Abbiamo parlato moltissimo, nelle ultime settimane, dei terremoti a 360°, e c’è capitato più volte di citare gli studi dell’università di Trieste e dell’ICTP International Center for Theoretical Physics, soprattutto nell’intervista ad Alessandro Martelli, direttore dell’Enea di Bologna che ci ha spiegato come alcuni centri di ricerca da molti anni stanno facendo degli studi e dei calcoli sulle previsioni dei terremoti.
Alla guida di questo team di esperti per l’Università di Trieste e l’ICTP c’è uno dei sismologi italiani più preparati d’Italia, il prof. Giuliano Panza, che vanta una rinomata fama internazionale. Panza, infatti, ha curato le voci di sismologia per l’enciclopedia “Treccani”, che notoriamente si affida a esperti di chiara fama, e ha vinto nella sua brillante carriera la prestigiosa Medaglia “Beno Gutenberg”, massimo riconoscimento mondiale nel campo della sismologia.
L’abbiamo intervistato per capirne di più sull’attuale situazione sismica in Italia e sulle previsioni dei terremoti, che è il suo campo specifico:
Professore, partiamo dall’Emilia Romagna: come si sta evolvendo la “crisi” sismica iniziata il 20 maggio? Dobbiamo attenderci altre forti scosse nei prossimi giorni/settimane/mesi oppure, anche alla luce dell’ultima scossa di magnitudo 5.1 di ieri sera e delle varie repliche superiori a magnitudo 3.0, numerose tra ieri e oggi?
“Penso sia opportuno avere la massima cautela, perché i terremoti, sia gli eventi principali che le repliche forti, non si possono prevedere con precisione e quindi fare prognosi a breve termine è sempre molto inopportuno. Va da sé che le operazioni di rilancio delle attività devono essere intraprese con la massima cautela, come anche indicato dalla replica di ieri sera”.
“I terremoti non si possono evitare né, ad oggi, è possibile prevederli con precisione. Le conoscenze scientifiche di cui disponiamo permettono di stimare il rischio sismico, di indicare cioè quali sono le aree a più elevata pericolosità sismica e quale è il livello di vulnerabilità dell’edificato. E’ possibile inoltre realizzare esperimenti di previsione a medio termine spazio-temporale che consentono di indicare le aree ed i periodi di tempo in cui risulta più probabile il verificarsi di un forte terremoto, fornendo vincoli utili per una valutazione del rischio sismico dipendente dal tempo.Tra le poche metodologie di previsione formalmente definite che consentono di effettuare un’analisi sistematica ed in tempo reale, nonché una verifica su vasta scala della loro capacità predittiva, rientrano gli algoritmi CN ed M8. Gli esperimenti condotti per oltre venti anni su scala globale hanno già permesso una prima valutazione della significatività statistica delle previsioni fornite dal CN ed M8. Il livello di confidenza dei risultati ottenuti (prossimo al 98% per il CN ed al 99% per l’M8) evidenzia la capacità predittiva di tali algoritmi. CN ed M8 utilizzano l’informazione contenuta nei cataloghi dei terremoti ed individuano, nell’attività sismica di magnitudo moderata, le variazioni che possono essere considerate precursori di un forte terremoto. L’analisi consente di determinare gli intervalli temporali (TIP, ovvero Times of Increased Probability) in cui risulta aumentata, rispetto alle condizioni normali, la probabilità che si verifichi un terremoto con magnitudo superiore ad una soglia prefissata M0. Le caratteristiche della sequenza dei terremoti che avvengono entro una certa regione (i.e. il flusso sismico) e le loro variazioni temporali sono descritte in modo quantitativo mediante un insieme di funzioni definite empiricamente. Vale la pena osservare che l’opinione della comunità scientifica relativamente alla predicibilità dei terremoti ha avuto fasi alterne: si è passato dall’ottimismo degli anni ’80, al pessimismo degli anni ’90, quando si affermava che “i terremoti non si possono prevedere”, senza peraltro dimostrare in alcun modo tale tesi. Attualmente gli sforzi in tale campo sono orientati, secondo un approccio rigorosamente scientifico, alla formalizzazione e validazione di diverse metodologie previsionali. Le metodologie da noi applicate hanno la prerogativa di aver aver adottato tale approccio sin dagli anni ’80, in collaborazione con colleghi della Accademia delle Scienze di Mosca e dei Los Angeles, permettendo così di ottenere ora risultati statisticamente significativi. E’ sorprendente che, nonostante i numerosi studi e finanziamenti attualmente dedicati allo sviluppo, verifica e validazione di modelli per la previsione dei terremoti, si continui ad affermare banalmente che “i terremoti non si possono prevedere”, contribuendo, colpevolmente, alla disinformazione. Apparentemente le previsioni a breve termine potrebbero sembrare le più utili ed attraenti. Tuttavia le conseguenze di possibili errori legati alle previsioni a breve termine, proprio per la tipologia di azioni che esse comportano (e.g. evacuazione), potrebbero rivelarsi anche peggiori del verificarsi dell’evento senza che lo stesso sia preceduto da un allarme a breve termine. Supponiamo, ad esempio che venga indicato che dal giorno X per un periodo di tre giorni ci sarà un forte terremoto in un’area di alcune decine di km quadrati, con una densità di popolazione di 200 abitanti per chilometro quadrato (allarme a breve termine). Tale tipo allarme potrebbe suggerire l’evacuazione per alcuni (diciamo 4) giorni di un numero non troppo elevato di persone. Trascorsi i quattro giorni, cioè un giorno in più di quanto previsto dall’allarme, viene autorizzato il rientro, ma il giorno successivo si verifica il terremoto. Errori temporali di questa entità rispetto ai processi geologici sono veramente minimi. Un discorso analogo potrebbe essere fatto per quanto riguarda un possibile errore nella previsione dell’epicentro. In altre parole la previsione a breve termine richiede una precisione molto difficilmente raggiungibile”.
“Come detto in tutte le sedi gli esperimenti di previsione validati non mirano assolutamente alla evacuazione. Anzi, le previsioni a medio termine spazio-temporale possono fornire una informazione utile proprio per motivare, pianificare e mettere in atto misure preventive. Esiste infatti una serie di azioni preventive che possono far seguito ad un “allarme”. L’elemento essenziale per la mitigazione dei danni consiste nel tempestivo e progressivo aumento o riduzione delle misure di sicurezza, in funzione dello stato di allerta in corso.
Ci sono due tipi di misure di sicurezza da intraprendere:
PERMANENTI che tra le altre cose includono: normativa sismica per l’edilizia, che richieda l’adeguamento antisismico degli edifici; potenziamento dei servizi di pubblica sicurezza; assicurazione e tassazione specifica; raccolta ed analisi dei dati per la stima del rischio sismico e per l’identificazione dei precursori del terremoto; preparazione della risposta alla previsione e delle attività post-disastro: pianificazione; definizione della normativa di base; accumulo delle scorte; simulazione degli allarmi, formazione della popolazione, ecc.
TEMPORANEE, che possono essere adottate come risposta ad un allarme: rafforzamento delle misure di sicurezza permanenti appena elencate; definizione di un piano di ristrutturazione per gli edifici strategici nell’area allertata; verifica dello stato degli alloggi temporanei (tende, strutture prefabbricate, ecc.) e garanzia della loro pronta disponibilità; predisposizione delle misure di intervento e soccorso a lungo termine (finalizzate al ripristino delle strutture abitative, degli apparati produttivi e delle attività lavorative, ecc.); evacuazione della popolazione e di strutture altamente vulnerabili (scuole ed ospedali); verifica della pronta operatività dei piani di soccorso; diffusione sistematica, attraverso i media, di semplici istruzioni per la predisposizione di punti di soccorso, in corrispondenza delle parti più resistenti degli edifici, forniti dei viveri essenziali (acqua, cibi di emergenza, oggetti di primo soccorso, ecc.). La previsione a medio termine quindi ha il merito di richiamare l’attenzione degli amministratori su di un pericolo comunque incombente e troppo spesso trascurato”.
“Emergenza ed etica non vanno d’accordo”.
Quali sono, in generale, le zone ad alto rischio sismico dell’Italia e, in base ai vostri studi, in quali macro-aree potrebbero esserci altri terremoti in futuro?
“Le zone ad alto rischio sismico in Italia sono quelle mostrate in figura, dove l’accelerazione da cui ci si deve difendere è maggiore od uguale a 0.2g (g è l’accelerazione di gravità pari a circa 1000 cm per secondo per secondo) . Tale mappa è stata pubblicata per la prima volta nel 2001 nel volume 43 della serie Advances in Geophysics dell’Academic Press (New York)”.
Il calcolo sui “tempi di ritorno” dei terremoti è valido?
“Il concetto di periodo di ritorno è alla base della carta di pericolosità su cui si fonda la normativa e non lo ritengo adeguato per la protezione efficace dell’uomo dal terremoto. In una prospettiva antropocentrica, fra l’altro coerente con lo spirito della Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri N. 3274 del 2003 (OPCM 3274/2003) e della successiva normativa, è essenziale che almeno le strutture strategiche e pubbliche (edifici, impianti, ponti) siano progettate in modo da resistere a futuri forti terremoti. Quando si verifica un terremoto con una data magnitudo, M, lo stesso genera un moto sismico del suolo che non dipende certamente da quanto un evento di tale magnitudo è sporadico nell’area di studio. Pertanto, i parametri di progettazione antisismica non devono essere scalati in funzione della maggiore o minore sporadicità del terremoto, ma devono invece tener conto dei valori di M consistenti con la storia sismica e la sismotettonica (nodi sismogenetici identificati mediante analisi morfostrutturale), come previsto dall’approccio neodeterminisitco (Neodeterminstic Seismic Hazard Assessment – NDSHA) che utilizza terremoti di scenario. Conseguentemente, per passare da un’ottica focalizzata sulla gestione dell’emergenza ad una nuova prospettiva basata sulla prevenzione, è necessario rivalutare sostanzialmente l’ambito di applicabilità dell’approccio probabilistico (Probabilistic Seismic Hazard Assessment – PSHA), limitandone l’uso alla classificazione del territorio sulla base della probabilità che, in una certa area, un terremoto con una data magnitudo possa verificarsi in un certo intervallo di tempo (e.g. terremoto disastroso [ ? 500 anni]; terremoto forte [ ? 140 anni]; terremoto frequente [ ? 70 anni]). Se si considerano quindi due siti possibili sedi di terremoti della stessa magnitudo (ad esempio 7), ovvero proni agli stessi effetti, a parità di tutte le altre condizioni, il sito dove la sporadicità è maggiore risulta naturalmente preferibile per nuovi insediamenti (viceversa per la riqualificazione preventiva). Tuttavia i parametri di riferimento della progettazione antisismica (Design Ground Acceleration – DGA, Peak Ground Acceleration – PGA, Peak Ground Velocity – PGV, Peak Ground Displacement – PGD, SA – Spectral Acceleration, etc.) devono essere uguali nei due siti, dato che la magnitudo da cui ci si deve difendere, M=7 (ovvero il moto sismico del suolo), è la stessa. La valutazione è ovviamente diversa se ci si pone in una prospettiva puramente attuariale, che può essere soddisfacente per il sistema assicurativo, ma richiede in ogni caso una caratterizzazione statistica adeguata, che non risulta generalmente possibile a causa della scarsità delle osservazioni disponibili. Il concetto di periodo di ritorno è legato all’idea che una singola faglia si comporta come una molla, che può essere assimilata ad un sistema oscillante ad un grado di libertà (pendolo semplice). In natura le faglie si presentano a fasci più o meno numerosi, quindi si ha a che fare con un insieme di pendoli accoppiati, il cui comportamento globale non è più periodico ma può essere ben usato per descrivere il concetto di caos deterministico, un’apparente ossimoro. I modelli matematici di tipo deterministico vengono in genere associati all’idea di fenomeni regolari, prevedibili, che si ripetono nel tempo, mentre il termine caotico viene riferito a situazioni caratterizzate da assenza di regole e da imprevedibilità. La scoperta del caos deterministico spezza questa dicotomia, in quanto mostra come modelli matematici deterministici (cioè privi di ogni elemento aleatorio nelle equazioni che li definiscono) sono in grado di generare andamenti estremamente complessi, sotto molti aspetti imprevedibili, tanto da risultare quasi indistinguibili da sequenze di eventi generati attraverso processi aleatori (più dettagli al sito http://matematica.unibocconi.it/caos/home.htm). In altre parole se ho stimato, in base alla storia sismica, un periodo di ritorno di 1000 anni per una certa zona dove sono presenti alcune faglie non posso certo sapere quando il millennio è iniziato per ciascuna faglia”.