I Campi Flegrei, situati a nord-ovest di Napoli, sono una grande caldera vulcanica: una depressione sub-circolare, larga una dozzina di km, retaggio di passate eruzioni esplosive la più recente delle quali, nel 1538, ha portato alla formazione del Monte Nuovo che insieme ad altri crateri di più antica formazione (il Lago d’Averno, Agnano, Astroni, ecc.) circonda la città di Pozzuoli. Noti sin dall’antichità al punto che greci e latini ne facevano la porta d’ingresso agli inferi, i Campi Flegrei rappresentano un’area di primaria importanza per la vulcanologia italiana: attraverso lo studio della loro dinamica magmatica profonda è possibile identificare le caratteristiche dell’attività vulcanica al fine di salvaguardare un territorio in cui, oltre ad un’incontrollata urbanizzazione, si sviluppa il fenomeno del bradisisma (detto popolarmente bradisismo), già noto in epoca romana, caratterizzato da movimenti verticali del terreno, anche metrici, con conseguenti variazioni del livello marino.
Proprio allo scopo di perfezionare le conoscenze vulcanologiche dei Campi Flegrei è nato un importante progetto di ricerca, tra i più prestigiosi al momento in Italia, denominato CFDDP (Campi Flegrei Deep Drilling Project) e che proprio in questi giorni sta vivendo la sua fase cruciale. Sorto tra le polemiche, legate probabilmente anche ad una non perfetta conoscenza del suo sviluppo, il CFDDP sembra poter fornire una spinta decisiva alla maggiore conoscenza scientifica dei Campi Flegrei e, più in generale, alla mitigazione del rischio vulcanico nell’intera area partenopea. Giampiero Petrucci ne parla con il dott. Stefano Carlino, geologo e ricercatore presso l’Osservatorio Vesuviano (INGV), esperto nella modellazione dei processi dinamici dell’isola d’Ischia e dei Campi Flegrei nonché partecipante in prima persona al progetto CFDDP.
Dott. Carlino, le conoscenze vulcanologiche attuali ci permettono di valutare con molta attendibilità i meccanismi che generano le eruzioni. Siamo altrettanto in grado di prevedere con un certo anticipo gli eventi vulcanici futuri?
Vero: la vulcanologia ha fatto grandi passi in avanti nella conoscenza dei meccanismi eruttivi, ma manca ancora un modello fisico univoco attendibile in grado di simulare i processi che avvengono all’approssimarsi di un’eruzione. Tali processi avvengono però in maniera caotica, il che rende complesso fare previsioni esatte. Tuttavia, lo stato delle conoscenze attuali e le moderne reti di monitoraggio geofisico consentono di fare previsioni probabilistiche le quali, sebbene soggette ad un margine di errore, risultano fondamentali per la salvaguardia delle popolazioni esposte al rischio. Generalmente queste previsioni sono tanto più attendibili quanto più ci si approssima all’eruzione: di conseguenza i margini di anticipo si riducono a giorni od ore. Più arduo è invece prevedere l’energia dell’evento eruttivo, che è una valutazione cruciale, perché da essa dipendono gli scenari di danno atteso e l’estensione delle aree da evacuare.
Pare dunque fondamentale approfondire ulteriormente le nostre conoscenze: il CFDDP nasce in questa ottica. Questo progetto come è stato originato e da chi è finanziato?
Il CFDDP nasce diversi anni fa, su iniziativa di alcuni colleghi della nostra sezione di Napoli. Una prima bozza fu sottoposta nel 2005 alla valutazione dell’International Continental Drilling Program (ICDP), un comitato internazionale composto dai maggiori esperti nel settore delle perforazioni crostali. L’idea fu accolta con entusiasmo e definimmo un progetto definitivo, con la partecipazione di altri enti di ricerca tedeschi, spagnoli, inglesi ed americani, che successivamente fu approvato e finanziato con fondi dell’ICDP e con fondi pubblici per la ricerca scientifica, in gran parte europei.
Quali sono le principali finalità del progetto?
Acquisire innanzitutto nuove conoscenze sulla storia vulcanica della caldera flegrea, individuare i meccanismi che governano la dinamica vulcanica attraverso lo studio delle proprietà fisico-chimiche delle rocce e dei fluidi che circolano all’interno del serbatoio geotermico. Il pozzo verrà poi utilizzato come una sorta di laboratorio geofisico profondo, con l’istallazione di sensori geofisici per il monitoraggio del vulcano.
Non tutti però concordano su questo aspetto positivo. Il CFDDP è stato infatti oggetto di critiche, anche pesanti, relative alla sua inutilità e addirittura al fatto che potrebbe innescare gravi disastri naturali, andando ad intercettare, e “disturbare”, un magma al momento quiescente. Si parla addirittura di gravi rischi per il territorio e la popolazione. Lei come risponde a queste polemiche?
Non ci preoccupano le polemiche, che non hanno alcun fondamento scientifico, piuttosto ci dispiace dell’allarme inutile che queste producono nella cittadinanza la quale, a buon diritto, vuole conoscere come stanno realmente le cose. Non esiste il benché minimo rischio di perturbare il sistema magmatico né di generare disastri naturali; questo, prima di noi, lo hanno affermato gli esperti di altri Paesi che hanno valutato il CFDDP e che eseguono perforazioni profonde in tutto il mondo. Inoltre, trattandosi di un progetto di ricerca scientifica i risultati potranno essere anche diversi da quelli attesi, ma siamo certi che il lavoro profuso ed i fondi stanziati non saranno stati inutili.
Anche al fine di rassicurare ulteriormente la popolazione, può spiegarci quale tecnica di perforazione avete adottato?
Ci siamo semplicemente rivolti ai migliori specialisti nel settore delle perforazioni. Il pozzo a 500m, che è in fase di ultimazione, non comporta particolari problemi tecnici: è un foro di pochi centimetri rivestito con tubi in acciaio e dotato nella parte superiore di particolari valvole di sicurezza che garantiscono la tenuta del pozzo in tutte le fasi di lavorazione. La perforazione è controllata in continuo da strumentazioni che garantiscono la verticalità del pozzo e che misurano le concentrazioni di gas, la pressione e la temperatura. Abbiamo sovrastimato tutti gli eventuali problemi in termini di sicurezza, proprio per cautelarci al massimo rispetto ai rischi di cantiere. Per quanto riguarda il pozzo più profondo, che si spingerà fino a circa 3km, va ribadito che si tratta ancora di un progetto su carta, e certamente sarà necessario interagire ulteriormente con gli amministratori locali, ma più in particolare con la cittadinanza, per far comprendere che anche in questa seconda fase del progetto non ci saranno rischi per la popolazione.
Non si tratta di un doppione, ma di un’implementazione della rete di monitoraggio esistente. I sensori geofisici, se localizzati in profondità, sono molto più efficienti rispetto a quelli di superficie, perché esenti da rumore di fondo. Ad esempio la soglia di registrazione in termini di magnitudo dei terremoti e di deformazioni del suolo si abbassa notevolmente e questo consente di verificare le minime variazioni fisiche del sistema vulcanico. Inoltre, la possibilità di misurare direttamente le temperature o le variazioni di pressioni dei fluidi in profondità potrebbe essere molto utile per la comprensione del fenomeno del bradisisma.
I primi studi scientifici sul bradisismo risalgono al XVII secolo. Charles Lyell, il fondatore della moderna geologia, fu tra i primi, nel 1828, ad osservare in chiave geologica i segni dei molluschi marini lasciati sulle colonne del Tempio di Serapide, a Pozzuoli, che testimoniavano le fasi di sollevamento ed abbassamento della caldera flegrea. Molti altri studi sono seguiti. Generalmente si attribuivano le cause del sollevamento all’aumento di pressione di una camera magmatica poco profonda. Con le crisi bradisismiche degli anni ‘70 ed ’80, si è potuto registrare il fenomeno e studiarlo in maniera più diretta: l’abbassamento del suolo dopo l’ultima crisi, terminata nel 1984, senza alcun evento eruttivo, risultava difficile da spiegare in termini di “sgonfiamento” della camera magmatica. Recentemente si è pensato ad un meccanismo differente, empiricamente valido, ma non ancora sperimentalmente verificato. In sostanza, le fasi di sollevamento ed abbassamento della caldera sarebbero generate rispettivamente dai fluidi in pressione che sfuggono al magma in profondità e si spostano verso l’alto, e dalla loro migrazione laterale, una volta giunti in superficie. Quest’ultima sembra essere la teoria più accreditata e produrrebbe scenari di rischio diversi dall’ipotesi “puramente magmatica”.
Le ricostruzioni geo-cronologiche dei movimenti del suolo, a partire dall’epoca pre-Cristiana, ci dicono che ci sono stati diversi episodi di bradisisma, anche se in dettaglio è difficile conoscerne l’evoluzione. I più noti, perché avvenuti in tempi recenti, avvertiti dalla popolazione e registrati dalle reti di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano, sono due, nel 1970-72 e nel 1982-84. Alla fine del 1984 si registrò un innalzamento totale del suolo di oltre tre metri, nel centro di Pozzuoli, con circa 15mila terremoti localizzati tra 1 e 4 km di profondità, e magnitudo massima intorno a 4.0. Molti fabbricati furono danneggiati e si pensò alla possibilità di un’eruzione imminente. Pozzuoli fu evacuata, ma alla fine la crisi si risolse senza nessun evento eruttivo. Più grave ed eclatante fu quanto accadde nel 1538. Ben quarant’anni prima di questa data, il suolo cominciò a sollevarsi, raggiungendo il suo culmine, circa 10 metri, poco prima dell’eruzione del Monte Nuovo, che si verificò il 29 settembre del 1538, l’ultimo evento nell’area flegrea. Con questa eruzione furono emessi circa 20 milioni di metri cubi di magma, poca cosa in termini di energia, tuttavia danni gravi furono causati al vicino villaggio di Tripergole. 24 persone persero la vita, quando tentarono di risalire il cratere, il 6 ottobre dello stesso anno, pensando ormai che l’eruzione fosse terminata.
Il bradisisma è un segnale di una dinamica magmatica profonda e quindi deve essere considerato un possibile precursore di eruzioni. Tuttavia la storia ci ha insegnato che non sempre le fasi di innalzamento del suolo della caldera flegrea sono seguite da eventi eruttivi. Proprio per questa ambiguità è necessario approfondire la conoscenza sulla dinamica vulcanica di quest’area.
Tutti questi fenomeni dimostrano però chiaramente un’azione magmatica ancora molto dinamica e soprattutto superficiale, connessa ad un potenziale geotermico non indifferente: è possibile in teoria un suo sfruttamento ai fini energetici?
Certamente è possibile, il potenziale geotermico di quest’area è molto elevato: le temperature nella caldera dei Campi Flegrei superano i 100°C a pochi metri di profondità. Una possibilità di sfruttamento fu già contemplata dagli inizi degli anni ’40, ma le politiche energetiche del Paese furono indirizzate verso altre strade. Vale la pena di sottolineare che i moderni impianti geotermici di piccola taglia (1-5MWe) hanno un basso impatto paesaggistico, si adattano bene anche in aree ad elevata urbanizzazione, mentre la re-immissione totale dei fluidi geotermici nel suolo consente di avere un’energia pulita, senza depauperamento della risorsa.
Esatto, questo input noi lo abbiamo dato più volte, ma ovviamente sta alle amministrazioni centrali, locali, ed in particolare alla Regione Campania, scegliere quali politiche energetiche alternative adottare, in un Paese che fatica a produrre energia pulita.
Nei Campi Flegrei le scelte urbanistiche hanno tenuto in poca considerazione l’ambiente naturale e ciò amplifica notevolmente il rischio per la popolazione. Potenzialmente quanto sono pericolosi i Campi Flegrei? Il Piano di Evacuazione può reggere alla prova di un’eruzione violenta?
Potenzialmente sono molto pericolosi, ma questo argomento è assai complesso e meriterebbe una lunga analisi. La mia opinione è che quando si raggiungono livelli di rischio come quello dell’area flegrea, a causa dell’elevato valore esposto, i Piani di Evacuazione possono risultare inefficaci in mancanza di adeguate politiche mirate all’educazione al rischio ed alla delocalizzazione della popolazione verso aree più sicure. L’obiettivo primario dovrebbe essere quello di portare il rischio a livelli accettabili, ma è un compito dei politici e non degli scienziati.
In conclusione: quale è il risultato minimo che vi attendete da questa perforazione e quando sarà possibile avere i primi risultati scientifici?
Faremo sicuramente dei passi in avanti in termini di conoscenza scientifica, senza considerare l’attenzione che il progetto sta ponendo sul problema del rischio vulcanico. Spero che i primi risultati siano disponibili prima del prossimo Natale.
Ovviamente, speriamo di essere tra i primi a poter commentare con Lei questi risultati
Lo faremo e grazie mille.