Come tutti sanno lo stretto di Messina è una delle zone a più alto rischio sismico d’Italia e dell’intero continente europeo, essendo stata colpita in passato da vari terremoti distruttivi che hanno modellato il profilo geomorfologico del territorio. Bisogna però specificare che la grande sismicità dello stretto di Messina non è dovuta al ripetersi di violenti eventi tellurici (come quelli del 394 D.C., del Febbraio 1783 e del Gennaio 1908), che per nostra fortuna hanno dei tempi medi di ritorno (secondo delle stime non definitive) compresi tra i 600 e i 1000 anni. Ma è la frequenza dei terremoti di moderata e forte intensità, con una magnitudo oscillante fra i 4.0 e i 5.0 Richter, a rendere il braccio di mare fra Reggio e Messina una delle aree più sismiche del mar Mediterraneo. Difatti, i terremoti di moderata o forte intensità hanno un periodo medio di ritorno che può variare dai 75 ai 120 anni circa. Molto più frequenti sono i sismi di moderata energia, ossia con una magnitudo inferiore ai 4.0-4.5 Richter, che solitamente possono verificarsi ogni 28-30 anni lungo l’area dello stretto.
L’area dello stretto di Messina poi risente anche dei forti terremoti che periodicamente si verificano nelle vicine sorgenti “sismogenetiche”, come quelle presenti sull’Aspromonte (responsabili della tremenda crisi sismica del 1793), il basso Tirreno, l’arcipelago eoliano e il golfo di Patti e Milazzo. Molto spesso le onde sismiche di questi eventi tellurici, anche se originate da epicentri distanti diverse decine di chilometri, anche oltre i 100 chilometri, all’interno dello stretto tendono ad essere ulteriormente amplificate dalla particolare geomorfologia del territorio calabro-peritano, soprattutto nei siti su cui sorgono le città di Reggio e Messina che per questi motivi in passato si sono trovate a fronteggiare frequenti danneggiamenti, molti di questi ben documentati in letteratura, nel corso della loro storia millenaria. Alcuni di questi danneggiamenti sono stati indotti da intensi terremoti con epicentri lontani dallo stretto di Messina, si pensi al fortissimo terremoto che ha devastato la Sicilia sud-orientale nel 1693 o quello ancora più distruttivo del 1169 che innescò pure un gigantesco tsunami che risali lo stretto, mietendo vittime anche sulle città di Reggio e Messina, dove l‘onda riuscì a superare le mura erette a protezione dei centri abitati.
Ma perché l’area dello stretto di Messina è cosi vulnerabile al fenomeno dell’amplificazione sismica ?
Per capirlo dobbiamo prendere in analisi la litologia della città di Messina. Essa poggia, in buona parte, su depositi alluvionali, ancora poco addensati, costituiti prevalentemente da sabbie, limi, ghiaie e materiale argilloso, tavolta terrazzate in vari livelli. Nei tratti finali delle vallate dei monti Peloritani, li dove scorrono le principali fiumare, i depositi alluvionali si collegano a quelli presenti lungo la linea di costa, formando cosi una sorta di piccola piana costiera che nei punti più ampi, nel cuore della città, raggiunge una ampiezza di appena 1 chilometro. Questi depositi alluvionali, dove sorgono i quartieri centrali della città di Messina, favoriscono una importante amplificazione delle onde sismiche sul terreno, rendendo il terremoto ancora più intenso. In genere, le onde sismiche, prodotte da un sisma di grande potenziale, quando incontrano dei terreni soffici, tipo i suoli alluvionali, tendono a rallentare la loro velocità di propagazione. Tale rallentamento conduce necessariamente ad un effetto di compensazione energetica, la quale si traduce in un notevole aumento dell’ampiezza, ossia una maggiore accelerazione del terreno che da luogo al cosiddetto fenomeno dell’amplificazione sismica.