La Professoressa Teresa Crespellani, per molti anni autorevole docente di Ingegneria Geotecnica Sismica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Firenze, è una grande esperta di microzonazione sismica e problematiche connesse al comportamento dei terreni in relazione agli eventi tellurici. Intervistata in esclusiva per Meteo Web da Giampiero Petrucci, esprime le sue considerazioni sulle principali tematiche di sicurezza del territorio riguardo ai terremoti.
Prof.ssa Crespellani, a seguito del recente terremoto emiliano, come già descritto anche su Meteo Web ( Perché l’Italia trema? Cause e rimedi dei terremoti che affliggono il nostro paese), abbiamo visto quanto sia fondamentale, per il controllo del territorio in relazione ai terremoti, la microzonazione sismica. Cosa si intende esattamente con questo termine?
Secondo la sua classica definizione, per microzonazione sismica (MS) si intende “l’operazione tecnico-scientifica di suddivisione di un dato territorio in zone omogenee sotto il profilo della risposta a un terremoto di riferimento in arrivo al sito, valutata tenendo conto delle interazioni tra onde sismiche e condizioni geologiche, topografiche e geotecniche locali (“pericolosità sismica locale”) che modificano la “pericolosità di base” (cioè la pericolosità valutata su terreno duro e pianeggiante di riferimento)”. È da sottolineare che nel linguaggio sismico, per pericolosità si intende l’entità massima della scossa sismica attesa in un prefissato intervallo di tempo espressa in termini di accelerazione massima
Come si esegue praticamente la Microzonazione Sismica?
Gli assunti su cui si basa la MS sono due: ogni sito ha una diversa risposta al terremoto in arrivo in un dato territorio; uno stesso sito ha una risposta diversa a seconda dell’energia del terremoto in arrivo. Questo significa che il primo problema di uno studio di MS è che occorre fissare un terremoto di riferimento, cioè un terremoto con un prefissato periodo di ritorno. ln genere questo terremoto è convenzionalmente definito come il terremoto che ha un periodo di ritorno di 475 anni ma potrebbe anche essere diverso. Perciò va precisato. Il secondo problema è come valutare le diverse risposte dei terreni presenti in un dato territorio. A seconda delle diverse condizioni geologiche, morfologiche e geotecniche (condizioni locali) i valori del picco di accelerazione (l’unità di misura utilizzata per valutare la pericolosità sismica, n.d.r.) sono variabili anche se spesso si possono individuare all’interno di un dato territorio zone omogenee, con valori simili. Non disponendo però di reti accelerometriche molto fitte (l’accelerometro è lo strumento che misura l’accelerazione di gravità, n.d.r.) né di dati registrati durante un terremoto pari a quella del terremoto di riferimento, l’ individuazione di queste zone viene fatta attraverso studi di carattere scientifico di tipo teorico ricorrendo a “modelli”, associati ad indagini sul terreno, calcoli ed elaborazioni, articolate e complesse. Un terzo problema è quello della scelta dei “parametri sintetici” attraverso i quali definire l’amplificazione per potere associare ad ogni area omogenea individuata un “numero” indicativo del suo livello di pericolosità. Non è un problema facile e perciò nella letteratura sismica la discussione è ancora in corso. Un quarto problema, infine, è la perimetrazione delle aree omogenee e la stesura della carta finale della MS, una carta (in genere in scala 1:10.000) che oltre ad essere scientificamente rigorosa deve essere “leggibile” anche dai non tecnici (funzionari, amministratori, cittadini, ecc.). Uno studio di MS è quindi essenzialmente un’operazione tecnico-scientifica che richiede studi complessi e di tipo multidisciplinare. Ma ha anche una dimensione “sociale”, perché la conoscenza delle risposte dei vari siti è una condizione imprescindibile per prendere decisioni di governo del territorio. I risultati di uno studio di MS sono di grande utilità nella: pianificazione territoriale e urbanistica (per orientare la scelta di nuovi insediamenti e infrastrutture, per definire l’ammissibilità e le priorità degli interventi sull’esistente), nella progettazione sismica (per identificare scenari di pericolosità a scala più vasta di quella della singola costruzione), nella pianificazione e gestione dell’emergenza ed infine nella ricostruzione post-sisma
Ad oggi in Italia quanta porzione di territorio è stata effettivamente controllata in maniera seria dal punto di vista della microzonazione? In altri termini: quante carte dettagliate di microzonazione sismica esistono per il nostro paese?
I numeri sono incerti e a due cifre. Si tratta di poche decine di casi. Ci sono tre generazioni di studi di MS. La prima generazione comprende prodotti scientifici di “avanguardia” come i casi di Ancona e Tarcento. La seconda generazione comprende studi di MS che sono stati più dei “ laboratori di ricerca per una sperimentazione di dialogo tra esperti e amministratori illuminati”, come quelle degli ultimi 20 anni (Nocera Umbra, Fabriano, Val Tiberina, Perugia, Senigallia, Serra de’ Conti, Cagli, ecc.) e di cui l’ultimo esempio è L’Aquila. La terza generazione comprende delle micro zonazioni “localmente” ed “esclusivamente” pensate per fini di “prevenzione”. Tra queste rientrano diverse microzonazioni condotte in Emilia-Romagna (purtroppo non nei siti colpiti dall’ultimo terremoto!). Comunque, anche se i numeri son bassi, qualcosa si sta muovendo
Esiste dunque effettivamente in Italia, come asseriscono diversi autori, un deficit di protezione sismica?
Certamente. Se non si provvede in tempi ragionevoli con politiche mirate e destinazione di fondi, l’Italia rischia di sfarinarsi, la parte monumentale perché vetusta, la parte non monumentale perché o è precedente alle leggi sismiche, o i fabbricati sono stati costruiti con obiettivi di speculazione e profitto senza il rispetto delle norme del buon costruire, o perché situati in zone ad alta pericolosità locale, o perché sono addirittura abusivi. Se dovesse verificarsi un terremoto nell’area dell’arco calabro come quello di Messina del 1908 le città di Reggio Calabria e Messina si trasformerebbero in due cimiteri visto che il 90% delle costruzioni rientrano in queste categorie!
Abbiamo capito quanto sia importante la Microzonazione Sismica. Ma a parte questa, cosa si deve ulteriormente fare per sviluppare una maggiore sicurezza del territorio rispetto agli eventi sismici?
La MS è uno degli strumenti di difesa dai terremoti. Per sviluppare condizioni di maggiore sicurezza nel territorio ci vogliono molte cose: una realistica classificazione sismica del territorio nazionale, una pianificazione urbanistica che tenga rigorosamente conto degli esiti degli studi di MS, una progettazione delle costruzioni che non solo tenga conto della pericolosità locale sismica ma soprattutto segua i criteri antisismici e dell’arte del buon costruire. Ma una delle condizioni fondamentali per la sicurezza del territorio è anche che ci sia una “cultura diffusa” della prevenzione sismica. Si fa prevenzione non solo con la geofisica, la geologia, l’urbanistica (disponendo per esempio giardini dove i terreni sono più sfavorevoli e dove le vecchie costruzioni distrutte erano prive di valore storico), con l’architettura, l’ingegneria, la storia dell’arte, ecc.. ma si fa prevenzione con l’attenzione delle amministrazioni e dei cittadini al problema della sicurezza. Si fa prevenzione appendendo un quadro, uno specchio, lo scaldabagno, fissando i mobili alle pareti, ponendo dei corrimano, esercitandosi collettivamente… Fare prevenzione in modo serio e tecnologicamente avanzato significa mettere in moto una macchina per attivare ricerche, per formare tecnici, per qualificare le imprese, per catalogare edifici, monumenti, intervenire con consolidamenti dei terreni, con ristrutturazioni… La prevenzione ha assoluto bisogno perciò della scienza, della tecnica ma può anche produrre nuova scienza, nuova tecnica e, soprattutto, lavoro…
Il patrimonio urbanistico italiano è vecchio, talora vetusto ed in grande maggioranza senza alcuna protezione sismica: pensiamo ad esempio ai centri storici delle nostre città più antiche, ai molti borghi situati su pendii acclivi od alla crescita esponenziale della nostra edilizia durante il boom economico degli anni ’60. Quali interventi possono essere sviluppati per mitigare la vulnerabilità di questi edifici?
Il quadro che Lei fa è assolutamente realistico e butta nello sconforto. Dal punto di vista tecnico però le soluzioni ci sono. Quello che occorre è la scelta politica di fare dell’Italia un grosso cantiere per la sua messa in sicurezza. Per quanto riguarda le costruzioni esistenti, il loro rafforzamento passa attraverso due fondamentali tipi di misure: l’adeguamento sismico (che consiste nell’applicare in modo rigoroso le norme per le costruzioni in zona sismica) e il miglioramento sismico (che consiste nell’apportare interventi quali catene, controventature, cuciture, ecc., in modo da ridurre il rischio di crollo, pur accettando un certo livello di danno). Il primo tipo di misura è molto costoso. Il secondo è invece economicamente accettabile. Se si potesse estendere il miglioramento sismico a tutto il patrimonio abitativo sarebbe un risultato formidabile! Ma siamo ben lontano da questo traguardo
Veniamo agli effetti di sito, altro interessantissimo argomento di suoi numerosi scritti. Ricordiamo che per “effetto di sito” si intende un fenomeno che tende ad amplificare localmente lo sviluppo di un terremoto. Su Meteo Web abbiamo analizzato più volte la liquefazione, ampiamente riscontrata nel recente terremoto emiliano. Come può descrivere questo fenomeno e perché è così pericoloso?
Nel linguaggio sismico “ufficiale”, per “effetti di sito” si intendono, come Lei ha ora ricordato, gli effetti di amplificazione del moto sismico dovuti a fenomeni di risonanza tra onde sismiche e terreni. La liquefazione può essere una delle conseguenze estreme degli effetti di sito, ma può anche essere un fenomeno dovuto solo allo scuotimento del terreno quando questo è elevato. Non è cioè necessario perché avvenga liquefazione che nel deposito ci sia stata amplificazione. Perciò nel linguaggio più rigoroso si preferisce definire la liquefazione come “effetto locale”. Per quanto riguarda il fenomeno della liquefazione, ho visto che avete dato largo spazio in MeteoWeb al problema con interessanti richiami alla sua natura e ai casi storici. È però da tenere presente che il termine “liquefazione” è un termine generale che si usa per indicare vari fenomeni fisici (‘liquefazione ciclica’, ‘mobilità ciclica’, ‘fluidificazione’), di differente pericolosità, osservati nei depositi e nei pendii costituiti da sabbie fini e limi (0.02 mm < D50<2 mm) con falda molto superficiale (< 5m) durante i terremoti forti (M> 5.5). A questi tre tipi di fenomeni si associano livelli di danno molto diversi.
Benché molto appariscenti i fenomeni di liquefazione ciclica (vulcanelli, crateri, oscillazioni e rotture del terreno e delle pavimentazioni stradali, con fuoriuscite di acqua e sabbia, galleggiamento di condutture, ecc.) non producono danni alle costruzioni perché si verificano solo in campo libero. Possono tuttavia procurare danni a condutture e infrastrutture stradali. Nel caso di falda molto superficiale possono produrre anche la formazione di pozze d’acqua e, durante terremoti molto forti (magnitudo >7), persino di laghi.
I fenomeni di mobilità ciclica producono danni generalmente limitati (deformazioni plastiche del terreno, abbassamenti, sollevamenti, movimenti orizzontali), ma il terreno nel suo complesso rimane “stabile”. I fenomeni di fluidificazione (flow liquefaction) producono delle perdite di resistenza tali da provocare fenomeni generalizzati (e talora molto spettacolari) di “instabilità” del terreno (perdita di capacità portante del terreno di fondazione, movimenti orizzontali del terreno (lateral spreading), movimento di masse fluide, collasso in pendii naturali e artificiali, galleggiamento di opere sotterranee, crollo di opere di sostegno e banchine portuali, ecc.). Tutti questi fenomeni hanno lo stesso principio fisico, e cioè: nei terreni granulari fini per effetto delle vibrazioni sismiche si ha un incremento delle pressioni nell’acqua compresa tra i granuli, in conseguenza del quale l’acqua tenta di fuoriuscire. Ma poiché l’acqua non può fuoriuscire istantaneamente, sotto l’effetto delle nuove vibrazioni, la pressione continua ad aumentare fino a che l’acqua non trova finalmente delle vie di uscita trascinando con sé anche gli elementi più fini del deposito granulare.
Durante il processo di accumulo della pressione interstiziale si ha una caduta drastica della resistenza al taglio (non necessariamente l’annullamento) che può permanere anche per qualche tempo dopo l’azione sismica fino a che non si ristabiliscono condizioni drenate. Al termine del terremoto, per effetto della gravità, il terreno si deposita con un assetto generalmente più addensato, ma gli esiti post-sismici di questo diverso assetto possono essere molto differenti (limitati o devastanti) a seconda delle relazioni che si stabiliscono tra gli stati di sforzo nel terreno prima, durante e dopo il terremoto, e soprattutto tra la domanda e la capacità di resistenza al taglio. Da quanto detto risulta chiaro che la pericolosità della liquefazione è molto varia a seconda delle relazioni che si stabiliscono tra le sollecitazioni preesistenti al terremoto e le sollecitazioni da questo indotte. Anche nel caso dell’Emilia- Romagna, pur trattandosi di fenomeni vistosi, in realtà i danni alle costruzioni non sono stati eccessivi perché non ci sono stati fenomeni di fluidificazione che sono quelli realmente pericolosi anche per la vita umana
Quali sono le indagini atte a prevenire il fenomeno della liquefazione? Ovvero come possiamo difenderci da essa?
Il problema della riduzione del pericolo di liquefazione è un capitolo enorme dell’Ingegneria Geotecnica Sismica e ci sono interi libri dedicati esclusivamente a questo argomento. In generale si può intervenire sul terreno di fondazione (con colonne drenanti, trincee, consolidamenti con jet grouting, con abbassamento della falda, ecc.) oppure sulle strutture di fondazione (pali profondi, sottofondazioni, ecc.). Ma sarebbe troppo lungo soffermarsi su questo argomento che costituisce ormai un campo del sapere geotecnico vastissimo
Oltre all’Emilia, quali altre aree d’Italia possono essere a rischio liquefazione in caso di un terremoto?
Storicamente i casi di liquefazione sono concentrati soprattutto in Calabria (celebri i casi del terremoto del 1783) e nel messinese, ma non mancano casi sparsi in Sicilia, lungo la costa adriatica (specie nel riminese), in Irpinia, in Umbria, in Friuli
Un effetto di sito poco noto è la doppia risonanza. Cosa può dirci al riguardo?
Concettualmente è un fenomeno semplice. Si verifica quando il periodo fondamentale del terremoto, il periodo di vibrazione del terreno e quello della costruzione sono all’incirca uguali. Il risultato è una fortissima amplificazione del moto sismico. Celebre il caso di doppia risonanza di Città del Messico del 1985, in cui crollarono edifici di 14 piani con periodo di vibrazione T=1.4 s, situati in un deposito molle con periodo di vibrazione T=1.4 s, durante un terremoto il cui periodo fondamentale era di circa 1.4 s. In passato alcune carte di microzonazione sismica riportavano come parametro indicativo della pericolosità dei terreni il periodo proprio di vibrazione dei depositi in modo da potere nella pianificazione urbanistica adeguare il numero dei piani alla pericolosità del sito. Infatti il periodo di vibrazione delle costruzioni è facilmente determinabile, così che nelle aree di espansione è possibile porre dei vincoli all’altezza degli edifici in modo da ridurre il rischio di risonanza tra edifici e terreni
Quali sono altri “effetti locali” particolarmente pericolosi e come possiamo difenderci da ciascuno di loro?
Oltre alla liquefazione, gli effetti locali più importanti sono, nelle parti montuose e collinari del nostro territorio nazionale, i movimenti franosi e i crolli di roccia. È un discorso talmente ampio che non è possibile parlarne in questa sede. Ma certamente i terremoti inducono una doppia azione (aumento delle sollecitazioni e riduzione della resistenza al taglio) che possono portare a collasso i tanti pendii in condizioni precarie presenti nel nostro paese. Ma oltre ai movimenti franosi, tra gli effetti locali sono da citare gli scorrimenti di faglia e le rotture del terreno, i fenomeni di subsidenza nei depositi coesivi molli, i cedimenti nei terreni granulari asciutti, i crolli di cavità sotterranee… Anche questo è un argomento vastissimo che meriterebbe ben altro spazio
Passiamo alle grandi opere infrastrutturali. Da oltre 50 anni si fa un gran parlare del Ponte sullo Stretto, situato tra l’altro in una zona altamente sismica, certamente tra le più soggette d’Italia allo sviluppo di un grande evento tellurico. A prescindere dalle valutazioni economiche, quale è il suo parere tecnico al riguardo?
Sul Ponte sullo Stretto mi sono espressa in varie occasioni. Ma credo che le mie siano riflessioni suggerite dal buon senso. Come si può accettare di dare priorità alla costruzione di un ponte costosissimo in un luogo dove si prevedono scuotimenti sismici estremi per il nostro paese associati a fenomeni quali tsunami, movimenti franosi, liquefazione del terreno e dove la memoria storica ci ricorda che nel 1908 ci furono dagli 80000 ai 100000 morti? Anche ammesso (ragionevolmente) che il ponte si possa costruire in modo da resistere ai terremoti, si può prescindere dal contesto geografico e sociale in cui il ponte si colloca, dove, come ho detto prima, il 90% delle abitazioni non è a norma? In una condizione di risorse limitate, non sarebbe logico prima proteggere la popolazione e poi pensare al ponte?
Un altro problema cruciale in relazione alle grandi opere riguarda l’attraversamento sotterraneo di Firenze per la linea ferroviaria Alta Velocità. Si sta costruendo un tunnel apposito e lei in passato ha avuto modo di valutare questo progetto. Cosa ne pensa?
La constatazione che l’ovvio non sia patrimonio comune dell’umanità lascia sfibrati. Appare incredibile che la quasi totalità dei fiorentini, siano essi cittadini, politici, uomini di cultura, intellettuali, operatori turistici, non reagisca al fatto che per dieci anni la costruzione del tunnel Alta Velocità renderà ancora più invivibile la città, già dal traffico insopportabile, e soprattutto non avverta che la realizzazione del tunnel impedirà per sempre di risolvere i problemi della mobilità urbana veloce. Ma non solo. Oltre all’opera, che alla città porterà solo disturbi di traffico e lesioni negli edifici e nessun vantaggio (visto che non è una metropolitana e che già Firenze è collegata con l’Alta Velocità in superficie), in questo caso è anche il progetto ad essere altamente criticabile. Un progetto tirato via dalle Ferrovie dello Stato, che non rispetta le norme sismiche, con un enorme stazione sotterranea che non ha seguito la procedura di VIA, con parametri ingegneristici non cautelativi, che lascia prevedere cedimenti superiori di almeno due-tre volte quelli calcolati e molti altri impatti e grossolanità, tra cui il fatto che non si sa ancora che fine faranno i tre milioni di metri cubi del materiale di scavo. Non sono direttamente interessata ai danni che l’opera procurerà (abito in altra parte della città) ma mi tocca nel vivo della mia professione di ingegnere geotecnico e di cittadina italiana che ama Firenze
Per finire: le leggi attuali in materia antisismica sono sufficienti? Quali suggerimenti, dall’alto della sua grande esperienza, si sente di poter fornire ai legislatori futuri?
Non solo l’attuale normativa è sufficiente, ma è addirittura sovrabbondante, il che ha fatto perdere di vista le regole fondamentali del buon costruire e ha fatto saltare i controlli. La parte geotecnica è nel complesso buona ma forse non è molto chiara. Inoltre presuppone conoscenze di Dinamica dei terreni che non fanno parte ancora della cultura di base. Perciò quelle prescrizioni andranno sicuramente disattese se non si provvederà a guidare il progettista con modelli ed esempi. Ai futuri legislatori direi di distinguere tra parti “prescrittive” e parti “informative”. Non ha senso una norma che dice “deve” quando chi legge non ha gli strumenti culturali neppure per capire di che si tratta, e dice in continuazione “può” , “è possibile”, ecc., lasciando quindi la più ampia libertà di fare quel che si vuole. Direi inoltre che una normativa che supera le 50 pagine è destinata in partenza ad essere, almeno in parte, elusa se non addirittura intenzionalmente circuita. Il fatto poi che le attuali norme sismiche siano state elaborate nel 2003 in un mese e che poi ci siano voluti 6 anni perché entrassero in vigore non dimostra soltanto che il pressapochismo e l’illegalità non pagano, ma lascia anche presagire che all’illegalità iniziale si possa aggiungere altra illegalità. Una normativa è sempre cosa molto delicata e deve seguire procedure “legali” (come prescritto dalle nostre leggi) di gradualità di accoglimento da parte della comunità scientifica nazionale, degli ordini professionali e della classe di professionisti, costruttori e tecnici che dovranno con essa confrontarsi. Come cittadina italiana vorrei davvero che fossimo un paese avanzato, e un presupposto della civiltà è il rispetto delle regole condivise, il rigore scientifico e l’attenzione vigile e incessante alle attese e alle speranze di sicurezza dei cittadini.