Nel 1883 l’isola d’Ischia venne interessata da un terremoto che provocò grande distruzione ed oltre 2000 morti nella sua porzione più occidentale, in particolare a Casamicciola. Stefano Carlino è un geologo e ricercatore presso l’Osservatorio Vesuviano (INGV): si occupa in particolare della modellazione dei processi dinamici dell’isola d’Ischia e dei Campi Flegrei. Esperto di vulcanologia e tettonica, alcuni anni fa ha collaborato alla stesura del libro “Il terremoto di Casamicciola del 1883: una ricostruzione mancata” (Alfa Tipografia, 2006) e più recentemente a quella del testo “Casamicciola milleottocentottantare: il sisma tra interpretazione scientifica e scelte politiche” (Bibliopolis, 2012). Intervistato da Giampiero Petrucci, descrive il passato ed il presente dell’isola d’Ischia dal punto di vista sismotettonico e vulcanologico.
- Dott. Carlino, sappiamo tutti che Ischia è un’isola di origine vulcanica. Come e quando s’è formata?
Non sappiamo esattamente l’epoca di formazione di Ischia, che certamente è superiore ai 150.000 anni, età delle rocce vulcaniche più antiche rinvenute sull’isola. Probabilmente tra 150.000 ed almeno 300.000 anni fa si stavano originando gli apparati vulcanici della costa campana, Ischia, Campi Flegrei e Vesuvio. La genesi di questi vulcani è da correlarsi ai processi tettonici distensivi che, da alcuni milioni di anni, si verificano nell’area tirrenica, in conseguenza del movimento relativo che avviene tra la placca africana a sud e quella euroasiatica a nord. Lo scontro tra queste due placche, testimoniato dalla presenza della catena Appenninica, è accompagnato da una rotazione antioraria della penisola italiana, che ha determinato, lungo il bordo tirrenico orientale, l’assottigliamento della crosta terrestre e la risalita del mantello fino a circa 20 km di profondità. Questo processo tettonico ha prodotto la progressiva fratturazione della crosta, la risalita in superficie del magma lungo allineamenti di faglie con andamento nordest-sudovest e la progressiva crescita degli apparati vulcanici.
- Quando s’è verificata l’eruzione più violenta e quali caratteristiche aveva?
Dall’analisi dei prodotti vulcanici rinvenuti sull’isola e dallo studio della sua tettonica e dei processi deformativi è stato possibile identificare una grande eruzione ignimbritica, che ha emesso probabilmente alcune decine di chilometri cubi di magma, e che ha causato un collasso calderico, simile a quello avvenuto nell’area vulcanica dei Campi Flegrei. Questa eruzione è avvenuta circa 55.000 anni fa ed è stata caratterizzata dall’emissione di grandi quantità di magma molto frammentato, che ha prodotto nubi di ceneri, pomici e gas ad alta temperatura (flussi piroclastici). Il deposito di questa eruzione, oggi rinvenibile in gran parte dell’isola, sul Monte Epomeo, con spessori di alcune centinaia di metri, si caratterizza per il suo colore verdastro, e prende appunto il nome di Tufo Verde del Monte Epomeo.
- E l’ultimo evento eruttivo a quando risale?
L’ultima eruzione, quella dell’Arso, è avvenuta nel 1302, nel settore orientale dell’isola, proprio nell’attuale comune di Ischia. Si è trattato di un evento di modesta energia, caratterizzato dall’emissione di una colata di lava che ha percorso circa 2.5 km in direzione nord-est, giungendo fino al mare, in prossimità del porto d’Ischia.
- Il Monte Epomeo deve essere considerato ancora attivo? E’ vero che potenzialmente è il vulcano più pericoloso d’Italia, ancora più del Vesuvio?
Il Monte Epomeo non è un vulcano, anche se era ritenuto tale fino agli inizi del XIX secolo. Si tratta, in effetti, di una struttura vulcano-tettonica, definita per la prima volta dal geologo svizzero Alfred Rittmann, in un suo famoso lavoro pubblicato nel 1930. La struttura del Monte Epomeo è stata generata dalla spinta di una massa magmatica poco profonda, che lo ha fatto risalire di circa 800 m, a partire da 55.000 anni fa, con un tasso medio di alcuni centimetri l’anno. Le eruzioni, invece, si sono verificate ai bordi del monte, dove sono localizzate le faglie e le fratture da cui risale il magma. In effetti, i fenomeni di risalita e subsidenza dell’Epomeo sono indicatori della dinamica vulcanica, ma non è facile prevedere dove potrà essere localizzato il prossimo evento eruttivo e quale sarà la sua energia. Al momento l’isola attraversa una fase di lenta subsidenza e di quiescenza vulcanica. Quanto alla pericolosità, nell’isola d’Ischia, almeno negli ultimi 55.000 anni si è verificata una sola grande eruzione ignimbritica e molti altri eventi di energia piccola o, al più, moderata. L’opinione che mi sono fatto, studiando i processi vulcanici dell’isola, è che il verificarsi di un’eruzione di piccola energia è più probabile. Quindi direi che la pericolosità è inferiore a quella del Vesuvio. Il rischio potenziale tuttavia è alto, perché in caso di evento eruttivo esplosivo, l’intera isola, con circa 65.000 abitanti, dovrebbe essere evacuata.
- La sismicità di Ischia è esclusivamente di tipo vulcanico? O, meglio, è esclusivamente legata all’attività vulcanica pregressa ed attuale?
La sismicità ad Ischia è di natura vulcanica. Tuttavia, i terremoti più forti verificatisi nell’isola, di cui si hanno notizie a partire dal 1228, non sono mai stati seguiti da eruzioni. In passato alcuni studiosi hanno definito questi eventi come delle “eruzioni abortite”. In sostanza il magma genererebbe una spinta sulle rocce producendo terremoti, ma senza giungere in superficie. Un’ipotesi questa verosimile, anche se al momento non verificabile. Gli studi più recenti mostrerebbero che la sismicità storica è legata alla dinamica di un bacino magmatico, in lento raffreddamento, il cui top si troverebbe a circa 2 km di profondità. La sismicità di energia significativa si svilupperebbe specialmente nel settore settentrionale, quello di Casamicciola, dove gli spessori delle rocce fragili sono maggiori che in altre porzioni dell’isola.
- Dal 1200 ad oggi sono noti una dozzina di eventi sismici sull’isola, il più disastroso dei quali è quello che sconvolse Casamicciola nel 1883, lasciando invece la parte più orientale di Ischia praticamente intatta. Quali furono i danni a Casamicciola?
I danni furono molto ingenti, in pratica l’intera cittadina di Casamicciola fu rasa al suolo. L’intensità massima del terremoto, che è stata ricavata dai dati macrosismici, è stimata intorno all’XI grado della scala Mercalli, vale a dire una devastazione non solo dell’abitato urbano ma anche uno sconvolgimento della morfologia locale. Si contarono oltre 2300 morti, la maggior parte dei quali, a Casamicciola. Una curiosità: nel sisma rimasero uccisi i genitori e la sorella di Benedetto Croce, allora diciassettenne, in vacanza nell’isola; un episodio che segnò profondamente la vita del filosofo abruzzese.
- A Casamicciola sono presenti litologie particolari, i cosiddetti “tufi rimaneggiati”, depositi vulcanici effusivi poco coerenti e soffici. Questo aspetto, combinato con una profondità dell’ipocentro superficiale, provocò particolari “effetti di sito” che colpirono soprattutto gli edifici con più scadenti caratteristiche costruttive?
La superficialità dell’evento sismico, localizzato a soli 1-2 km di profondità, ebbe vari effetti. In primo luogo, nell’area ipocentrale si ebbero accelerazioni molto forti del suolo: questo fatto, accoppiato alla scarsa coerenza dei depositi sui quali poggiano gli edifici, generò un effetto di amplificazione delle onde sismiche, ben noto in ingegneria sismica, che peggiorò notevolmente il quadro dei danni. In uno studio scientifico sul terremoto di Casamicciola si è dimostrato che la presenza di tufi rimaneggiati ha prodotto un incremento dei danni, rispetto ai siti localizzati sulle lave, pari ad almeno un grado della scala Mercalli. Per contro la superficialità dell’evento determinò un’area del massimo danneggiamento limitata al settore a monte di Casamicciola ed in parte di Lacco Ameno.
- Nell’interessantissimo libro “Il Terremoto di Casamicciola del 1883: una ricostruzione mancata” lei e gli altri autori analizzate i problemi susseguenti al terremoto e le carenze di una ricostruzione che portò “alla perdita della specificità” e ad una “scarsa valorizzazione delle risorse naturali”. Può spiegarci meglio quali furono gli aspetti più negativi di questa ricostruzione?
All’indomani del terremoto ci fu un intenso dibattito sulle problematiche legate al rischio sismico, alla previsione dei terremoti ed ai criteri per la ricostruzione. Va tenuto presente che si trattò della prima grande catastrofe naturale dell’Italia post-Unitaria. Vi parteciparono sia esponenti del mondo scientifico che politico. In parlamento, l’allora Ministro dei Lavori Pubblici, Francesco Genala, profuse un impegno determinato sia nella fase dei soccorsi che in quella della ricostruzione. Tuttavia, il clima culturale, politico e sociale dell’epoca, non consentì di portare avanti un progetto serio, per un territorio così martoriato dal terremoto. Tra le due scelte possibili, dopo una catastrofe del genere, ovvero ricostruzione o rifondazione di Casamicciola, fu adottato, da parte degli organi dello Stato, il criterio peggiore, che in sostanza cancellava il preesistente in nome della sicurezza. Fu scelto di ricostruire gli insediamenti nelle zone pianeggianti, lungo la Marina e nel settore orientale di Casamicciola, quello meno colpito dal sisma. Insediamenti provvisori, le cosiddette “baracche”, furono edificati nella zona est, ma come spesso accade in Italia, il provvisorio diventò definitivo, tant’è che le baracche, riadattate ad edifici residenziali, sono ancora lì. Sono passati 130 anni, un pessimo esempio di valorizzazione del territorio!
- Furono dunque tralasciati gli insegnamenti forniti da ricostruzioni precedenti quali, ad esempio, quella del Sannio nel 1688 o quella calabrese del 1783?
Le ricostruzioni a cui si fa riferimento scaturirono da confronti tra potere politico ed economico, che investirono prevalentemente le comunità locali, nel tentativo di dare un nuovo ordine sociale, sul modello della città ideale di Leon Battista Alberti. Con il tempo questi insegnamenti sono stati persi e mai recuperati.
- Come tutti sappiamo, adesso si dovrà ricostruire le cittadine emiliane colpite dal terremoto di maggio. Quali sono i criteri principali da seguire per una ricostruzione ottimale, capace di garantire sicurezza e sviluppo?
Sulle specificità dei criteri non posso esprimermi, perché è compito degli urbanisti. Certamente dovranno essere adottati nuovi criteri per la classificazione antisismica. In questo caso si dovrà ricostruire, e non rifondare, perché i danni sono stati elevati, ma non è stato cancellato il tessuto urbano preesistente. Credo che sia importante ricostruire tenendo conto dei caratteri sociali, storici e culturali di quei luoghi, coinvolgendo il più possibile le comunità locali. Gli emiliani sono gente tosta, e sono sicuro, come stanno già facendo, che non si lasceranno estromettere rispetto alle scelte sulla ricostruzione.
- Tornando ad Ischia, da 130 anni non si verifica un evento sismico di una certa portata. Il quadro sismotettonico è preoccupante?
A differenza delle eruzioni vulcaniche, i terremoti sono imprevedibili, ed è azzardato qualsiasi tentativo di previsione.
- Nel vostro libro del 2006 viene illustrata la mappatura GIS dell’isola in funzione della prevenzione del rischio sismico. Può spiegarci meglio le tecniche eseguite ed i risultati raggiunti? In particolare quali sono le aree più a rischio dell’isola dal punto di vista sismico?
Nella mappatura si è tenuto conto della sismicità storica (quella recente è del tutto trascurabile), delle intensità attese per un terremoto di progetto simile a quello del 1883, che potenzialmente è il massimo terremoto atteso, delle strutture tettoniche e vulcaniche e dei diversi suoli presenti nell’isola, che possono attenuare o amplificare gli effetti delle onde sismiche. Ovviamente l’area a maggior rischio sismico è quella di Casamicciola, ed in particolare la zona collinare ubicata sui depositi rimaneggiati del tufo verde del Monte Epomeo.
- Se domani si ripetesse nell’isola un evento sismico simile a quello del 1883, dobbiamo aspettarci le stesse conseguenze?
Certamente no, perché il tessuto edilizio e le tipologie costruttive sono migliorate rispetto a quell’epoca, anche se in moltissimi casi non è stata rispettata la normativa antisismica. Tuttavia, nella zona epicentrale, per le caratteristiche del terremoto in questione, i danni sarebbero comunque elevati.
- Cosa si dovrebbe fare per migliorare la salvaguardia del territorio ischitano e mettere in sicurezza la maggior parte degli edifici attualmente esistenti?
Quello che si poteva fare doveva essere fatto in tempi passati. Allo stato attuale, considerato il livello di urbanizzazione dell’isola, e la mancata pianificazione del territorio, qualsiasi intervento di risanamento in prospettiva sismica sarebbe enormemente dispendioso e nessun amministratore si potrà mai accollare un tale onere finanziario. In Italia si investe poco in sicurezza, e non è un problema limitato all’isola d’Ischia. Questo atteggiamento ha prodotto un ingolfamento del territorio difficilmente sanabile. L’urbanizzazione nell’isola si è fermata, ma solo perché non c’è più spazio sufficiente per costruire.
- Ultima domanda. Lei lavora all’Osservatorio Vesuviano e dunque conosce perfettamente il territorio circostante. Quanto è pronta l’area napoletana a “sopportare” un qualunque evento distruttivo collegato ad un’eruzione, sia essa dovuta al Vesuvio, ai Campi Flegrei o al Monte Epomeo?
La popolazione in generale è poco informata sui rischi connessi alle eruzioni, mentre la quiescenza vulcanica in atto ha attenuato ulteriormente la percezione del rischio. Credo che nessuna comunità, che non abbia già avuto esperienza con questi fenomeni naturali, sia realmente preparata ad affrontare un’emergenza. La risposta ad un’emergenza vulcanica quindi non potrà dipendere solo dai Piani di Evacuazione, perché in mancanza di una cultura del rischio questi ultimi possono risultare inefficienti
Si ringrazia il dott. Stefano Carlino per la gentile collaborazione.
Per approfondimenti si consiglia il libro: Luongo G., Carlino S., Cubellis E., Delizia I., Iannuzzi R., Obrizzo F., “Il terremoto di Casamicciola del 1883: una ricostruzione mancata” (Alfa Tipografia, 2006) da cui sono tratte le mappe presentate.