Continua il nostro “viaggio” virtuale alla scoperta dei terremoti d’Italia e del rischio sismico, grazie al preziosissimo contributo dal geologo Giampiero Petrucci, che ha già collaborato con la nostra Redazione in occasione dello Speciale sugli Tsunami in Italia.
Il primo articolo di Petrucci su questo tema è stato Perché l’Italia trema? Cause e rimedi dei terremoti che affliggono il nostro paese. Oggi il 2° approfondimento con la sismologia storica italiana, i terremoti nell’antichità, l’evento di Verona nel 1117 e la cronologia dei terremoti con M>5.5.
Catalogazione sismica. La sismologia è scienza giovane ed ancor più recente è una sua branca, forse la più interessante e certamente la più utile per la conoscenza di quanto avvenuto in passato nel nostro territorio: la sismologia storica che tende a ricostruire gli scenari macrosismici di un terremoto verificatosi molto tempo fa. Nata in Italia un secolo fa per merito di Mario Baratta (I Terremoti d’Italia, 1901) dalle cui ricerche è risultata per un secolo dipendente, questa materia richiede una certa interdisciplinarietà allo scienziato che deve calarsi in numerosi panni: non solo sismologo o geologo, ma anche archivista, storico, annalista, storiografo, addirittura archeologo e perfino detective a caccia di informazioni criptate. La sismologia storica infatti studia ed analizza dettagliatamente i terremoti del passato, anche remoto, attraverso qualsiasi fonte disponibile, non solo cartacea. In mancanza di dati strumentali e spesso senza supporti scientifici adeguati, biblioteche ed archivi (anche ecclesiastici) diventano luogo privilegiato di ricerca, vecchi e polverosi manoscritti medievali possono nascondere piccole-grandi verità da interpretare con mentalità moderna, epigrafi e lapidi rappresentano talora la chiave di lettura decisiva per attribuire un valore di intensità macrosismica ad ogni evento avvertito in qualsiasi località (talora oggi non più esistente). Certamente non è un compito facile anche perché le notizie veritiere sono scarse e necessitano di verifiche e ri-verifiche. Basti pensare che in epoca romana ci si occupava soprattutto di descrivere gli eventi che accadevano nelle grandi città (tralasciando i fatti alla periferia dell’impero) ed i terremoti spesso venivano interpretati come volontà divina, segni nefasti inviati dagli dei per punire gli uomini o il potente di turno che aveva commesso troppe ingiustizie. In questo contesto diventano allora importanti pure la sismografia storica e l’archeosismologia le quali lavorano entrambi sugli edifici, rispettivamente attuali e passati. Ogni edificio, anche ridotto a rudere o dissepolto, può rappresentare una sorta di “sismogramma di sé stesso”: le sue strutture, la sua resistenza “storica” in una certa area caratterizzata da sismi noti, gli interventi architettonici e gli accorgimenti costruttivi sviluppati per salvaguardarne l’integrità rappresentano i cardini fondamentali di queste discipline. Il risultato è particolarmente efficace quando si riesce a combinare la datazione di un terremoto con la costruzione successiva di un edificio o la sua ristrutturazione: nel lontano passato, perfino nell’antica Roma, sono state individuate apposite tecniche costruttive, una sorta di “antisismica ante-litteram”, atte a preservare il fabbricato per un eventuale sisma che, evidentemente, aveva già mostrato i suoi effetti precedentemente. Nello stesso Colosseo, tanto per fare un esempio eclatante, esistono epigrafi che parlano della ricostruzione di una sua porzione a seguito di un terremoto. Un simpatico detto, ben noto ai sismologi, recita che certi segreti geodinamici si trovano probabilmente non tanto sottoterra quanto piuttosto nascosti negli archivi di qualche abbazia. L’obiettivo perciò diventa non solo approfondire le conoscenze sui terremoti noti, ma trovarne di “perduti” o “negletti”: è infatti accaduto di riportare alla luce, alla stregua di un archeologo con una città sepolta, eventi dei quali si era persa ogni notizia come ad esempio un sisma del 1802 (quindi appena di 210 anni fa), con magnitudo stimata intorno a 5.0, verificatosi in Val d’Orcia oppure un altro calabrese del 1640 con gravi danni a Stilo e Badolato. Queste novità possono contribuire non poco a spostare antichi equilibri di macrozonazione, variando la sismicità storica di una regione, talora anche di molto: è evidente infatti come il potenziale sismico di una certa area possa essere molto più influenzato dai dati recenti (facilmente reperibili) piuttosto che da quelli lontani nel tempo o addirittura ignoti (sorgenti quiescenti), con importanti effetti sulla sottovalutazione dei rischi. Dunque la corretta interpretazione delle fonti, in certi casi estremamente complessa e delicata perché non sempre dettagliata, diventa basilare per approfondire le nostre conoscenze del passato che, mai come in questa occasione, può insegnarci a preservare il nostro mondo.
Cataloghi sismici. A seguito di queste indagini storiche in Italia, grazie al sempre prezioso apporto dell’INGV, sono stati compilati diversi cataloghi sismici, costantemente aggiornati e riveduti negli ultimi vent’anni, dai quali è possibile estrapolare interessanti valutazioni al fine di comprendere meglio perché l’Italia trema e quali sono le aree in cui, da duemila anni a questa parte, si sono verificati terremoti con maggiore intensità e frequenza. Molti di questi sono consultabili online, tramite il sito dell’INGV, in alcuni casi perfino scaricabili (in particolare http://emidius.mi.ingv.it/CPTI). Con un po’ di pazienza, si può verificare anche tutti i terremoti avvenuti in una determinata area oppure selezionare un evento in particolare. Diventa dunque semplice scoprire quali sono le zone più a rischio da un punto di vista prettamente storico anche se, come abbiamo già descritto in altri articoli precedenti (Perché l’Italia trema? Cause e rimedi dei terremoti che affliggono il nostro paese), risulta poi fondamentale la microzonazione ovvero il controllo capillare del terreno e soprattutto la valutazione dei cosiddetti effetti amplificatori (di cui riparleremo) in ciascuna porzione di territorio.
L’insegnamento di una mappa. L’Italia è terra di terremoti praticamente da sempre. A livello tettonico, lo scontro tra la placca africana e quella europea, iniziato 70 milioni di anni fa e tuttora in corso, porta la nostra penisola ad essere un centro preferenziale di grandi sconvolgimenti tellurici. A volte un’immagine spiega più di mille parole. Qui di seguito è rappresentata la distribuzione geografica dei sismi con magnitudo superiore a 5.5 verificatisi in Italia da 2300 anni a questa parte. Si ricorda che il valore di magnitudo pari a 5.5 spesso è preso come riferimento minimo teorico per il possibile verificarsi dei cosiddetti effetti di sito che portano ad amplificare i danni di un sisma causa particolari situazioni locali (litologia sfavorevole, frane, liquefazione, ecc.). Nel nostro caso si tratta, ovviamente, di una scelta soggettiva (e come tale non immune da critiche) ma comunque dettata dal voler testimoniare, una volta di più, come la ricerca possa aiutare a salvaguardare noi stessi ed il mondo in cui viviamo. Un semplice esempio che però, in maniera semplice ed intuitiva, permette di esprimere valutazioni significative anche se peraltro note.
Appare subito evidente, e non potrebbe essere altrimenti, come la dorsale appenninica rappresenti la sede principale di terremoti disastrosi. Ciò è universalmente noto da tempo: Abruzzo, Irpinia, Sannio, Aspromonte, Reatino, Lucania, il settore Umbro-Marchigiano rappresentano siti in cui da sempre gli eventi tellurici hanno portato devastazione e lutti. Nel nord Italia spicca il Friuli (non soltanto con il tragico evento del 1976) mentre non paiono immuni né la Lombardia né tanto meno l’Emilia come ormai abbiamo purtroppo imparato. Le aree più interessanti, sotto molti aspetti, sono però altre due: la Romagna ed il Gargano dove esistono almeno 5-6 eventi di tutto rispetto, non sempre ricordati e talora sottovalutati. Basta un dato ad esemplificare il concetto: in entrambe queste aree, come ricordato nell’apposita sezione di MeteoWeb (Speciale sugli Tsunami in Italia), a seguito di violenti terremoti si sono verificati tsunami ed in tempi non poi così tanto remoti. La spiaggia di Rimini fu infatti invasa dalle acque in due occasioni: nel 1672 (quando si registrarono circa 200 vittime per il sisma) e nel 1875 quando anche Cervia e Cesenatico videro il loro litorale allagato dal mare sia pure non in maniera violenta. Ben più gravi invece gli eventi garganici: nel 1627, a seguito di un terremoto di magnitudo stimata intorno a 6.7, uno tsunami invase la zona del lago di Lesina, penetrando nella costa per circa tre km, con onde alte fino a 5 metri. Fortunatamente, essendo allora l’area poco abitata, le vittime dovute al maremoto furono rare. Vent’anni dopo, nel 1646, un fenomeno analogo, ma di dimensioni più limitate, si verificò sul lago di Varano. Dunque la storia, in questo caso applicata alla sismologia, può insegnare parecchio: l’importante è non trascurarla e continuare ad approfondire le ricerche.
Terremoti antichi. La catastrofe naturale più famosa del nostro paese avvenuta nell’antichità è certamente l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.c. con la distruzione di Pompei ed Ercolano. Ma diversi autori latini citano altri eventi distruttivi, in particolare terremoti, avvenuti già in precedenza. Tra i primi in assoluto, se non addirittura il primo di cui si hanno notizie piuttosto veritiere, risulta essere il sisma del 217 a.c., verificatosi in corrispondenza di una celebre battaglia combattuta in prossimità del lago Trasimeno tra Romani e Cartaginesi, durante la seconda guerra punica. L’intera Italia centrale venne sconvolta dal terremoto, chiaramente avvertito pure a Roma (le cui legioni oltre tutto vennero sconfitte da Annibale e dunque ecco nascere la leggenda del terremoto presagio anche di ulteriori lutti e sventure). Ovviamente, a distanza di duemila anni, è estremamente difficile ricostruire gli eventi però anche la Sabina, Reggio Calabria e la stessa Pompei (nel 62 d.c.) subirono sismi di un certo rilievo prima dell’eruzione del Vesuvio. I cataclismi dunque non erano una novità neppure per gli antichi romani. Bisogna poi attendere il IV secolo per avere altre notizie di eventi rilevanti: nel 346 toccò al Sannio e nel 365 fu la Sicilia, in particolare le coste della sua porzione sud-orientale, ad essere colpita da una delle catastrofi più assolute del mondo antico, la prima forse a carattere “universale”, almeno per il Mediterraneo: un fortissimo terremoto, con magnitudo addirittura stimata intorno a 8, si originò poco a sud della costa meridionale di Creta, generando un grandissimo tsunami che gettò devastazione dalla Sicilia al Medio Oriente, ed in particolare ad Alessandria d’Egitto (Gli Tsunami Italiani antichi, dal neolitico al ’500 ). Pochi anni dopo, nel 369 secondo alcuni autori e nel 375 secondo altri, fu Benevento ad essere semidistrutta da un sisma che, in base ad alcune testimonianze, avrebbe provocato la morte di almeno la metà della popolazione cittadina. Quindi entra in gioco niente meno che Roma la quale nel 443, secondo quanto riportato dai Fasti Vindobonenses Posteriores (celebri annali medievali), subì gravi danni a seguito di un terremoto con magnitudo stimata di 5.7: crollarono molte statue, una navata della basilica di S. Paolo fuori le Mura e pure alcune porzioni del Colosseo, poi restaurato.
Verona 1117. Fu dunque soprattutto il centro-sud ad essere principalmente interessato dai fenomeni: nei secoli seguenti ancora Sannio (848), Messina (853) ed Irpinia (989) confermarono questa tendenza, smentita però in maniera eclatante nel 1117, per la precisione il 3 gennaio, quando fu Verona a balzare inopinatamente agli onori della cronaca sismica. Con epicentro stimato sulla riva destra dell’Adige, nei pressi del paese di Ronco, si sviluppò il più forte terremoto di tutti i tempi mai registrato in Pianura Padana, probabilmente superiore, sia per magnitudo (stimata almeno 6.5-6.6) che per vastità degli effetti, a quello friulano del 1976 (tanto per fare un esempio vicino ai giorni nostri). In effetti il sisma risulta per certi aspetti “sorprendente”, tra i meno compresi sotto l’aspetto scientifico, anche per le evidenti difficoltà nel reperire informazioni certe e sicure a ben 900 anni di distanza e per l’incertezza sismotettonica legata alla sorgente ed alla faglia responsabile. Poco noto ed a lungo dimenticato dai media, è stato “riscoperto” recentemente, in occasione degli eventi emiliani, proprio a ricordare come la Pianura Padana non sia poi così immune da scosse telluriche anche se certamente molto intervallate nel tempo. Si sta ancora dibattendo sull’esatto orario di sviluppo così come sulla posizione geografica dell’epicentro: si parla, ad esempio, di una lunga sequenza sismica e di un epicentro secondario nel cremonese. Di certo fu avvertito in tutta la Pianura Padana ma fu Verona a subirne gli effetti principali: voragini nel terreno, crollo parziale dell’Arena, distrutti il duomo, chiese e monasteri. Ciò è testimoniato anche dalla mancanza nel tessuto urbano cittadino di elementi architettonici alto-medievali a vantaggio dei più recenti stili romanici. L’analisi strutturale degli edifici ha dimostrato che furono colpite in particolare le murature Est-Ovest, a significare una presumibile direzione Nord-Sud del moto sismico. Danni ingenti si registrarono pure a Cremona, Padova, Vicenza, Nonantola, Modena, Parma e Piacenza: in queste città si verificarono crolli, totali o parziali, di numerosi edifici ecclesiastici. Il sisma fu chiaramente avvertito anche a Venezia, Milano, Como e Vercelli, città in cui non mancarono strutture lesionate. Alcune testimonianze parlano di un forte sommovimento nel Po le cui acque si sarebbero “sollevate a volta” ed avrebbero rotto gli argini, stesso fenomeno verificatosi nell’Adige. Impossibile stabilire una cifra esatta delle vittime che comunque dovettero essere decine di migliaia, probabilmente almeno ventimila. Dunque un evento catastrofico di grandissima portata, che modificò sensibilmente il tessuto urbano delle principali città padane, sconvolgendo la società al punto che verrà citato come riferimento temporale per un secolo nei documenti ufficiali. Dire dunque, come qualcuno continua a fare, che la Pianura Padana sia area a basso rischio sismico forse significa sottostimare gli eventi del passato che possono illuminare il nostro cammino verso un futuro dove la salvaguardia dei cittadini e del territorio diventi finalmente una priorità.
BIBLIOGRAFIA
- Bernardini F., Camastri R., Caracciolo C.H., Castelli V., Ercolani E., Il caso del terremoto di Lesina del 29 gennaio 1657, 30° Convegno Nazionale GNGTS, 2011
- Boschi E., Guidoboni E., Ferrari G., Valensise G. e Gasperini P., Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461 a.c. al 1990, ING e SGA Bologna, 1997
- Comastri A. e Mariotti D., I terremoti e i maremoti dello Stretto di Messina dal mondo antico alla fine del XX secolo, Geoitalia n.25, 2008
- Galli P., I terremoti del gennaio 1117. Ipotesi di un epicentro nel cremonese, Il quaternario, Italian Journal of Quaternary Sciences, 2005
- Galli P., Naso J., Unmasking the 1349 Earthquake Source (Southern Italy): Paleosismological and Archaeosismological Indications from the Aquae Iuliae Fault, Journal of Structural Geology 31, 2009
- La Greca F., I terremoti in Campania in età romana e medievale. Sismologia e sismografia storica, Annali storici di Principato Citra, V.1, 2007
- Rovida A., Camassi R., Gasperini P, e Stucchi M., CPTI11, la versione 2011 del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, Milano, Bologna 2011, http://emidius.mi.ingv.it/CPTI
- Stucchi ed altri, DBMI04, il database delle osservazioni macrosismiche dei terremoti italiani utilizzate per la compilazione del catalogo parametrico CPTI04. http://emidius.mi.ingv.it/DBMI04/, Quaderni di Geofisica, Vol 49, pp. 38, 2007
- www.wikipedia.org
- www.ingv.it