Il fenomeno della “Liquefazione” del terreno non è per niente sconosciuto ai geologi e sismologi italiani, che negli anni hanno elaborato pure dei complessi studi sul rischio che comporta sulla stabilità degli edifici nelle aree interessate. I fenomeni di “Liquefazione” solitamente si presentano in concomitanza con una forte scossa tellurica che provoca delle drastiche ripercussioni nel sottosuolo. Tale fenomeno ha accompagnato i più grandi terremoti che nell’ultimo secolo hanno caratterizzato la storia d’Italia, dal disastroso terremoto calabro-messinese del 28 Dicembre 1908 fino alle forti scosse che negli ultimi hanno colpito l’area appenninica. Addirittura, durante la grande crisi sismica di Calabria del 1783, il fenomeno, secondo quanto descritto dalle cronache del tempo, cambiò per sempre la morfologia del territorio, fra le Serre e il massiccio montuoso dell’Aspromonte. Come ci spiegano i geologi la “liquefazione” del terreno è quel fenomeno che si ottiene quando un terreno saturo e privo di coesione passa rapidamente dallo stato solido a quello liquido. Il passaggio di fase è dovuto all’incremento della pressione interstiziale e la perdita di resistenza a taglio. Nel caso del recente terremoto emiliano la “liquefazione” ha riguardato tutti quei terreni e le abitazioni ubicate al di sopra di vecchi dossi che si trovano negli antichi alvei di fiumi.
Una volta che il fango è stato disteso sopra la superficie terrestre il terreno sottostante, privo della precedente sedimentazione, ha ceduto. Il problema ora sta nel fatto che questo processo ha fortemente modificato la struttura del sottosuolo, creando fenomeni di “subsidenza” che possono mettere in pericolo la stabilità degli edifici. Il lavoro duro viene proprio ora che squadre di tecnici ed ingegneri dovranno valutare l’entità del rischio di molte abitazioni che sono state interessate dal fenomeno di “liquefazione” del terreno sottostante. Di sicuro ci vorranno settimane di intenso lavoro per fare un resoconto completo delle criticità nei paesi colpiti dal terremoto. La sabbia fuoriuscita da queste ampie fratture che si sono aperte del terreno, in seguito alla grande scossa, è molto fine, ma soprattutto pulita, perché rappresenta gran parte dello strato di sedimenti alluvionali presenti nel sottosuoli e depositati durante le storiche alluvioni che hanno interessato l’area nei secoli scorsi. A ciò si aggiunge anche l’osservazione da questi primi confronti tra le caratteristiche geomorfologiche dell’area e la localizzazione degli effetti osservati si evidenzia una netta correlazione con la presenza, nel sottosuolo, di paleoalvei (alvei antichi) di fiumi come il Secchia, Panaro e Reno. Ma ancora c’è molto da studiare per capire le reali dinamiche di questi fenomeni che possono avere serie ripercussioni sulla stabilità delle costruzioni. Nei prossimi mesi, i vari studi intrapresi da sismologi e geologi, sapranno spiegarci ulteriori dettagli su quanto sta avvenendo nel sottosuolo della bassa pianura emiliana