Negli ultimi anni serpeggia una sorta di sfiducia nei confronti della scienza “ufficiale”, di chi ha il compito di tranquillizzare, allertare e informare la popolazione circa il rischio sismico.
Sicuramente ciò è stato causato dai fatti de L’Aquila, in cui a un tentativo di tranquillizzare la popolazione da parte dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) si contrapponeva un segnale di allarme da parte di un tecnico che aveva notato andamenti anomali nella quantità di gas radon. Il forte sisma che poi è avvenuto ha spostato l’ago della bilancia verso teorie alternative circa la possibilità di prevedere i sismi, e la diffidenza verso le autorità è aumenata.
Occorre anche aggiungere la presenza di internet, che ha come sempre un ruolo complesso: chiunque può pubblicare immense sciocchezze ed essere creduto. Lo vediamo tutti i giorni con fantomatici siti meteorologici fatti da persone che “ci provano”, per il gusto di farlo o di tirar su qualche moneta. La posta in gioco però nel caso di terremoti è molto alta, e non si può scherzare con queste cose.
Detto questo, se è vero che la scienza “ufficiale” non può e non deve lasciarsi andare a teorie che, anche se promettenti, non possono determinare l’evacuazione di milioni di persone per un sospetto, la sensazione è che si tenda a sottovalutare alcuni campi di ricerca molto promettenti circa la previsione dei terremoti. E che le risposte standard che vengono date non bastino a soddisfare le persone, non coincidano con la complessità del territorio e le sue manifestazioni. Insomma, da un lato bisognerebbe dare più spazio a idee alternative, dall’altro occorre considerare che non sappiamo davvero molto sui terremoti, su come e dove si generano. La scienza dovrebbe ammettere i suoi limiti. Negli ambienti scientifici pochi sono i geni e molti quelli che escludono a priori le idee diverse, ma sono le idee rivoluzionarie che fanno il progresso, non il seguire i solchi tracciati dal passato. Non si sarebbe in tal caso scienziati, ma esecutori stanchi di vecchi dogmi.
Uno dei casi più eclatanti di predizione di un sisma realmente avvenuto risale al 1975 con un terremoto verificatosi nel Nord della Cina. Vi furono segnali premonitori presi in considerazione dagli scienziati, che permisero l’evacuazione della popolazione 5 ore prima di un terremoto 7,6 M, che danneggiò o distrusse oltre il 90% delle abitazioni, ma con 3 milioni di abitanti solo poche centinaia ne furono vittime.
Le cose non sempre vanno così, ma devono incoraggiare la ricerca di una possibile soluzione a questo drammatico problema. Alcuni segni premonitori importanti possono riguardare la velocità di propagazione delle onde P (quelle più veloci, che causano variazioni nel volume della roccia che attraversano) che diminuisce del 10-15% fino al momento del sisma, e a partire da uno stato di dilatazione delle rocce sotto stress. La stessa dilatazione può causare sollevamenti del terreno, ma per individuare questi sollevamenti sono necessarie apparecchiature apposite in gran quantità (clinometri). Un altro precursore, ormai famoso, è il radon: si tratta di un gas radioattivo rilasciato dal terreno e sviluppatosi per decadimento dell’uranio nel suolo. L’aumento di concentrazione è associabile a un aumento della fissurazione del suolo e quindi al passaggio all’atmosfera. Anche l’elio potrebbe essere utile in questo senso.
Un altro metodo importante potrebbe essere quello statistico: nell’area in esame, per esempio, non si verificavano sismi dal 1574. Era forse un segnale di allarme, o altri segnali possono essere stati sottovalutati? Prima dell’evento era stata proposta una carta di allerta per alcune aree, ivi compresa quella dove si è verificato il terremoto, aree considerate a rischio di sisma, tralasciando altre notoriamente critiche quali Calabria, Sicilia e via dicendo, che secondo i ricercatori di Trieste non sono in questo momento a rischio.
Ma i metodi di possibile previsioni sono tantissimi: tramite i satelliti GPS e l’anomalia di trasporto del segnale si pensa di poter valutare la carica elettrica del terreno attraverso la ionizzazione della ionosfera. 30 minuti prima del terremoto del 2008 dell’8° grado Richter in Cina si sono manifestate anomalie nella ionosfera. Possono poi queste essere messe in relazione alle luci sismiche da molti segnalate?
Altri studi mettono in relazione la resisitività del terreno e i terremoti, con una diminuzione della resistenza elettrica nelle rocce prima di un sisma. Ciò necessita, ancora una volta, di strumentazioni ad hoc. Gli studi hanno dato ottimi risultati: 80% di riscontro in caso di terremoti superiori al 5° grado Richter fra 1 e 19 giorni dall’evento. Ancora una volta, però, si pone il problema dell’incertezza temporale.
Altri studi si concentrano sulla captazione di onde a frequenza molto bassa, tra 0,01 e 10 Hertz, onde per esempio intercettate in relazione al terremoto del Cile di M 8,3 del 1960.
Insomma, senza voler qui dilungarmi troppo, la ricerca può dare risposte che ancora non ha, e forse potremmo guardare con un occhio diverso a fenomeni che a molti sembrano poco inquadrati e studiati, come quello di sismi che stanno avendo luogo in aree obiettivamente inusuali almeno secondo la percezione della maggior parte della popolazione, se non anche dalle mappe di pericolosità sismica. In particolare poi, si vorrebbe capire se e come un terremoto possa in qualche modo favorire l’insorgenza di un secondo sisma in un’area vicina, come si può avere l’impressione che possa essere successo. D’altra parte in una roccia soggetta a stress può sembrare plausibile che un movimento sismico possa facilitare una rottura in determinati momenti di un ciclo sismico.
Ulteriori informazioni circa i sismi in atto e la previsione dei terremoti possono essere richieste dal sito http://www.prontometeo.it.