Dal 1999 i geologi del DISS Working Group (DISSWG) dell’INGV utilizzano congiuntamente dati geomorfologici e dati geologico-geofisici del sottosuolo per individuare le sorgenti sismogenetiche della Pianura Padana. Questo approccio multidisciplinare è indispensabile perstudiare la tettonica attiva nelle aree di pianura in quanto la quasi totalità delle strutture è sepolta sotto una spessa coltre di sedimenti del Quaternario (cioè quelli deposti negli ultimi due milioni di anni circa). Particolare attenzione viene posta allo studio dell’idrografia in quanto essa è l’elemento del paesaggio più sensibile ai lievi cambiamenti della topografia e dei relativi gradienti indotti dall’attività tettonica.
Attraverso l’analisi dettagliata del reticolo idrografico dell’intera Pianura Padana sono state individuate le più importanti anomalie del drenaggio di origine certamente non antropica; tali anomalie sono state poi confrontate con la posizione delle anticlinali sepolte note dalla letteratura geologica. Questa analisi ha consentito di ipotizzare l’origine tettonica di parte delle anomalie osservate e di identificare le strutture attive nel sottosuolo. Dall’ulteriore confronto tra la posizione delle strutture attive individuate e la sismicità storica e strumentale è stato possibile affermare che queste strutture non sono solo attive nel senso più generale del termine, ma sono anche sismogenetiche, ossia capaci di generare terremoti. È utile ricordare che in Pianura Padana i cataloghi sismici (CPTI11, CFTI) elencano diversi eventi con magnitudo intorno a 6, localizzati per lo più in prossimità del Pedeappennino, delle Prealpi o in corrispondenza dei fronti appenninici sepolti.
In diversi casi è stato possibile osservare la coincidenza tra la posizione di una anomalia del drenaggio, la presenza di una anticlinale sepolta e la localizzazione di alcuni di terremoti riportati nei cataloghi, e quindi di mettere questi tre elementi in relazione causale. Sono state così caratterizzate le faglie più probabilmente responsabili di quei terremoti storici. Faglie e sistemi di faglie con caratteristiche geologico-geomorfologiche simili a quelle delle faglie responsabili di terremoti noti possono ritenersi altrettanto capaci di generare terremoti. Seguendo questo principio metodologico i geologi hanno mappato numerose strutture sismogenetiche in Pianura Padana e le hanno inserite nel Database of Individual Seismogenic Sources (DISS).
Una notevole anomalia del drenaggio in un’area priva di sismicità storica nei pressi di Mirandola (Modena) fu messa in evidenza già dal 2000, rimarcandone la relazione con la presenza di un’anticlinale riconducibile a una importante faglia attiva sepolta. Poiché la sismicità italiana è caratterizzata da tempi di ricorrenza dei forti terremoti piuttosto lunghi (anche più di 2000 anni), il dato geologico è di fondamentale importanza nella stima della pericolosità sismica. La faglia di Mirandola, ritenuta essere la potenziale sorgente di un terremoto di magnitudo di poco superiore a 6.0, fu inclusa nel DISS 2.0 (Valensise e Pantosti, 2001) e successivamente aggiornata nell’ambito del DISS 3.0 (Basili et al., 2008; la relativa scheda è consultabile on-line). La sequenza sismica in atto, con i forti terremoti del 20 e del 29 maggio 2012, ha riattivato porzioni delle sorgenti identificate come ITCS050-Poggio Rusco-Migliarino e ITCS051-Novi-Poggio Renatico. Queste sorgenti erano state individuate come responsabili del sollevamento delle dorsali di Ferrara e Mirandola che, nel corso di numerose decine di migliaia di anni, ha causato la deviazione del corso dei fiumi Po, Secchia, Panaro e Reno. In particolare il terremoto del 29 maggio sembra essere stato generato proprio dalla “ITIS107-Mirandola“, come suggerito anche dall’esame della deformazione cosismica del suolo documentata con la tecnicaDInSAR.
Per concludere, le sorgenti sismogenetiche dell’Arco Ferrarese-Romagnolo responsabili della sequenza sismica oggi in atto in Pianura Padana erano state censite dai ricercatori dell’INGV da oltre un decennio, e per questa ragione erano già disponibili quando, a seguito del terremoto del Molise del 31 ottobre 2002, l’INGV stesso ha ricevuto dal Governo l’incarico di elaborare una nuova Mappa di Pericolosità Sismica di riferimento per il territorio nazionale. L’architrave della Mappa è la zonazione sismogenetica ZS9 (Meletti e Valensise, 2004; Meletti et al., 2008), un modello sintetico che descrive la localizzazione delle sorgenti di futuri terremoti, la magnitudo massima che questi potranno raggiungere e i ratei di sismicità attesa zona per zona. Il modello ZS9 si è avvalso delle conoscenze disponibili nel DISS 2.0, inclusa l’estensione esatta dei fronti attivi nella Pianura Padana e la magnitudo massima attesa, che per la zona di Mirandola fu fissata a 6.2. Già dal 2004 quindi, anno di pubblicazione della Mappa, queste conoscenze hanno contribuito a rendere più stringente la normativa sismica in una zona in cui i terremoti sono troppo rari per lasciare una traccia nella memoria dell’uomo, ma sufficientemente frequenti da lasciare una firma chiara e indelebile nella geologia e nel paesaggio.
Per approfondimenti:
Basili, R., Valensise G., Vannoli P., Burrato P., Fracassi U., Mariano S., Tiberti M.M. e Boschi E., 2008. The Database of Individual Seismogenic Sources (DISS), version 3: summarizing 20 years of research on Italy’s earthquake geology. Tectonophysics, 453, 20-43, doi:10.1016/j.tecto.2007.04.014.
Meletti C., Galadini F., Valensise G., Stucchi M., Basili R., Barba S., Vannucci G. e Boschi E., 2008. A seismic source zone model for the seismic hazard assessment of the Italian territory. Tectonophysics, 450, 85-108; doi.10.1016/j.tecto.2008.01.003.