L’esplosione del vulcano Tambora del 10-12 Aprile 1815 e l’anno senza estate

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Nel 1816 l’Europa si stava lentamente riprendendo dalle guerre napoleoniche concluse l’anno precedente. Dopo anni di disperazione e di distruzioni, la gente sperava che arrivassero tempi migliori, di sereneità e di pace. Ma l’estate di quell’anno fu caratterizzata da piogge e freddo anomalo, con danni incalcolabili alle coltivazioni. Le conseguenze di tale evento furono la fame e le malattie, complici anche varie tempeste di neve e gelo in piena stagione calda. L’anno 1816 è ricordato come “l’anno senza estate”, un fenomeno anomalo e inspiegabile per la scienza del tempo. Nessuno poteva immaginare che le origini degli strani fenomeni meteorologici e climatici erano da attribuire alla più grande eruzione vulcanica documentata della storia, dall’altra parte del mondo. Oggi sappiamo che quell’esplosione del 10-11 Aprile 1815, esattamente 197 anni fa, cancellò 1300 metri di montagna e catapultò circa due milioni di tonnellate di detriti e particelle di zolfo negli strati più alti dell’atmosfera. Questi aerosol ridussero la radiazione solare sulla superficie terrestre, influenzando i fattori climatici a livello mondiale negli anni a seguire. Migliaia di persone morirono a causa degli effetti diretti dell’eruzione della durata di 4 mesi, che sprigionò nubi e gas velenosi, grandi flussi piroclastici e onde di tsunami. Nei dintorni del vulcano morì tutta la vegetazione e il terreno rimase avvelenato per anni. Migliaia di persone risentirono degli effetti climatici successivi, con disastrose conseguenze. Quasi tutto l’emisfero settentrionale, in un periodo climatico già fresco, registrò un ulteriore crollo delle temperature, mentre fame e carestie si diffusero nel mondo. Soltoanto svariati anni dopo venne pubblicato un resoconto dettagliato della catastrofe da parte dell’Asiatic Journal (1816-1829) dal governatore inglese di Indonesia e dal naturalista Sir Thomas Stamford Bingley Raffles (1781-1826) prima, e dal Lyell “Principles of Geology “(1850) successivamente. Andiamo a leggere i tragici momenti di quei giorni.

L’EVENTO DEL 1815 – “Isola di Sumbawa, 1815. – Nel mese di Aprile, una delle più spaventose eruzioni registrate nella storia, si verificò in provincia di Tambora, nell’isola di Sumbawa, a circa 200 km dall’estremità orientale di Java. Nel mese di Aprile dell’anno precedente il vulcano era stato osservato in uno stato di notevole attività, dopo aver eruttato ceneri sui ponti delle navi che navigavano davanti alla costa. L’eruzione del 1815 iniziò il 5 aprile, ma raggiunse la massima violenza tra l’11 e il 12, e non cessò del tutto fino a Luglio. Il suono delle esplosioni fu udito sino a Sumatra, alla distanza di 970 miglia geografiche in linea retta, e in direzione opposta alla distanza di 720 miglia. Su una popolazione di 12.000 residenti, in provincia di Tambora, solo ventisei individui sopravvissero all’evento. Turbini violenti portarono uomini, cavalli, bovini in aria, sdradicarono i più grandi alberi dalle radici, e coprirono tutto il mare di legname galleggiante. Grandi tratti di terreno furono coperti dalla lava, diversi flussi dal cratere raggiunsero il mare. La caduta di cenere fu così pesante che fece irruzione sino alle abitazioni di Bima, città sulla costa orientale dell ‘isola Sumbawa posta a 64 chilometri ad est del vulcano, rendendo varie abitazioni inabitabili. Sul lato di Java le ceneri arrivarono sino a 500 chilometri e circa 350 verso Celebes, in quantità sufficiente per scurire l’aria.

Le ceneri si depositarono per uno strato di circa 2 metri di spessore per diversi chilometri di estensione, attraverso il quale le navi si fecero strada con difficoltà. Il buio provocato durante il giorno sull’isola di Java fu così intenso, che rappresenta un evento unico nella storia, più buio anche delle attuali notti. Anche se la polvere vulcanica rappresenta un materiale impalpabile, diviene notevolmente pesante se compressa, tanto che all’epoca riferirono di un peso di ‘dodici once e tre quarti’. “Alcune delle particelle più fini – dice il signor Crawfurd – sono state trasportate alle isole di Amboyna e Banda, l’ultima a circa 1280 chilometri ad est dal sito del vulcano, anche se il monsone di sud-est era allora al suo culmine. Lungo la costa di Sumbawa e alle isole adiacenti, il mare salì improvvisamente di circa 3,6 metri, per poi successivamente placarsi. Anche se il vento era calmo, il mare avvolse tutta la riva e allagò le aree inferiori delle case, con acqua profonda circa 30 cm. Le barche furono sospinte verso terra e furono costrette all’ancoraggio. La città di Tambora, sul lato ovest di Sumbawa, fu inondata dal mare, che usurpò la riva in modo che l’acqua rimase definitivamente a diciotto metri di profondità in luoghi precedentemente non sommersi. Qui si può osservare che la quantità di subsidenza dei terreni era evidente, nonostante le ceneri. L’area coinvolta dagli effetti vulcanici fu di 1000 miglia inglesi di circonferenza, compresa tutta la Molucche, Java, una parte considerevole di Celebes, Sumatra e del Borneo. Nell’isola di Amboyna, nello stesso mese e anno, il terreno aperto eruttò acqua prima di richiudersi.

UNA CATASTROFE DI ENORMI PROPORZIONI – Anche in Europa rappresentò una vera e propria catastrofe. L’eruzione del 1815 è stata, a detta dei vulcanologi, una delle più potenti eruzioni vulcaniche almeno dalla fine dell’ultima Era glaciale; l’emissione di ceneri fu, quantitativamente, circa 100 volte superiore a quella dell’eruzione, pur rilevante, del monte Sant’Elena del 1980, e fu maggiore anche di quella della formidabile eruzione del Krakatoa del 1883. I morti registrati furono circa 60.000, deceduti tra l’eruzione vera e propria e il lungo periodo successivo di carestie conseguenti, dovute anche agli scarsi raccolti. Un evento del genere ai oggi attuali, provocherebbe una catastrofe di dimensioni ancor più maestose visto il numero di abitanti raggiunto sul nostro pianeta. Un evento, che speriamo, possa ripresentarsi il più tardi possibile.

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