La signorina Jocelyne Campbell, nell’estate del 1967, era di guardia al radiotelescopio di Cambridge dotato di una nuova antenna. Il solito lavoro quotidiano: per la millesima volta l’equipe di ricerca del dott. Anthony Hewish esplorava il cielo d’Inghilterra. La signorina Campbell ha un improvviso sussulto; il suo strumento ha captato uno strano segnale, sotto forma di impulso, e subito dopo un altro. Accorre l’equipe, si mettono tutti al lavoro. La cosa veniva da un certo punto del cielo, un punto ben preciso in rapporto alle stelle. Si fanno continue verifiche. Il segnale aveva indubbiamente l’aria di essere intelligente, ma il dott.Hewish non voleva rinnovare la dolorosa storia del suo collega il dottor Frank Drake, dell’Osservatorio di Green Bank, in Virginia. Questo studioso cercava delle emissioni extraterrestri, e ne aveva trovata una, che si era scoperto provenire da un umanissimo disturbatore di radar. Il suo progetto Ozma era stato abbandonato tra sorrisi di condiscendenza. Ma questa volta le osservazioni si ripetettero per dei mesi, confermando la scoperta. Il 24 Febbraio 1968 l’equipe Hewish pubblicava su Nature una comunicazione intitolata “Osservazione di una sorgente radio a impulsi rapidi”. Fino a quel momento l’equipe era a conoscenza di 4 di quelle trasmissioni, a cui aveva dato il nome di Pulsar. L’articolo gettò nello scompiglio il mondo scientifico. Da dove provenivano quelle trasmissioni? Chi le mandava? Tutti gli astronomi si misero al lavoro. Il dott. Drake aveva la sua rivincita per lo smacco di Ozma: ad Arecibo Puero Rio egli poteva usare il grandissimo radiotelescopio dell’università Carnell, che raccoglie le minime emissioni provenienti dallo spazio infinito, e che è in grado di analizzarle. La sorgente batte con il ritmo di un cuore umano. Ben presto ne furono individuati altri tre, di cui, uno, rapido col ritmo di danza africana. “Ci si potrebbe ballare con quel ritmo”, diceva ascoltandolo il dott. Drake, venerabile ricercatore con i capelli d’argento. Il mondo scientifico potè finalmente sapere qualcosa in più su quelle misteriose emissioni. Il primo batteva secondo un periodo di 1,34 secondi, con una variazione inferiore ad un secondo l’anno, talmente regolare da fare la concorrenza agli orogologi astronomici. Il suo spettro – la variazione della potenza secondo la frequenza – indicava un impulso modulato in modo complicatissimo, con segnali forti nelle alte frequenze e più deboli nelle frequenze radar. Cosa che aveva una somiglianza impressionante con le caratteristiche di emissioni lanciate attraverso gli spazi da esseri intelligenti.
Ma, innanzitutto, da dove provenivano? Da un punto lontano parecchie centinaia di anni luce. Ciò vuol dire che vi impiegava una potenza pari a un miliardo di volte la produzione elettrica di tutte le centrali terrestri. Dopo qualche mese senza che si facessero ulteriori scoperte, la stazione di Green Bank ne scopre un quinto, gli inglesi altri due alla stessa distanza dei primi quattro, altri due gli asustraliani. Adesso erano nove, sempre incomprensibili. Il decimo e l’undicesimo furono sentiti ad Arecibo, il dodicesimo in Australia. Ma il tredicesimo segnale complicò ogni cosa, perché una parte delle sue emissioni era assorbita da una nube di gas fluttuante a 14 mila anni luce dalla nostra galassia. Esso costringeva gli scienziati a mettere in dubbio l’esattezza dei loro calcoli che ponevano la sorgente a 600 anni luce. Le scoperte si moltiplicarono. Il prof. Hazard facendo degli esperimenti casalinghi con un radiotelescopio costato poche centinaia di migliaia di lire, trovò anche lui il suo pulsar. Questo scienziato studiò un elaboratore in grado, finalmente, di analizzare il segnale misterioso. Il mondo scientifico intanto si chiedeva chi fosse ad emettere quei segnali e le teorie si moltiplicavano. Pochi scienziati volevano ammettere pubblicamente che si trattassero di segnali nati da un’attività intelligente, ma in privato le cose erano ben differenti. Cominciarono i primi dibattiti sugli omini verdi extraterrestri supercivilizzati, i quali speravano probabilmente di mettersi in contatto con altri mondi nell’universo. Ma la potenza dei segnali era notevole, forse troppo anche per una civiltà progredita. Qualcuno si oppose affermando che qualche anno prima si ipotizzò che ciò che è più pesante dell’aria non avrebbe mai potuto volare e che quindi non si sarebbe mai potuto costruire un razzo in grado di sollevarsi nello spazio. E sappiamo bene quanto siano stati smentiti. Se poi questo mondo avesse individuato il pianeta esatto nella nostra Terra, non avrebbe nemmeno dovuto utilizzare tutta quella energia. Nel frattempo le ricerche continuano. Altri indizi possono ancora essere spiegati con la teoria degli ometti verdi.
Fu il professor Thomas Gold, viennese, con studi a Cambridge, che ha elaborato la storia delle stelle di neutroni che girano su se stesse. Lo scienziato, membro della NASA, ricevette molte critiche, ma in realtà ci aveva visto giusto. Con la scoperta della Pulsar nella nebulosa del Granchio vennero smentite finalmente tutte le teorie degli omini verdi, e divenne ben chiaro, dopo aver osservato l’esplosione di una supernova, che questi oggetti fossero correlati. Oggi sappiamo che si tratta proprio di una stella di neutroni rapidamente rotante con un campo magnetico molto elevato che emette un fascio collimato di onde radio. Sono ciò che rimane dall’esplosione di una supernova esplosa a causa del termine del combustibile di una stella. La forza di gravità prevale sulla forza elettronica che tiene separati gli atomi gli uni dagli altri e li comprime in una massa dieci trilioni di volte più densa di un blocco di piombo. Un singolo cucchiaino di materiale di una stella di neutroni pesa infatti quanto un’intera montagna! L’idea degli omini verdi doveva essere essere per forza di cose esclusa. Nonostante le evidenze scientifiche, c’è ancora qualcuno che continua a sognare, ma a tutt’oggi segnali provenienti da civiltà sviluppate tardano ad arrivare.