a maree di grandi dimensioni altrimenti avrebbe potuto provocare conseguenze più gravi. L’aspetto sorprendente di questo evento è che non appare limitato geograficamente: anomalie del livello marino si segnalano infatti anche sulle coste francesi, ma non soltanto nel Canale della Manica. Addirittura variazioni, sia pur decimetriche, raggiungono perfino la Biscaglia, a 600 km di distanza. Dunque, anche i meteotsunami possono propagarsi su distanze considerevoli. La Gran Bretagna comunque non è nuova a fenomeni di questo genere, ben noti anche in Scozia e Galles. Il 20 Luglio 1929 è accertato, come riportato pure dai principali quotidiani dell’epoca, un meteotsunami che colpisce violentemente, con onde alte fino a 6 metri, la costa tra Folkestone e Brighton: onde apparentemente “venute dal nulla” (frase che descrive perfettamente il fenomeno), con mare sostanzialmente calmo, provocano tre morti. Per questo nel Regno Unito ed in Irlanda i meteotsunami vengono identificati anche col termine death waves ovvero “onde della morte”.
Resto del mondo. Tutti i mari del mondo dunque sembrano potenzialmente soggetti ai meteotsunami che in effetti si segnalano ogni dove. In Cina il porto di Longkou, sul Mar Giallo, ha subìto onde fino a 3 metri. In Nuova Zelanda si segnalano fenomeni con onde che si originano in pieno Pacifico e percorrono centinaia di km prima di scaricarsi sulle coste. A Taiwan si sono verificati tre meteotsunami tra il Gennaio 2008 ed il Marzo 2009, correlati al monsone. Nell’India sud-occidentale, sulla costa dello stato di Kerala (Morjim e Baga le città più colpite), si registrano quasi ogni anno (nel 2011 è accaduto a Marzo) eventi chiamati in gergo locale kallakkadal, con onde alte fino a 7 metri, particolarmente violenti con la luna piena e certamente connessi a fenomeni meteorologici. Nel Baltico queste onde anomale prendono il nome di Seebar e sono particolarmente presenti in Finlandia. A Malta si chiamano milghuba. Altre zone del mondo in cui gli “tsunami meteorologici” si sono verificati negli ultimi 10-15 anni sono il porto di Rotterdam (Olanda), lo stato canadese del British Columbia (sul Pacifico) ed il Western Australia, sempre in luoghi caratterizzati da baie strette e lunghe, condizione morfologica che rappresenta una conditio sine qua non per lo sviluppo del fenomeno.
La sfida. Dunque i meteotsunami sembrano più comuni di quanto si pensasse soltanto una decina di anni fa, anche perché il loro studio sta progredendo costantemente e rapidamente. Rappresentano probabilmente una tra le sfide più intriganti per gli scienziati del secondo millennio: come abbiamo visto, pur sviluppandosi con caratteristiche similari agli tsunami propriamente detti, si differenziano sostanzialmente per la loro origine. Proprio da questo, dagli aspetti più prevedibili delle cause che li scatenano, nasce una consapevolezza fondamentale: possono essere previsti con leggero anticipo grazie alla meteorologia e ad un buon sistema di monitoraggio. Gli studi sono ancora in corso ma sembrano bene avviati: la prevenzione (e quindi la salvaguardia della vita umana) in questo caso pare possibile. Mai come stavolta possiamo imparare dal passato ed affidarci fiduciosamente alla scienza.
BIBILIOGRAFIA E FONTI PRINCIPALI
- Jansa A., Montserrat S., Gomis D., The Rissaga of 15 June 2006 in Ciutadella (Menorca), a Meteorological Tsunami, Adv. Geosci., 12-14, 2007
- Montserrat S., Vilibic I., Rabinovich A.B., Meteotsunamis: Atmospherically Induced Destructive Ocean Waves in the Tsunami Frequency Band, Natural Hazards Earth Syst. Sci., 6, 1035-1051, 2006
- Orlic M., About a Possible Occurrence of the Proudman Resonance in the Adriatic, Thalassia Jugoslavia 16 (1), 79-88, 1980
- Rabinovich A., Vilibic I. Tinti S., Meteorological Tsunamis: Atmospherically Induced Destructive Ocean Waves in the Tsunamis Frequency Band, Phys. Chem. Earth, 2009
- Sepic J. e Vilibic I., The Development and Implementation of a Real-Time Meteotsunami Warning Network for the Adriatic Sea, Nat. Hazards Earth Syst. Sci, 11. 83.91, 2011
- Vilibic I., Sepic J., Destructive Meteotsunamis along the Eastern Adriatic Coast: Overview, Phys. Chem. Earth, 34, 904-917, 2009
- Vucetic T., Vilibic I., Tinti S., Maramai A., The Great Adriatic Flood of 21 June 1978 Thirty Years Later: An Overview of the Existing Reports, Phys. Chem. Earth, 34, 894-903, 2009