La prima sequenza avrebbe portato al punto di rottura iniziale, con il terremoto di magnitudo 7,3 avvenuto il 9 marzo 2011, mentre la seconda avrebbe contribuito a far raggiungere un livello di tensione tale da scatenare il terremoto principale, con la rottura della faglia per oltre 500 chilometri, avvenuta due giorni piu’ tardi. ”E’ una delle ricerche piu’ interessanti degli ultimi anni e una sfida per la sismologia”, ha osservato il sismologo Alessandro Amato, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv). E’ anche ”la dimostrazione dell’importanza delle reti di monitoraqgio per capire i processi che precedono e accompagnano i forti terremoti”, ha aggiunto. ”Questo tipo di indagini, insieme a quelle di laboratorio su campioni di roccia, sono al momento la via piu’ promettente per avvicinarci alla previsione dei terremoti”, ha detto ancora. ”Anche in Italia, in occasione di alcuni recenti terremoti, fortunatamente molto piu’ piccoli di quelli giapponesi, abbiamo osservato – ha detto ancora – interessanti migrazioni di ipocentri e variazioni delle caratteristiche fisiche delle rocce prima delle scosse principali con i dati sismologici”. Migrazioni di questo tipo, ha rilevato l’esperto, si osservano anche in occasione di sequenze sismiche e sciami che non determinano forti terremoti. ”Una delle sfide – ha detto – e’ riuscire a trovare elementi discriminanti per capire cosa sta accadendo”. Va comunque ricordato, ha concluso Amato, che ”questi studi hanno una grande importanza per la comprensione dei processi alla base dei terremoti, ma non devono essere pensati come sostitutivi di azione di prevenzione mirate a ridurre e, se possibile, azzerare i danni quando arriva un terremoto. In questo i sismologi, e in generale la societa’ giapponese, fanno davvero scuola”.
Il violento terremoto del 9 marzo scorso in Giappone è stato preceduto da più di mille “micro-scosse”
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