Chiediamo al ricercatore Gianluca Valensise, coautore dell’articolo scientifico, come hanno individuato le strutture sepolte.
“Le strutture sepolte sono ben delineate dalle mappature che furono ottenute dall’ENI all’epoca d’oro dell’esplorazione petrolifera in Pianura Padana, ovvero tra gli anni ’40 e gli anni ’70 dello scorso secolo. Queste mappature utilizzavano la tecnica nota come sismica a riflessione: in pratica veniva fatto brillare dell’esplosivo e con un gran numero di sismografi disposti lungo allineamenti opportunamente tracciati si misurava il tempo di percorso delle onde sismiche tra la superficie, gli strati rocciosi sepolti che riflettevano parte dell’energia, e l’arrivo dell’energia rimbalzata in superficie. Questo consentiva di “disegnare” il sottosuolo, e in particolare di delineare le cosiddette anticlinali, strutture derivanti dalla compressione degli strati rocciosi simili alle pieghe che si formano su un tappeto spinto contro il muro. Poiché il petrolio tende ad accumularsi nelle anticlinali, conoscere l’esatta posizione di queste ultime consentiva di perforare a colpo quasi sicuro ed estrarre petrolio (o gas naturale). Il paragone con il tappeto è accattivante ma incompleto, perché trascura il fatto che nel mondo reale le anticlinali sono la riposta superficiale “morbida” all’accavallamento delle sottostanti rocce, più rigide, lungo le faglie, i piani di rottura che generano i terremoti. E in effetti nell’applicazione che stiamo descrivendo sono le faglie, con le loro dimensioni e geometria, a formare l’oggetto della ricerca. Il movimento della faglia profonda (da 5-10 km ad alcune decine di km) dunque genera un’anticlinale, che pur essendo, come nella Pianura Padana, completamente ricoperta da un materasso di sedimenti marini e alluvionali spesso anche molte migliaia di metri, può comunque arrivare a deformare debolmente la superficie topografica, creando blande ma ampie depressioni o inarcamenti. Attraverso il tempo geologico l’attività tettonica finisce per interagire con il reticolo fluviale, attirando i fiumi nelle depressioni e respingendoli dalle zone che sono in crescita. Le deviazioni dei fiumi influenzano fortemente la rete insediativa, costringendo le popolazioni ad abbandonare le aree depresse, spesso invase dall’acqua, e a spostare città e linee di comunicazione “all’asciutto”. Le stesse deviazioni segnalano a noi geologi del terremoto quali delle numerose coppie faglia-anticlinale che esistono sotto la Pianura Padana sono ancora attive oggi, e quindi sono in grado di generare terremoti”.
“Sia l’Appennino che le Alpi sono due classiche catene montuose, che evolvono spostandosi la prima verso NE e la seconda verso S. Il sottosuolo della Pianura Padana è quindi il luogo di incontro di queste due catene, che idealmente “strizzano” questa grande area depressa ad una velocità che i dati satellitari (GPS) indicano essere dell’ordine del centimetro per anno. In questo grande meccanismo geodinamico bisogna distinguere il sollevamento delle due catene nel suo complesso, ad una scala dell’ordine dei 100-200 km e con una velocità massima di 1-2 metri per millennio, dal sollevamento delle singole anticlinali, misurabile alla scala dei 5-20 km e con velocità che non superano i 50 cm per millennio. Poiché le anticlinali crescono lentamente e poiché invece la pianura tende ad essere velocemente colmata di sedimenti, è molto probabile che queste strutture restino sepolte per sempre, fino addirittura ad essere letteralmente “soffocate” e bloccate dal peso dei sedimenti soprastanti”.
Di che entità sono le deviazioni imposte ai corsi d’acqua?
“Le deviazioni fluviali possono essere imponenti. Il Po, ad esempio, fino al XII secolo d.C. passava per Ferrara e si divideva nel Po di Primaro e nel Po di Volano, che sfociavano nell’Adriatico rispettivamente a sud e a nord delle attuali paludi di Comacchio. Con la Rotta di Ficarolo del 1152 il Po abbandonò questo percorso e si riassestò come Po di Goro e Po di Tramontana, parecchie decine di km più a nord. Tutto questo per effetto della progressiva crescita di un anticlinale che poi – guarda caso – coincide con la dorsale sepolta che conosciamo come Dorsale Ferrarese e che ha generato il terremoto del 20 maggio 2012. Sul lato meridionale della stessa anticlinale il fiume Reno incontrava la stessa difficoltà a “svalicare” la Dorsale Ferrarese, e questo avveniva proprio tra Finale Emilia, Sant’Agostino e Bondeno, tre tra le località maggiormente colpite dal terremoto del 20 maggio scorso. Con i secoli si è quindi trasformato da affluente del Po a corso d’acqua che – con enorme fatica – tenta di andare verso il mare autonomamente”.
Il Dott. Gianluca Valensise conclude con un paradosso: “ La Pianura Padana è stata spesso snobbata dai geologi, che la consideravano noiosa (sicuramente meno interessante di un paesaggio dolomitico!), debolmente considerata dai sismologi, che spesso ed erroneamente hanno ritenuto che la sua piattezza indicasse la sua incapacità di generare terremoti, e vista da molti semplicemente come un territorio utile per l’agricoltura e l’industria. Pur nella sua drammaticità il terremoto del 20 maggio ne ha mostrato invece caratteristiche invisibili a occhio nudo, ma che in realtà ne condizionano profondamente l’evoluzione, creando ponti impensabili tra terremoti, geologia, uso del territorio e sviluppo della rete insediativa. C’è da aspettarsi che questo terremoto darà l’impulso ad una nuova stagione di studi e ricerca scientifica su questa importante porzione del nostro territorio”.