Sul Pacifico equatoriale l’onda di Kelvin che precede “El Niño” sta per raggiungere le coste sud-americane, in inverno il fenomeno raggiungerà la massima intensità con le prime conseguenze planetarie

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Il fenomeno atmosferico di “El Niño” sta cominciando ad alzare il tiro lungo il Pacifico equatoriale. Anche se il pattern climatico presente attualmente sul Pacifico settentrionale ancora non è quello consono, che solitamente accompagna l’importante fenomeno atmosferico (forte zonalità sul Pacifico settentrionale con una intensa “Jet Stream” che convoglia l’aria umida dal Pacifico tropicale verso gli USA e il nord del Messico), possiamo dire che tra poche settimane l’intera area del Pacifico equatoriale sarà interessata da una nuova importante fase di “El Niño”, che avrà importanti ripercussioni climatiche su scala planetaria, con l’avvento di prolungati periodi siccitosi sul continente australiano e sulle isole più meridionali di Indonesia e Papua Nuova Guinea, mentre un sostanziale incremento di piovosità si andrà via via ad affermare fra le isole e i tanti atolli corallini del Pacifico centrale e sulle più aride coste di Ecuador, Peru e Cile, costantemente lambite dalla fredda “corrente marina di Humbold”, che inibisce l’attività convettiva nell’intera area. La macchina di “El Niño” si è già messa in moto in tutto il bacino dell’oceano Pacifico, e a breve avremo i primi segnali in ambito teleconnessivo. Tutto parte dal Sole che riscalda in modo costante i vasti spazi dell’oceano Pacifico tropicale e dell’oceano Indiano tropicale, facendo evaporare enormi quantità d’acqua. Quando l’acqua si condensa determinando le nuvole e la pioggia, rilascia un grande quantità di calore che fa di queste aree il principale motore che spinge la circolazione atmosferica planetaria.

La pioggia che cade su aree estese può superare i 3 metri all’anno lunga la fascia equatoriale, ma alcune aree possono ricevere fino a 5 metri di pioggia all’anno. Più di 5 metri di pioggia all’anno rilasciano in media 400 W/m2 di calore nell’atmosfera, una quantità di calore notevolissime che viene gradualmente bilanciata dalle “onde equatoriali”, come le “onde di Yanai” e l’equatoriale “onda di Kelvin”, che ha ruolo fondamentale nello sviluppo di fenomeni atmosferici molto importanti, come “El Nino” o “La Nina“. Le “onde di Kelvin” di solito sono il segnale precursore della nascita di “El Nino”. Studi recenti hanno potuto dimostrare come la “Madden-Julian oscillazione” (abbiamo scritto un articolo su questo importantissimo indice), in sigla detta pure “MJO” (pattern climatico di variabilità atmosferica della fascia equatoriale che consiste nel lento movimento di un nucleo di precipitazioni molto intense, con forte attività convettiva organizzata, che si spostano da Est ad Ovest), in azione sull’oceano Indiano, può innescare una “onda Kelvin” che si propaga verso est, seguendo un ciclo di oltre 30-60 giorni, con la liberazione di una intensa quantità di calore latente sprigionato dall‘intensa attività convettiva legata proprio alla “MJO“.

Il campo di pressione medio-basso presente sull’oceano Indiano meridionale, li dove agisce la “MJO”, si propaga gradualmente verso est, in direzione del Pacifico settentrionale, producendo una sostenuta ventilazione dai quadranti occidentali che inibisce il flusso regolare dei venti Alisei nella fascia tropicale dell‘oceano Pacifico. In questa fase gli Alisei nel Pacifico occidentale non soltanto si indeboliscono, ma addirittura invertono direzione per poche settimane al mese, producendo i “Westerly wind bursts” che rapidamente approfondiscono il termoclino. Lo sprofondare del termoclino lancia un “onda di Kelvin” che si propaga verso oriente. Questi venti occidentali sono in grado di trasferire dal Pacifico occidentale al Pacifico orientale un’“onda di Kelvin“, che in questo caso va identificata come una grande striscia di acque molto calde, che scorrono ad una profondità di circa 150 metri, lungo una direttrice ovest-est.

Questa onda può essere osservata in superficie da un leggero aumento in altezza della superficie del mare, di circa 8 cm, e un sensibile aumento delle temperature delle acque superficiali su un’area estesa per diverse centinaia di miglia. In appena 30-60 giorni questa “onda Kelvin” si propaga dal Pacifico occidentale a quello orientale, spingendo un flusso di masse d’acqua molto calde che da Papua Nuova Guinea e dalle isole del Pacifico centrale si muove in direzione delle coste americane. Quando questa “onda di Kelvin” colpisce la costa del Sud America, in prossimità dell’Ecuador e della costa peruviana, l’acqua calda impatta sopra il ramo principale della fredda “corrente marina di Humbold”, che dai mari sub-antartici risale fino alle isole Galapagos bordando tutta la costa sud-americana, dal Cile al Peru e all’Ecuador meridionale. L’incontro con la fredda “corrente marina di Humbold” provoca una brusca deviazione verso nord del flusso di masse d‘acqua molto calde provenienti dal Pacifico, creando una vasta area di acque calde in superficie che si distende verso il golfo di Panama e le coste pacifiche dell’America centrale.

L'onda di Kelvin che avanza sul Pacifico equatoriale

Questa corrente di acque calde, spinte dall’”onda di Kelvin”, può propagarsi fino alle coste del Messico settentrionale e della California, causando un impennata delle precipitazioni nelle suddette aree costiere, visto la maggior quantità di calore latente messo a disposizione dalla superficie oceanica. L’arrivo dell’onda di solito viene preannunciato dall’anomalo riscaldamento della superficie oceanica riscontrato dalle oltre 70 boe oceanografiche, gestite dal NOAA (con l’aiuto del Giappone, Corea, Taiwan, e Francia), piazzate lungo l’intera larghezza dell’oceano Pacifico, da Papua Nuova Guinea fino alle coste dell’Ecuador. I sensori di temperatura sono posti a diverse profondità lungo le boe oceanografiche e sono quindi in grado di registrare la temperatura sotto la superficie dell’acqua, a diverse profondità. Tali sensori inviano i loro dati in tempo reale, tramite il satellite, ai computer della NOAA che verificano successivamente la qualità dei dati inviati. Se si riscontra che nel giro di 3 mesi le temperature delle acque superficiali del Pacifico orientale sono aumentate di oltre i +1.5°, rispetto le medie stagionali, allora è chiaro che il fenomeno di “El Nino” è partito, con tutte le conseguenze teleconnessive su scala planetaria. In questi mesi l’attivazione del’“onda di Kelvin”, partita dal Pacifico occidentale, sta continuando a spingere in direzione del Pacifico centro-orientale masse d’acque molto calde, che stanno provocando un brusco riscaldamento superficiale del Pacifico equatoriale centro-orientale, dove è in atto un “Nino” in posizione “West based”, che sta contribuendo a riscaldare le aree continentali dell’America meridionale, dove solo qualche settimana fa sono state registrate le prime temperature massime over +40° +42° tra Bolivia orientale e sud del Brasile.

Ma il proseguo del fenomeno di “El Nino”, soprattutto per quel che concerne la sua intensità, dipenderà dalle anomalie riportate dalla “Madden-Julian oscillazione”, che dall’oceano Indiano orientale e mari poco a nord degli arcipelaghi indonesiani, dove è in atto un notevole rinvigorimento dell’attività convettiva (non per caso sul mar delle Filippine proprio nelle ultime settimane si sono sviluppati due potenti super tifoni che hanno raggiunto la 5^ categoria della Saffir-Simpson), tende a spostarsi verso l’Indonesia e il Pacifico occidentale. Il graduale spostamento verso est della “MJO”, diretta verso il Pacifico occidentale, dovrebbe determinare un notevole rinforzo di “El Nino”, che dovrebbe intensificarsi proprio tra i mesi di Novembre e Dicembre, quando le acque superficiali del Pacifico orientale faranno registrare anomalie di +1.5° +2.0° rispetto alla media, con un conseguente incremento delle precipitazioni fra le coste occidentali degli USA, Canada, Messico e stati dell’America centrale. Ma un aumento dell’attività convettiva è atteso pure sulle aride coste dell’Ecuador meridionale, del Peru e Cile (si pensi al deserto di Atacama), dove potrebbero sopraggiungere benefiche precipitazioni, dopo anni di forte siccità.

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