Il geologo Paolo Balocchi è un ricercatore libero e indipendente del Geo Research Center Italy. Esperto di sismotettonica, ha scritto molti articoli interessanti sui recenti terremoti emiliani (www.georcit.blogspot.com). Intervistato da Giampiero Petrucci, ci aiuta a capire le strutture tettoniche che regolano la sismologia del nord Italia.
Recenti articoli di MeteoWeb (Perché l’Italia trema? Cause e rimedi dei terremoti che affliggono il nostro paese) hanno già illustrato la situazione generale del nostro paese dal punto di vista sismico, mostrando come nell’ultimo millennio il nord Italia sia stato oggetto di terremoti anche devastanti. Ma perché, dott. Balocchi, la Pianura Padana può essere considerata sismica?
“La pianura Padana è sismica perché nel sottosuolo esistono strutture tettoniche in grado di generare dei terremoti (fig. 1). Tali strutture sono legate al contesto tettonico che alla scala regionale è rappresentato da un piano di subduzione formato dalla placca Adria a NE che scorre al di sotto della Placca Europea a SW (fig. 2). Tale movimento, che è stato misurato essere dell’ordine del centimetro all’anno genera un accumulo di energia nella Litosfera che si libera quando lo stress tettonico è superiore alla resistenza di rottura delle rocce le quali si fratturano liberando energia sotto forma di terremoto”.
Per la precisione, dove si trova esattamente questo piano di subduzione in Emilia e come è stato individuato?
“Lo studio di dettaglio delle strutture sepolte è possibile grazie all’interpretazione dei profili sismici, alcuni realizzati pure dall’AGIP negli anni ’80. Da questi studi si evince come il “piano di Benioff” (fig. 2), ovvero l’area di subduzione vera e propria, si immerga in direzione sud-ovest e sia inclinato di quasi 70°, come una scarpata, nel margine compreso tra Reggio Emilia e la valle del Reno. Sappiamo tutti che il “piano di Benioff” rappresenta una sede privilegiata di terremoti”.
L’Appennino dunque scorre verso nord al di sotto dei sedimenti alluvionali della Pianura Padana. Questo scorrimento è limitato alla sola Pianura?
“Assolutamente no. Prosegue al di sotto dei depositi alluvionali della Pianura Padana in direzione est nella Romagna e lungo la linea di costa del Mar Adriatico (fig. 3) formando un arco relativo all’Appennino settentrionale (AS) e proseguendo verso sud lungo il bordo dell’Appennino centrale (AC) e meridionale (AM). A sud il piano di subduzione prosegue fino in Puglia dove arriva nel Golfo di Taranto e nel Mare Ionio (Arco Calabro), incurvandosi verso ovest in direzione della Sicilia e proseguendo alla Tunisia”.
Le zone di subduzione sono dunque aree di contatto tra placche le quali scorrono una sotto l’altra e sede privilegiata di movimenti tellurici. Ma esse sono le sole strutture tettoniche in grado di generare terremoti?
“No. Esistono altre aree a rischio sismico elevato in corrispondenza di altre megastrutture importanti rappresentate dai margini di placca (fig. 4). La litosfera rigida è quella parte superficiale della terra che è divisa in tante porzioni denominate Placche Tettoniche (o zolle tettoniche), che galleggiano sull’Astenosfera la quale si trova allo stato plastico. Le placche sono limitate tra loro dai margini di Placca, che sono sede di terremoti. I margini convergenti sono rappresentati da quelle megastrutture dove le placche si scontrano e una placca, generalmente la più densa, scorre al di sotto dell’altra formando un piano di subduzione. La famosa faglia di S. Andrea in California è un margine trasforme destro che mette a contatto la placca Nord Americana a Est e la Placca Pacifica a Ovest. Lungo questo margine il movimento delle due placche è orizzontale: la Placca Pacifica si muove in direzione NW e quella Nord Americana in direzione SE. Altre megastrutture in grado di generare terremoto sono rappresentate dai margini divergenti come la dorsale medio Atlantica che scorre al centro dell’omonimo oceano e mette a contatto la Placca Nord Americana con quella Europea determinando il loro allontanamento reciproco”.
Ed in Pianura Padana, oltre alle zone di subduzione, quali sono le altre aree a rischio terremoti?
“A scala minore esistono delle strutture denominate faglie che sono in grado di generare terremoti. Una faglia è una frattura della litosfera lungo la quale si manifesta un movimento. Sicuramente il fronte della catena Appenninica (quella zona di passaggio tra la montagna e la pianura), dove sono presenti numerose faglie, potrebbe essere sede di terremoti. Anche lungo lo stesso arco appenninico sono presenti numerose faglie che non sempre sono da considerasi attive e quindi in grado di generare terremoti”.
A sud la Pianura Padana si trova limitata geograficamente dagli Appennini ed a nord dalle Alpi. Tettonicamente parlando, non ha dunque scampo?
“In effetti la Pianura Padana è come stretta in una morsa tettonica (fig. 3 e 5). A nord troviamo la struttura alpina, creata dalla subduzione della placca europea (a nord) al di sotto di quella africana (a sud). Le Alpi sono una tipica catena collisionale: ciò è evidenziato dal fatto che il loro lato a sud è sud-vergente mentre il lato nord è nord-vergente. A sud della Pianura troviamo invece l’Appennino che continua a spingere verso nord, ostacolato solo in maniera parziale dalla porzione meridionale alpina”.
Abbiamo visto come si sono formate le Alpi. E gli Appennini come hanno avuto origine?
“L’appennino è una catena a falde, formatasi durante il Terziario in seguito alla collisione tra la Placca Europea e quella Africana, rappresentata dalla microplacca Adria. La lunga storia geologica ha visto un iniziale deposizione di sedimenti all’interno del bacino marino chiamato Ligure-Piemontese che separava le due placche. Successivamente a causa dei movimenti tettonici si è verificata la chiusura del bacino determinando il progressivo scontro delle placche e il sollevamento della catena appenninica settentrionale e la formazione di strutture tettoniche come le attuali pieghe emiliane, ferraresi e romagnole”.
Veniamo ai recenti terremoti emiliani, oggetto di un suo interessantissimo scritto, disponibile online all’indirizzo http://georcit.blogspot.it/2012/07/sismotettonica-della-sequenza-sismica.html. Qui si parla di sorgenti sismogenetiche collegate alle “pieghe ferraresi”. Può spiegarci meglio cosa si intende con questo termine?
“Le pieghe ferraresi sono delle strutture tettoniche che si trovano al di sotto dei depositi della Pianura Padana rappresentate da rocce stratificate che formano un’anticlinale limitata alla base da faglie, come l’alto di Mirandola (fig. 6). Tali strutture sono in grado di generare terremoti come accaduto ultimamente nella bassa modenese (fig. 7)”.
Lei ha studiato a fondo le caratteristiche delle sequenze sismiche emiliane. Cosa ha notato rispetto alla loro distribuzione geografica?
“Due evidenze emergono. Innanzi tutto la loro distribuzione è ben definita ed orientata in direzione W-E. Quindi si nota un’evidente migrazione degli epicentri ma con diverse modalità. Nella prima sequenza, quella del 20 maggio, gli epicentri si spostano da Finale Emilia verso Est. Nella seconda, quella del 29 maggio, vanno nel senso opposto, verso Ovest (fig. 8. La migrazione degli epicentri ci indica come le faglie alla base dell’alto di Mirandola, si sono riattivate partendo da un punto centrale e la fatturazione si è propagata prima in direzione est e poi successivamente in direzione ovest”.
E riguardo agli ipocentri?
“Altra situazione interessante. Quelli più superficiali, tra 0 e 10 km di profondità, sono concentrati in una fascia ad andamento W-E secondo l’allineamento Novi-Mirandola-Bondeno. Quelli più profondi, tra 10 e 35 km, si trovano geograficamente più a sud ma allineati ancora W-E secondo la linea Carpi-S.Prospero-Crevalcore-Cento. Inoltre si nota un netto approfondimento progressivo della loro posizione da nord a sud (fig. 9)”.
Da un punto di vista sismotettonico invece cosa si può dire?
“La sismotettonica è una branca delle Scienze della Terra che studia le relazioni che intercorrono tra le strutture tettoniche attive e la distribuzione sismica di una data area del territorio. Per quanto riguarda il terremoto che ha colpito il territorio emiliano possiamo dire che si sono attivate due sequenze sismiche, la prima, del 20 maggio 2012, con un evento principale di Ml 5.9, generata dalla struttura Bondeno-Ferrara, e una seconda, del 29 maggio 2012, con Ml 5.8, generata dalla struttura Finale Emilia-Mirandola-Novi. Entrambe le strutture tettoniche fanno parte di una struttura a scala maggiore denominata “piega ferrarese”. Se consideriamo invece le deformazioni tettoniche l’area ha subito un accorciamento in direzione N-S e un allungamento di circa 11 cm in direzione verticale. Questo vuol dire che la zona colpita dal terremoto si è spostata in direzione nord e il suolo si è alzato di circa 11 cm. Tale deformazione è messa in evidenza anche da effetti co-sismici quali le fratture del suolo”.
Dunque la Pianura Padana è sismica e le strutture sepolte sotto i suoi sedimenti continuano a muoversi. Questo significa che presto dovremo attenderci altri terremoti?
“In futuro sicuramente altri terremoti potrebbero manifestarsi in prossimità della catena appenninica e il suo fronte sepolto. Questo a causa del continuo movimento relativo delle due placche, quella europea e la microplacca Adria, che favorisce l’accumulo di energia tettonica che quindi potrebbe essere scaricata e tramutarsi così in eventi sismici. Infatti considerando i tempi geologici e la direzione del movimento delle due placche costante nel tempo, la Pianura Padana e il mar Adriatico, che rappresentano il fronte della catena appenninica, sono destinate alla loro chiusura portando le coste italiane e quelle della ex Jugoslavia a combaciare”.
Ultima domanda. Cosa dovremmo fare per migliorare le nostre conoscenze sismotettoniche e dunque potenziare la salvaguardia del nostro territorio dal rischio sismico?
“Considerando le conoscenze attuali, non è ancora possibile prevedere i terremoti in termini di localizzazione dell’epicentro, magnitudo dell’evento e giorno esatto in cui avverrà il terremoto. Sicuramente le conoscenze sismotettoniche del territorio ci permettono di individuare quelle aree più soggette a terremoti e dove sono presenti strutture tettoniche in grado di generare eventi sismici. Anche un approccio paleosimologico, cioè studiando i segni dei terremoti del passato che sono stati registrati nelle rocce recenti della terra (sedimenti attuali e rocce Oloceniche), può aiutare a migliorare la conoscenza del nostro territorio”.