Apriamo gli occhi: la Terra non è il baricentro geometrico dell’immenso Universo e alla stessa stregua non è il baricentro della vita. L’esistenza dell’uomo non la fa diversa dagli altri possibili mondi abitabili. E’ come se vivendo in Europa, pensassimo che al di là dell’oceano inesplorato non può esserci vita intelligente pari alla nostra. Invece ci accorgiamo che sul pianeta Terra la vita è dovunque….e direi tutta intelligente, sempre in bilico tra sopravvivenza e coesistenza, a domandarsi come. Vita intelligente, tutta dotata di gradi libertà e scelta; capace di adattarsi, in un processo evolutivo che dai primordi è giunta fino a noi. La nostra superiorità di specie trova origine nella nostra migliore capacità organizzativa, ma se ci pensate ciò è solo un fatto contingente e occasionale: non esiste uno più e uno meno, ma una serie di esistenze in una scala variabile nel tempo e nello spazio. Alla base, che si stia in fondo ad un oceano o in cima a una montagna, sulla terra o in un qualunque altro posto dell’Universo, ci sono in comune le regole biologiche dell’esistenza: una coessenza a vari livelli di individualismo e coesistenza, amore ed odio, istinto e ragione; e nella ragione s’aprono l’enorme inspiegato e le domande del tutto, dentro cui affondano i nostri sentimenti e lo sguardo all’infinito. Resistenze culturali di vario genere, soprattutto religioso, impediscono ancora oggi un approccio logico a questa problematica. Si preferisce ragionare per assunti, ipotizzando che l’universo è homo-centrico, e si mette il carro davanti ai buoi, anziché riflettere e ragionare sulle evidenze, da cui far discendere le conseguenti valutazioni filosofiche ed esistenziali. E così si smonta qualsiasi dato scientifico che porta ad una “teoria” anziché ad un “teorema”, anche se esiste una loro evidente e plurima convergenza; e così ad esempio si critica la teoria dell’evoluzione e quant’altro non visibile, non misurabile, non ripetibile. Seguendo tale concetto dovremmo dire che sono vere solo le scienze esatte e sperimentali, mentre le scienze naturali, basate sulla osservazione e che sono alla base di tante conquiste del pensiero, sono tutte fallaci….. finchè non si osserva un neutrino che va più veloce della luce e ci si domanda se mai esistono due oggetti eguali e ripetibili, o se tutto è vero nella cornice temporale che ci siamo creati, e sempre a meno di qualcosa; quel qualcosa dove si annidano i nostri pensieri e i nostri dilemmi. E così è più facile dire “a grandi affermazioni..grandi prove”, mentre dovrebbe essere il contrario perché la grande (ed assurda) affermazione è supporre che siamo soli e al centro dell’Universo. Ma quali sono le evidenze? Quali i dati raccolti e le più recenti osservazioni sulla esistenza di vita extraterrestre? E’ da più di settanta anni che si parla delle molecole organiche ritrovate su alcune meteoriti e si è discusso molto se era di natura biologica o chimica; poi, con la scoperta del DNA, ci si è posti il problema se il contenuto genico era frutto di contaminazione terrestre. Nuovi dati e osservazioni si sono susseguiti nel tempo, insieme a vivaci discussioni scientifiche sui pro e sui contro. Un lungo percorso che si snoda attraverso alcuni momenti fondamentali che è opportuno richiamare:
1) I risultati di Hoover nel 2011 (4) sulla presenza indigena (non da inquinamento) di cianobatteri in alcune particolari meteoriti (le cosiddette condriti carboniose, ricche in acqua ed idrocarburi) di diversa provenienza;ritrovamenti posti all’attenzione di tutto il mondo scientifico, con l’invito – ampiamente disatteso – alla verifica e al confronto.
I nostri studi sulle morfologie di Marte e sulle immagini (microscopicImagery “MI” ) riprese dal microscopio (MI) dei rovers.
Dal 2004 sono due piccoli robot semoventi, dotati di macchine fotografiche e di vari strumenti, stanno girando su Marte e raccogliendo immagini ravvicinate del suolo. Una di queste macchine è costituita da un camera fotografica (Atena), montata su un braccio meccanico corredato da disco di abrasione per la pulizia delle superfici della roccia, e che riprende, comandata da terra, immagini in b/n del terreno a forte ingrandimento (inquadra un campo di 32 millimetri) e ad alta risoluzione (40 millesimi di millimetro o “micron”). Le migliaia di immagini sino ad oggi riprese sono contrassegnate con il giorno marziano (sol) a partire dalla data di atterraggio e si possono consultare e scaricare dal sito internet http://marsrovers.jpl.nasa.gov/gallery. Su di esse si apprezzano molto bene i corpi e le strutture superiori ad 1/10 di mm, ma si possono anche apprezzare a discreti ingrandimenti (200-300%) anche oggetti più piccoli, per quanto un po’ sfocati, fino a dimensioni di 50-60micron. Le informazioni che si ottengono riguardano la microstruttura dei sedimenti e possono aiutare a comprendere la genesi di questi ultimi. Parimenti, nello stesso sito web sono presenti numerose immagini riprese da altre macchine fotografiche e su campi visuali diversi, che mostrano l’area circostante ai rovers e, soprattutto, con la possibilità di poter osservare anche le strutture/tessiture degli affioramenti a diversa scala (figura 4).
Le immagini, corredate – a tratti-da indagini sui componenti chimici delle rocce (i rovers sono dotati di due spettrometri di massa), mostrano un territorio pianeggiante, costituito da dune scure che a tratti si squarciano mostrando un substrato di rocce chiare e fittamente laminate (con lamine submillimetriche; figura 5). Due depositi, quello delle dune e quello che forma il substrato, che denotano due momenti geologici e deposizionali nettamente diversi: le dune come conseguenza di un ambiente arido, quello attuale, di ambiente subaereo e poco dinamico, che si è arricchito dei componenti scuri del substrato (i componenti ferrosi e magnesiaci, che essendo più resistenti all’alterazione si accumulano nel tempo); le rocce biancastre fittamente laminate, costituite essenzialmente da solfati, dove le sottili lamine rappresentano la conseguenza di un ambiente idrodinamico estremamente “tranquillo”e che si sono deposti in un ambiente marino saturo e asfittico. Sulla Terra sedimenti fittamente laminati si formano all’interno di laghi, e le strutture si chiamano Varve; oppure si formano in ambienti marini asfittici e salini, di bacini chiusi e tranquilli , come le Diatomiti, note anche con il nome di Tripoli; l’alternanza di questi sottilissimi strati è dovuta alle variazioni stagionali (figura 5. Altra possibile genesi, come descritto più avanti, è quella collegata all’attività periodica di colonie batteriche biomineralizzanti). Insomma due momenti di una stessa fine: uno immerso in acqua e l’altro subaereo; entrambi testimonianti la tranquilla morte (priva di moti e di tempeste), rapida e progressiva, del pianeta Marte. Acqua, che a dispetto delle leggi fisiche che non la vorrebbero possibile in superficie a causa della bassissima pressione atmosferica (la figura 6 mostra come a quella pressione si passi ghiaccio passi direttamente a vapore), in realtà si può a tratti apprezzareper brevi tratti e affiorante da emissioni sorgentizie lungo precisi contatti idrogeologici (figura 7).
E’ stato recentemente rilevato dalle sonde spaziali orbitanti attorno a Marte che il sottosuolo è saturo di acqua o ghiaccio, per diversi chilometri. Cosa che era già evidentedalle tracce morfologiche in superficie, per la presenza talora di materiale fluitato attorno ai crateri di impatto (figura 8), per la diffusa evidenza di processi di filtrazione profonda (figura 9), così come sono diffuse le frane per liquefazione di base (figura 10) e i collassi in cavità (figura 11; cavità generatesia perdissoluzione di sali che per migrazione di particelle, a causa dell’acqua circolante). Un pianeta, dunque, che per aver perso la sua pressione atmosferica, si è progressivamente raffreddato ed asciugato in superficie, ma che sotto contiene ancora falde acquifere e i resti dei suoi mari originari (figura 12). Si tratterà forse di un grosso impatto con un asteroide che ha modificato la sua orbita attorno al sole? Che ha dato luogo alla differenza tra emisfero Sud e Nord? che ha fatto schizzar via un pezzo della sua litosfera posizionandola in orbita (i suoi satelliti)? che ha distrutto il nucleo e la sua gravità, tale da far sfuggire l’atmosfera? Sono solo ipotesi e congetture. Certo è che il pianeta Marte ha subito un recente e grosso trauma idrogeologico che ha interessato buona parte della sua superficie; evidenze morfologiche indicano che grandi quantità di acqua sono fluitate all’improvviso (due possibili ipotesi: per scioglimento di ghiacci a seguito di uno stress termico; o per grandissime masse d’acqua rapidamente evaporate e poi precipitate, così come avviene dopo una eruzione vulcanica). Si vede infatti che gran parte della superficie del pianeta è coperta da colate di fango, straripate da canali o fluitate su ampie superfici e –soprattutto- fuori da incisioni preesistenti (figura 13).
Anzitutto le lamine e le sferule, ovunque diffuse nei sedimenti del substrato(figura 15), lungo tutto il tragitto del roverOpportrunity. Le lamine sono sempre sub-millimetriche e non mostrano grandi variazioni di spessore(figura 16); una uniformità delle sequenze che è indice di un ambiente di sedimentazione stabile e poco perturbato (oppure di una attività biologica che è generalmente molto regolare e legata alla illuminazione giornaliera, o circadiana). Tuttavia in alcuni casi la struttura laminare è più marcata che altrove e, a guardarle a forte ingrandimento, talora si nota che la sequenza è costituita da una alternanza di un libello granulare scuro (LB) e di uno scheletrico chiaro (LA), laddove si osserva un bordo segmentato/merlato, derivante da una struttura di basesubcircolare(figura17). A tratti poi, mostrano curvature e ondulazioni a carico anche di una sola lamina (disarmoniche), talora associate a convergenze e sovrapposizioni, che sono in contrasto con i principi di una sedimentazione inorganica; proprio perché a carco di una sola lamina e che non possono essere ascritte rispettivamente a convoluzioni o a forme di stratificazione incrociata o a che invece interessano pacchi di lamine (figura 18).Le sferule sono contenute all’interno dei sedimenti quasi sempre in modo caotico (figure 15 e 19). Le stesse hanno dimensione di qualche millimetro (in genere non più di 5mm;esse hanno colpito subito l’attenzione dei ricercatori, e sia per la loro forma che per il loro colore sono state chiamate mirtilli o “blueberry”).
E’ stato visto che esse sono composte da ematite, e per tale ragione è stato detto che devono essersi quindi formate in presenza di acqua. Le blueberries, poiché più resistenti alle intemperie dei solubili solfati di cui sono composte la lamine che le contengono, coprono estesamente anche la superficie del suolo marziano, dove rappresentano il prodotto residuale prevalente dei processi di alterazione (figura 19); ma non solo. A tratti la struttura a sferule sembra il motivo dominante, di cui sono costituite anche le lamine: sferule, forse non di ematite ma del materiale stesso delle lamine (a guardare le sagome e il colore; figure 20 e 21). Quindi tutte sferule e lamine; rispettivamente ematite e solfati. Normali rocce evaporitiche ricche in ferro. Sembrerebbe tutto normale, ma non è così, perché sulla terra si trovano i gessi ma non con così tante e curiose sferule di ferro. Inoltre, a guardare attentamente e a forte ingrandimento, si può osservare che in realtà tutti gli ammassi di questi affioramenti laminati, le blueberries e le stesse lamine sono costituite da altre sferule molto più piccole (microsferulecon dimensioni di 1-2/10 di mm) e disposte in strutture “a fiore”, con una sferetta centrale a diversa tonalità (struttura SB dellefigure 17, 22-23) e che può essere organizzata in fasci (figura 22) o in piani (figura 23), a costituire le lamine delle successioni in affioramento; o ancora sistemi spaziali (SSB), di cui sembrerebbero essere costituite anche le sferule (figura 24). Nelle lamine la struttura “a fiore” è piana a costituire una rete di esiguo spessore; i bordi delle lamine sono segmentati per la presenzadi sequenze di microsferule, che costituiscono i margini delle predette strutture (figure17 e 23 ). In questo quadro elemento di un certo interesse appare anche la presenza di film traslucidi, anch’essi costituiti da una rete di microsferuleinterconnesse (figure 23, 25-27), e che sembrano a tratti mineralizzare in sostanza biancastra “per punti” o per “superfici parziali” (figura 28).
Tutte sferule, quindi, con dimensioni estremamente variabili, dalle minime apprezzabili – al limite della risoluzione- prosegue sino a quelle più grandi e alle stesse blueberry;in un sistema di matriosche che, mostrando a tratti un chiaro assetto polisferico e/o policentrico, da luogo ad aggregazioni successive e via via più complesse. Sferule e polisferule che a una struttura complessa associano una morfologia complessa. Si osservano così sferule dalla cui superficie emergono altre sferule poste su centri di sviluppo diversi, oppure corpipolisfericiche a volte possono spiralati e gradualmente crescenti (figura29), dando luogo a strutture più complesse. In altri casi è stato osservatoche le microsferule sono aggregate in filamenti, lineari o curvilinei (serpentiformi), a geometrie crescenti e talora spiralate,oppure aggregate in modo informe (figure 30 -33). Le strutture filamentose possono essere isolate o in molti casi assumere un aspetto intrecciato a costituire il “motivo tessiturale” dell’affioramento, di cui si apprezzano le caratteristiche sebbene a forte ingrandimento e al limite della risoluzione. Queste ultime strutture sono molto interessanti e, come vedremo,hanno stringenti paralleli con lestromatoliti terrestri. Tutte queste aggregazioni non sono ripetitive e sono sicuramente di natura “mineralica” (non sono strutture di vita autonoma). Tuttavia,in taluni casi sono veramente curiose e appaiono incongruenti con unodei principi fondamentali della sedimentologia, secondo cui la crescita dei sedimenti avviene sempre a partire dalla superficie esterna (principio di Lyell). Ci si riferisce, in particolare,alle già citate strutture a “filamenti intrecciati” ; ma ancheai fenomeni di “crescita interna” e alle deformazioni espansive delle sferule e/o delle strutture immediatamente vicine che sembrerebbero osservarsi/dedursi in qualche caso (figure34 e 35). Fenomeni, questi, che per essere relegati al mondo inorganico, dovrebbero essere diagenetici, ovvero relegati a processi successivialla formazione dei corpi sedimentari;ad esempio a seguito di trasformazioni chimico-mineralogiche associate a variazioni di volume (displasive); inoltre, per giustificare l’espulsione (oltretutto eccentrica ed eccessiva) di una microsferulada una sferula più grande, quella che si vede nellafigura 34,occorre ipotizzare che la composizione delle sferule possa essere diversa nel passaggio tra la parte interna e quella esterna. Analogamente occorre pensare che a strutture simili si debbano associare composizioni chimiche differenti; tali da giustificare ad esempioi fenomeni di crescitaosservati nelle strutture a fiore che circondano la sferula al centro di figura 34).
Così come colpisce il contrasto tra le immagini a destra di figura 35 (dove le più resistenti blueberries costituite da ematite sono ovviamente in risalto rispetto ai gessi) in confronto a quelle a sinistra della stessa figura dove le sferule sono coperte si raccordano con il materiale che li contiene in modo convesso anziché concavo (si tratta di materiale neoformazionale o si tratta di materiale deformato dall’aumento di volume delle sferule stesse?). Anomalie, tutte queste, che possono anche trovare altre spiegazioni (es: attività batterica associata a formazione di gas difermentazione o ad un aumento del volume biomineralizzato). A partire da questa ipotesi, e per spiegare le diverse conformazioni delle blueberries, sono state delineate due possibili e talora concomitanti modalità di crescita delle blueberry: per avvolgimento (a spirale o concentrico) di piani di microsferule (le strutture a fiore, indicate con SB nelle figure 22 e 23) o per crescita di strutture policentriche (indicate con SSB in figura 24). Tutte Ipotesi che in realtà sono da considerare come una forzatura alquanto spinta, volta a giustificare fenomeni altrimenti difficilmente spiegabili, e soprattutto sostenuta dall’idea di una possibile attività biogenica. Quel che sicuramente ci appare più interessante, a parte le ipotesi, è che tutte queste strutture costituite da aggregazioni di microsferule, di cui si apprezza l’esistenza fino ai limiti della risoluzione, (i filamenti, le lamine, le polisferule e le blueberries, i films, etc..)trovano indubbi paralleli nell’ambito delle formazioni geologiche formatesi sulla Terra sin dai primordi a seguito dell’attivitàbatterica, e note con il nome diStromatoliti. Numerosi sono i batteri biomineralizzanti, ma ciò che va rilevato è che la precipitazione dell’ematite (sesquiossido di ferro, Fe2O3) è favorita dai processi di ossidazione in ambiente riducente (es: ricco di solfuri), così come è stato osservato e spiegato per la formazione delle sferule ematitiche sulla terra (note anche come moqui e sfere degli sciamani)….e i cianobatteri sono un particolare tipo di batteri che grazie alla fotosintesi trasformano l’anidride carbonica in ossigeno, favorendo in tal modo la precipitazione del ferro in forma di ematite sulla loro superficie; mentre in ambiente ossidante possono portare alla formazione di carbonato di calcio.
E’ interessante notare come talora tali batteri, costituiti da moltissime tipologie, danno luogo a microsferule di qualche micron (millesimo di mm), che si aggregano fra di loro a formare filamenti, e i quali a loro volta si dispongono nuovamente in assetti concentrici a costituire sferule più grandi biomineralizzate, osservabili ad occhio nudo e note come ooliti o oncoliti(figura 36). Insomma, anche qui un sistema di matriosche che è stato riprodotto in laboratorio e perfettamente documentato da Brehmen (14). Le analogie morfologiche tra taluni batteri, i loro prodotti più grandi e le sferule ematitiche sia terrestri che marziane è notevole (figura 37) e l’ipotesi che possano essersi formate allo stesso modo è stata ipotizzata da diversi ricercatori. E’ interessante notare come anche che i più antichi depositi di ferro della terra, che si sono formati in un ambiente molto diverso dall’attuale e simile a quello marziano, noti come “BandedIronFormation” (BIF), altro non sono che stromatoliti; dove quel “banded” sta per lamine submillimetriche, ovvero lamine prodotte dai cianobatteri.Il sistema laminato stromatolitico, che vada a costituire piccoli corpi sferoidali (ooliti o oncoliti) o lamine di una vasta sequenza sedimentaria in affioramento, nasce dalla diversa attività fotosintetica dei batteri in rapporto alle variazioni giornaliere della luce (attività circadiana; figura 38); più c’è luce e più si sviluppano, cambiando il rapporto tra prodotti batterici (filamenti di microsferule, biogenici) e depositi fisico-ambientali (granelli o precipitati, abiogenici).
A voi le conclusioni, perché gli occhi – soprattutto quelli della mente – sono di tutti e tutti possono vedere, tranne gli scettici per natura, quelli che come San Tommaso vogliono prima toccare con mano, attraverso quei sofisticati strumenti che caratterizzano la scienza prettamente tecnologica anziché appartenere al dominio dell’intuito e della mente.
Link utili
http://en.wikipedia.org/wiki/Viking
http://www.solstation.com/life/marslife.htm
http://www.amazon.com/Untold-Truth-Viking-Mission-Found/dp/B004GOBVWW
http://www.nature.com/nature/journal/v322/n6079/abs/322509a0.html
http://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/Ce-vita-su-Marte
http://subitotechs.com/2011/08/15/nasa-dna-meteoriti-alieni-16161/
http://www.time.com/time/health/article/0,8599,2087758,00.html
http://www.pnas.org/content/early/2011/08/10/1106493108
http://www.astrobiology.cf.ac.uk/cultured.html
Testi citati
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(12) Rizzo , V. &Cantasano, N. (2009). Esiste vita su Marte? http://www.scienzeinrete.it.
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