In Italia soltanto il 40% del territorio e’ coperto da un’informazione geologica di dettaglio. A lanciare il grido d’allarme e’ il sismologo dell’Ingv Salvatore Barba, che, in un’intervista video che sara’ trasmessa mercoledi’ 6 giugno sul Rotocalco Adnkronos e sul sito Ign, denuncia come la conformazione del sottosuolo di ben il 60% del territorio italiano sia praticamente sconosciuta a causa della mancanza di una carta geologica aggiornata al 50.000. “Soltanto il 40% del territorio e’ coperto da un’informazione geologica di dettaglio – spiega Barba – Se in alcune zone ci sono falde acquifere prossime alla superficie e’ normale che in occasione di un terremoto, o anche prima, queste raggiungano la superficie e fluidifichino il terreno su cui magari e’ costruito un edificio, una casa. Inoltre, esistono gli effetti di amplificazione di sito, particolarmente in aree di pianura dove le case sono spesso costruite su terreni non consolidati. Per poter ridurre i danni in futuro e’ indispensabile aumentare la quantita’ di informazioni di ciascun territorio da parte dei Comuni. In assenza, la ricerca pubblica, di conseguenza, tende ad orientarsi dove ci sono piu’ dati, trascurando le altre aree“. Tra le regioni che si aggiudicano la maglia nera, per scarse informazioni relative al sottosuolo, molte si trovano nel Sud Italia. “Ci sono alcune regioni di cui sappiamo davvero poco, anche sui dati di sottosuolo – spiega Barba – per esempio la Sicilia, la Calabria, il Molise e anche il Veneto“.
E proprio nel Sud Italia e’ concreto il pericolo che si verifichi un sisma di proporzioni superiori a quello che recentemente ha colpito l’Emilia. “Nel sud Italia c’e’ il pericolo che in linea di principio si verifichi un sisma piu’ forte, come descritto dalla zonazione sismotettonica del territorio italiano – prosegue Barba – Gia’ dal punto di vista storico quelle regioni ricordano terremoti fino a magnitudo 7 e oltre, che significa 30 volte l’energia di un terremoto di magnitudo 6“. “Anche le sezioni sismiche, comunemente fatte per la ricerca petrolifera, sono uno strumento formidabile per indagare il sottosuolo – aggiunge Barba – soprattutto dove in superficie non e’ possibile avere affioramenti utili alla comprensione delle tettonica: in pianura padana sono quelle che hanno permesso di capire la struttura e la loro vitalita’ almeno 20 anni fa“. “E‘ necessario approfondire le indagini integrate – prosegue – a cioe’ dei modelli che considerino dati di sottosuolo, faglie, Gps, terremoti per stabilire quali siano le faglie bloccate, quelle cioe’ che accumulano energia“.
“Storicamente ci sono stati terremoti molto piu’ distruttivi, per entita’ di danni e numero di vittime, di quello che ha colpito l’Emilia – ricorda Barba – Andiamo dal terremoto dell’Irpinia che causo’ 3mila vittime a quello di Messina, che provoco’ 70mila morti, a quello dell’Aquila, che e’ stato un po’ piu’ forte di questo e ha causato 300 vittime“. Sebbene di intensita’ inferiore, anche in Emilia il terremoto ha provocato crolli di edifici, case, chiese e beni storici. “Anche se la carta di pericolosita’ per quell’area e’ stata fatta circa una decina di anni fa, questo non vuol dire che non ci saremmo dovuti preoccupare di tutto il pregresso, di tutto il costruito“, spiega Barba“. “Al momento – aggiunge il sismologo – c’e’ una indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza sismica in Italia, a cura della VIII Commissione permanente (Ambiente, territorio e lavori pubblici): l’indagine finira’ il 31 ottobre e studiera’ lo stato del patrimonio nelle zone che sono state dichiarate sismiche recentemente e tutto il pregresso costruito prima delle norme antisismiche”.