I vulcani sottomarini dell’Italia meridionale: storia, rischi e didattica dal Marsili a Ferdinandea

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Il bacino tirrenico è la parte più profonda del Mediterraneo Occidentale: la Fossa del Tirreno raggiunge i 3800 metri di profondità.
L’origine del Tirreno si inquadra in un ampio processo geologico che ha interessato tutta l’area mediterranea, legato alla convergenza tra la placca tettonica Eurasiatica e quella Africana. Il processo, iniziato 10 milioni di anni fa, contemporaneamente alla costruzione dei rilievi montuosi della catena appenninica, è contraddistinto da vulcanismo.

Il suo fondale è quindi caratterizzato dalla presenza di numerose dorsali sottomarine e da rilievi di tipo vulcanico.
In realtà, molti vulcani insulari o costieri hanno parti sottomarine estese. Ad esempio il 95% della superficie del vulcano Stromboli è sotto il livello del mare. Esistono però vulcani interamente sottomarini che possono avere dimensioni simili o maggiori rispetto a quelli in superficie.

I vulcani sottomarini sono molto difficili da studiare per la mancanza di accesso diretto. Ciò nonostante gli studi di geologia marina negli ultimi decenni hanno permesso una maggiore conoscenza della loro natura e del loro funzionamento. Osservazioni e prelievi di campioni vengono effettuati per mezzo di navi oceanografiche.

Nel caso dei mari italiani, l’attività vulcanica sottomarina è concentrata in alcune zone del Mar Tirreno e del Canale di Sicilia, dove la crosta terrestre è più sottile e fratturata.
Alcuni vulcani sottomarini sono ancora attivi e talvolta manifestano la loro presenza rilasciando gas e deformandosi molto lentamente; altri ormai estinti rappresentano delle vere e proprie montagne sottomarine (seamounts). La loro attività risulta diversa da quella dei vulcani presenti sulla terra emersa, perché sono circondati dall’acqua marina, che raffredda rapidamente i prodotti emessi e talvolta frammenta il magma generando delle piccole esplosioni, i cui prodotti vengono in parte depositati sul fondo e dispersi dalle correnti marine.

Oltre ai più noti Marsili, Vavilov e Magnaghi, vanno ricordati i vulcani sottomarini Palinuro, Glauco, Eolo, Sisifo, Enarete e i numerosi apparati vulcanici nel Canale di Sicilia, dove le eruzioni sottomarine al largo di Pantelleria nel 1891 e al largo di Sciacca nel 1831 rappresentano le uniche testimonianze storiche di questo tipo di attività.

Il Marsili, vulcano sommerso nel Tirreno
Il Marsili, vulcano sommerso nel Tirreno

Il Marsili – E’ il più grande vulcano d’Europa, con una lunghezza di circa 50 km e una larghezza di 20 km. Ha un’altezza di 3 km rispetto ai fondali circostanti e la sua “cresta” si estende linearmente in direzione Nord – Nord Est –Sud – Sud Ovest per 20 km, raggiungendo profondità inferiori a 1000 m. É formato da una serie di edifici vulcanici di dimensioni diverse. Il fianco occidentale è costituito da edifici conici, mentre quello nord-occidentale è caratterizzato da alcuni “vulcani a cima piatta” e da una scalinata di terrazzi lavici sovrapposti.
Benché non sia mai stata osservata un’eruzione in atto, l’attività del Marsili è testimoniata dalla circolazione di fluidi ad alta temperatura che depositano sul fondo marino solfuri di piombo, rame, zinco e ossidi e idrossidi di ferro e manganese.

Il Vavilov – Il vulcano sottomarino Vavilov ha una lunghezza di 30 km in direzione Nord – Nord Est – Sud – Sud Ovest, una larghezza di 15 km e si eleva di 2,7 km rispetto ai fondali circostanti. Attualmente è considerato inattivo. L’elemento principale del vulcano è la forte asimmetria dei fianchi orientale ed occidentale: il primo è caratterizzato da numerosi apparati conici con una morfologia simile a quella del vulcano Marsili, mentre il secondo è più ripido e senza elementi morfologici di rilievo.

Altri vulcani sottomarini del Tirreno Meridionale
Palinuro – E’ un complesso vulcanico lungo circa 75 km, composto da almeno 8 edifici maggiori allineati all’incirca in direzione Est – Ovest.
Glabro – Si trova poco distante dal complesso vulcanico Palinuro, lungo lo stesso allineamento. La sommità di questi due vulcani è intorno ai 100 metri sotto il livello del mare. Il vulcano Alcione e gli apparati gemelli dei Lametini si trovano in posizione intermedia tra l’allineamento Palinuro-Glabro e l’arco delle Isole Eolie. Sono vulcani conici, alti circa un migliaio di metri rispetto ai fondali circostanti.

Nella zona delle Eolie
Nell’apparato eoliano tutti i principali edifici sono arrivati ad emergere e formano isole, anche se esistono apparati minori, in particolare attorno all’allineamento Vulcano-Lipari-Salina. Ad ovest dell’arcipelago si trovano i tre apparati di Eolo, Enarete e Sisifo. Gli edifici sono allungati ed allineati in direzione Nord Ovest – Sud Est e alti circa un migliaio di metri.
Eolo si contraddistingue per avere una sommità piatta. Nel Tirreno occidentale infine, poco ad ovest del vulcano Vavilov, si trova il vulcano Magnaghi, simile per struttura e genesi ai più grandi e più giovani vulcani Vavilov e Marsili.

Al di fuori del Tirreno
Vulcanismo diffuso si trova solo nel Canale di Sicilia, una zona tettonicamente molto attiva. Questo vulcanismo, in parte ancora attivo, ha dato origine alle isole di Pantelleria e Linosa e a numerosi edifici vulcanici sottomarini, come Ferdinandea o Graham, Terribile, Senza nome, Nerita e Bannock, allineati principalmente in direzione Nord Ovest – Sud Est e Nord -Sud.

Ferdinandea1L’isola Ferdinandea – Nel giugno del 1831 di fronte alla cittadina di Sciacca, l’attività vulcanica ha portato all’emersione dell’isola Ferdinandea. Questo piccolo cono vulcanico fu distrutto dal moto ondoso pochi mesi dopo, mentre il Regno delle due Sicilie, Inghilterra e Francia ne rivendicavano la sovranità assegnandogli diversi nomi: Ferdinandea, Graham e Giulia.
Oggi, l’apparato si trova ad una profondità minima di 20 metri sotto il livello del mare ed ha un’ attività di degassamento, con lo sviluppo di colonne di gas di decine di metri di diametro.
Una recente ipotesi interpreta il banco di Graham, insieme a quello di Terribile e Nerita, come l’espressione di un grande vulcano sottomarino, denominato Empedocle, di dimensioni simili all’apparato etneo. Mancano tuttavia ancora prove definitive per confermare questa ipotesi.

Il Progetto MaGIC

Nell’ambito delle attività definite dall’Accordo di Programma Quadro tra il Dipartimento della Protezione civile e il Consiglio Nazionale delle Ricerche del 20 giugno 2006, è stato finanziato all’Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria (IGAG) del CNR un progetto di servizio della durata di cinque anni, denominato MaGIC – Marine Geohazards along the Italian Coasts.

Il Progetto ha l’obiettivo di definire gli elementi di pericolosità dei fondali dei mari italiani, mitigare il rischio e gestire le emergenze. E’ coordinato dall’IGAG e coinvolge tutti i gruppi di ricerca che sono attivamente impegnati nel campo della Geologia Marina: il CNR, il Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del mare – Conisma e l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS.

Il progetto nasce e si struttura come uno sforzo coordinato di tutta la comunità dei geologi marini italiani per fornire al Dipartimento strumenti conoscitivi per gestire future situazioni di emergenza, mitigare i rischi legati a processi geologici in atto sui fondali dei mari italiani e per raccogliere dati batimetrici (di profondità) ad altissima risoluzione, base insostituibile per la conoscenza dei fondali stessi.

Il progetto MaGIC è stato avviato a dicembre 2007 e ha come risultati attesi la realizzazione di 72 carte degli elementi di pericolosità presenti nei fondali dei mari italiani e un database delle informazioni esistenti sulla geologia dei mari italiani.

Lo strumento principale che ha permesso di ottenere una rappresentazione del fondale marino con un’altissima precisione consiste in un ecoscandaglio multifascio (multibeam sonar), che irradia il fondo marino attraverso un ventaglio di onde acustiche ad elevata frequenza, diretto perpendicolarmente alla rotta della nave.
In questo modo viene rilevata una fascia del fondale di larghezza pari a circa 3-4 volte la profondità dell’acqua.

I dati ottenuti vengono elaborati attraverso complesse procedure di calcolo e successivamente visualizzati come carta delle isobate, rilievi ombreggiati o superfici tridimensionali.

L’interpretazione di questi dati nell’ambito del progetto MaGIC ha messo in luce con grande dettaglio elementi morfologici importanti quali: canyon sottomarini, nicchie di distacco e depositi di frana, lineamenti tettonici, aree caratterizzate da prevalente erosione, aree interessate da forme di fondo migranti sotto l’azione delle correnti (ad es. dune e onde di sedimento), strutture prodotte da emissione di fluidi o di sedimenti e fluidi (rilievi noti come vulcani di fango) e numerosi altri elementi morfologici in base ai quali è possibile determinare lo stato di attività e i processi che maggiormente caratterizzano una determinata area.

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