Il 17 Maggio 2012 il Sole ha espulso un brillamento di classe M. L’eruzione ha generato una raffica di particelle solari che hanno viaggiato quasi alla velocità della luce, raggiungendo la Terra in soli 20 minuti. Un brillamento di classe M è considerato un flare “moderato”, almeno dieci volte meno potente dei più grandi flare di classe X, ma le particelle inviate in quell’evento erano così veloci ed energetiche che alla collisione con gli atomi dell’atmosfera terrestre hanno generato una cascata di particelle verso la superficie terrestre che prende il nome di Ground level enhancement. Di questi fenomeni, dal momento che è possibile rilevarli solo strumentalmente, ne sono stati osservati 100 negli ultimi 70 anni, facendone un evento piuttosto raro. “Generalmente ci si aspetterebbe un evento di questo genere da una grande espulsione di massa coronale e non da una semplice eruzione di classe M”, afferma Georgia de Nolfo, uno scienziato spaziale del Goddard Space Flight Center della NASA a Greenbelt, che studia le particelle solari ad alta velocità. “Quindi – continua lo scienziato – non solo siamo eccitati per aver osservato queste particelle energetiche, ma abbiamo anche un puzzle scientifico da risolvere”.
Il percorso di questa osservazione è cominciato Sabato 5 Maggio, quando è stata osservata una rotazione di macchie solari di grandi dimensioni sull’arto sinistro del Sole. La regione attiva 1476 era vasta 15 volte la Terra, anche se in passato ne sono state osservate di più grandi. I ricercatori, osservandone la formazione, attendevano questa possibilità che non si verificava dal Dicembre 2006. Inoltre, c’erano grandi speranze che la missione PAMELA, parte del programma RIM (Russian-Italian-Missions) che è attualmente il più avanzato osservatorio per lo studio dei raggi cosmici, potesse osservare l’evento all’interno del nostro Sistema Solare. Per non farsi cogliere impreparati, gli scienziati hanno convinto il team russo incaricato della missione, di mettere da subito in funzione gli strumenti che erano in modalità di calibrazione, e l’attesa è stata ripagata dopo due settimane di osservazioni. L’elevato livello di neutroni è durato per circa un’ora, permettendo alla missione di tracciare una misura completa del flusso. Per il momento sono stati analizzati soltanto una parte di dati, ma altre osservazioni permetteranno di saperne di più in merito a questo fenomeno, soprattutto in relazione del fatto che eventi più forti non hanno causato un GLE.