Terremoto in Emilia Romagna: parmigiano in superficie e… gruviera nel sottosuolo?

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I disastrosi sismi iniziati il 20 maggio 2012 in Emilia al confine con Lombardia e Veneto sono stati caratterizzati da non elevata magnitudo e da catastrofici effetti locali che hanno duramente colpito numerosi monumenti, abitazioni e impianti produttivi causando circa 30 vittime, centinaia di feriti e migliaia di senzatetto. La superficie del suolo era occupata da centinaia di impianti produttivi di grande importanza tecnologica e socio-economica: una produzione simbolo di eccellenza della pianura è senz’altro quella del parmigiano, rinomato in tutto il mondo. Purtroppo i problemi sono stati creati  dalle sabbie presenti nelle prime decine di metri del sottosuolo. Stabili e ricche d’acqua superficiale in condizioni normali: diventate “sabbie mobili” sotto le sollecitazioni sismiche. E più in profondità, come stanno le cose?

Era noto che nel sottosuolo, ad alcune migliaia di metri di profondità, vi fossero faglie attive in grado di generare terremoti. Prevalentemente dopo la seconda guerra mondiale le ricerche di idrocarburi avevano messo in evidenza che al di sotto della piatta pianura vi erano delle grandi strutture compressive che interessavano la copertura sedimentaria per diverse migliaia di metri: il così detto “arco di Ferrara”. Nella parte sommitale di tali strutture, che costituiscono il fronte sepolto attivo dell’avampaese deformato, soggetto a continua compressione in seguito al relativo avvicinamento delle masse continentali dell’Africa ed Europa sono stati rinvenuti vari giacimenti di idrocarburi per cui prevalentemente dalla seconda metà del secolo scorso il sottosuolo è stato interessato da numerose e diversificate attività che solitamente caratterizzano l’estrazione minerale. La profondità raggiunta dai pozzi e dalle connesse attività, in base ai dati reperibili in rete, si aggira sui tremila-cinquemila metri.

Le perforazioni profonde hanno messo in luce che nel sottosuolo dell’arco ferrarese si trova una anomalia termica positiva, cioè i fluidi che saturano le rocce sono più caldi di quanto dovrebbero essere normalmente. Si tratta di una notevole risorsa naturale che è utilizzata dalla città di Ferrara che dispone di un diffuso e funzionale impianto di teleriscaldamento: da un pozzo viene estratta acqua calda che circolando in apposite tubazioni fornisce calore agli edifici urbani per poi essere reiniettata nel sottosuolo mediante un altro pozzo profondo. La Regione Emilia, in base alle notizie disponibili, ha previsto una ulteriore valorizzazione della risorsa. Si trovano dati relativi a vari pozzi, più profondi di quelli petroliferi, che sfiorano i 7000 metri, anche nella zona epicentrale dei sismi di maggio 2012.

In rete si può consultare qualche documento relativo al CCS (Carbon Capture & Storage) che costituisce una delle tecnologie individuate come prioritarie dallo Strategic Energy Technology (SET) Plan della Commissione europea, al fine di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 del Programma EU 2020. Anche l’Italia partecipa da protagonista agli sforzi internazionali in atto per far sì che la CCS diventi una realtà che sia economicamente percorribile, preservando l’ambiente e la salute. Oltre alle varie attività di ricerca svolte dagli Enti di ricerca e dalle Università, l’iniziativa più significativa e di tipo più sperimentale – dimostrativo è stata intrapresa da ENEL ed ENI. L’ENI si appresta ad usare il sito di stoccaggio di Cortemaggiore, che ha ricevuto il 14 aprile 2011 il via libera dalla Commissione VIA e VAS del Ministero dell’Ambiente e dal Ministero dei beni culturali. Il Decreto VIA per l’impianto dell’ENI di stoccaggio di CO2 a Cortemaggiore è disponibile al pubblico sul sito del Ministero. Entra così nella sua fase operativa il progetto che prevede, nel sito localizzato a cavallo dei comuni di Cortemaggiore e Besenzone in provincia di Piacenza, l’iniezione di 24.000 tonnellate di CO2 nell’arco di 3 anni a 1500 metri di profondità; qui la CO2 sarà permanentemente sequestrata, e l’ENI provvederà al monitoraggio ed alla verifica della stabilità e della sicurezza dello stoccaggio. La prima applicazione su scala industriale di CCS sarà realizzata da Enel nella nuova centrale a carbone di Porto Tolle, (Rovigo). Il nuovo progetto, uno dei sei grandi progetti dimostrativi europei, tratterà 810 mila metri cubi l’ora di fumi (il 40% di quelli di uno dei tre gruppi da 660 MW con cui sarà equipaggiata la centrale) separando fino a un milione di tonnellate l’anno di CO2, che saranno trasportate mediante gasdotto e confinate in un acquifero salino profondo sotto il fondo del mare Adriatico. Lo INGV con il Dipartimento di Scienze geologiche dell’Università di Roma Tre e il CESI Ricerca (ora RSE) ha sviluppato con un nuovo approccio metodologico un database georeferenziato (GIS) dedicato alla qualificazione per qualità e profondità delle coperture rocciose (caprock) degli acquiferi salini per lo stoccaggio geologico della CO2 in Italia. La qualità e la distribuzione dei caprock in falda profonda sono stati definite analizzando i 1291 report di perforazioni al di sotto degli di 800 metri, tra i 7575 perforati negli ultimi 50 anni in Italia, secondo i dati dall’Ufficio Nazionale Italiano Minerario per gli Idrocarburi e la Geotermia (UNMIG). Le aree di potenziale stoccaggio della CO2 sono caratterizzate da caprock omogenei e da una falda acquifera sottostante. Un requisito ritenuto indispensabile per l’utilizzo di serbatoi profondi naturali è rappresentato dalla sismicità locale che deve essere bassa o assente.

Allora? Le attività umane legali sulla superficie del suolo sono controllate! E quelle nel sottosuolo? Per le attività umane sulla superficie del suolo in aree sismiche, e che sono caratterizzate da faglie sismogenetiche nel sottosuolo ad alcuni chilometri di profondità, vi sono delle leggi che devono essere rispettate. Sorprende che vi sia un libertà d’azione nel sottosuolo addirittura sulle faglie sismogenetiche.

Negli ultimi 50 anni ben 7575 pozzi profondi sono stati perforati in Italia, molte decine sulle faglie sismogenetiche come nell’area epicentrale emiliana.

Numerosi pozzi profondi alcune migliaia di metri sono stati perforati e altri se ne faranno nell’Alta val D’Agri, in Basilicata al confine con la Campania, nell’area epicentrale del disastroso sisma del 1857 di “potenza” significativamente superiore all’evento del 20 maggio 2012 in Emilia.

Lo scorso anno l’ENI ha richiesto e ottenuto dalla Regione Basilicata, con deliberazione della Giunta Regionale n. 1005 del 12/7/2011, l’autorizzazione alla reiniezione di liquidi provenienti dalla lavorazione del Centro Olii Val D’agri nel pozzo ?Monte Alpi 9 che si trova a circa 800 metri dalla faglia ritenuta attiva di Grumento Nova. Nello scorso mese di Aprile, il Consiglio Comunale di Grumento Nova (PZ), avvalendosi del principio di salvaguardia del territorio, ha approvato all’unanimità una deliberazione con la quale si esprime parere contrario alla richiesta dell’Eni in quanto oltre a determinare un rischio di inquinamento delle falde
sotterranee le attività dell’ENI in profondità possono interagire con le attività sismiche naturali del territorio.

Il timore della piccola comunità di Grumento Nova richiama l’attenzione dei cittadini italiani: timore esagerato? Timore fondato? Facciamo chiarezza, approfondendo in maniera trasparente la conoscenza delle diversificate attività già eseguite negli ultimi 60 anni, attualmente in atto e previste nel prossimo futuro nel sottosuolo caratterizzato da faglie sismogenetiche.

Facendo riferimento alla figura 2 si vede che le aree denominate Emilia 1 e mare sembra che comprendano parte dell’arco ferrarese e le aree marine sismicamente attive.

Per quanto riguarda i pozzi profondi realizzati in passato per vari scopi nell’area epicentrale di fine maggio 2012 in Emilia si fa presente che numerose perforazioni si sono spinte a profondità alle quali si sono verificati vari epicentri. Una perforazione di per se non desta preoccupazioni: eventuali problemi possono essere connessi alle eventuali attività che solitamente caratterizzano le attività estrattive sulle faglie sismogenetiche.

In base ai dati sismologici resi noti dall’INGV si evince che le faglie sismogenetiche dell’area epicentrale degli eventi di fine maggio 2012 si rinvengono prevalentemente a profondità comprese tra 8 e 3 chilometri di profondità: l’ipocentro dell’evento del 20 maggio è stato ubicato a circa 6 km di profondità.

Il fronte dell’arco ferrarese da diversi secoli è stato interessato dalla compressione causata dai movimenti relativi tra i continenti africano ed europeo. Da diversi secoli non si è manifestata sismicità significativa nell’area epicentrale del 20 maggio 2012. Le rocce del sottosuolo, prima delle rotture e scorrimenti di faglia iniziati il 20 maggio, hanno incamerato energia potenziale per circa 400 anni. Quando nella seconda metà del secolo scorso sono iniziate le perforazioni sull’arco ferrarese vi era già una notevole energia potenziale accumulata nelle rocce prevalentemente carbonatiche comprese tra circa 8 e circa 3 chilometri di profondità che sopportavano gli “attriti” tra il “prisma instabile” spinto verso nord e quello “resistente”. Deve essere accertato cosa sia stato eseguito nei pozzi profondi negli ultimi 60 anni circa e non solo negli ultimi anni. E’ evidente che l’energia che ha scatenato gli eventi sismici è di tipo naturale e tettonico. Attività umane non possono mai scatenare una sequenza di eventi sismici in una zona nella quale non vi sia energia potenziale accumulata per motivi tettonici.

Varie dichiarazioni (di rappresentanti di istituzioni pubbliche e associazioni private) hanno evidenziato che i sismi sono di origine naturale; hanno sorvolato sull’eventuale influenza umana nell’anticipare la crisi sismica. Anticipare gli eventi sismici può voler dire che se essi si fossero verificati “naturalmente” tra qualche decina di anni, appropriati interventi ingegneristici sui manufatti crollati li avrebbero potuto adeguatamente consolidare. Nelle dichiarazioni si da per certo che gli ipocentri si trovino a profondità superiore a quella raggiunta dai pozzi; non si fa riferimento ai pozzi profondi geotermici che superano per profondità quella dell’epicentro del sisma del 20 maggio. Nelle stesse dichiarazioni si da per scontato che gli autori delle affermazioni siano perfettamente al corrente di tutte le attività eseguite negli ultimi 60 anni nei pozzi profondi; evidentemente si fa riferimento a dati di consulenze continue e documentate prestate da decine di anni alle varie società. Se si tratta di consulenze o di rapporti di lavoro o collaborazione con le società che hanno operato ed operano nel sottosuolo le dichiarazioni possono sembrare “originali” specialmente perchè non richieste e fatte in sostituzione di quelle ufficiali delle organizzazioni pubbliche che concedono e controllano le attività nel sottosuolo.

Il problema da accertare, per la sicurezza di cittadini e dell’assetto socio-economico del territorio caratterizzato da faglie attive e sismogenetiche nel sottosuolo e per fugare ipotesi di eventuali responsabilità umane, è l’eventuale ruolo di attività umane diversificate nel sottosuolo esplicate in un periodo di circa 60 anni.

Una adeguata riflessione va fatta su tutte le attività nel sottosuolo fatte in passato, in corso e previste nelle aree caratterizzate da faglie sismogenetiche al fine di mettere a punto adeguamenti legislativi che garantiscano la sicurezza dei cittadini, delle risorse naturali profonde e superficiali.

Ma chi fa queste riflessioni in maniera trasparente e nell’interesse di tutti i cittadini?

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