Dalla vendemmia al grano: i cambiamenti climatici e le temperature elevate si fanno sentire anche a tavola. Non si parla di alimenti in via di estinzione, ma di cicli di produzione che si sono ridotti e anticipati. A tracciare il quadro all’Adnkronos degli effetti dei cambiamenti climatici nel campo, e’ Giuseppe Cornacchia, responsabile dipartimento economico della Confederazione italiana agricoltori. Rispetto al trentennio che va dal 1960 al 1990, Cornacchia spiega che ”le ricerche hanno registrato cambiamenti significativi nell’anticipazione della raccolta della stagione vegetativa”. In particolare, ”nella stagione estiva i cicli vegetativi si sono anticipati mediamente di 5-10 giorni al nord, 7-12 giorni centro sud con punte in Sicilia di 15-20 giorni”. A risentirne di piu’ ”sono le colture dell’estate piena. Le riduzioni e le anticipazioni piu’ significative riguardano i prodotti orticoli, la frutta e l’uva”. Per Cornacchia, pero’, ”il vero problema dei cambiamenti climatici riguarda la riduzione degli apporti idrici, le piogge che sono piu’ intense provocando solo piu’ danni ai terreni e la siccita’, con episodi estremi che creano problemi alla qualita’ dei suolo”. Per non parlare poi della desertificazione: ”il 20% della superficie nazionale e’ a rischio desertificazione con punte del 40% nel sud Italia”. Un altro effetto dei cambiamenti climatici ”e’ il maggiore attacco dei parassiti”. Insomma, i cambiamenti climatici, impongono, oggi piu’ di prima, un ripensamento delle nostre produzioni. Secondo il responsabile del dipartimento economico della Cia, ”bisogna passare ad un’agricoltura che richieda meno acqua, riscoprendo colture piu’ invernali: piu’ grano e orzo e meno mais”. La ricetta, dunque, ”sta nel recupero di colture piu’ rustiche meno esigenti di acqua”.