Prima la mano dell’uomo, poi quella della natura; al punto che secondo alcuni sarebbe stata, in entrambe i casi, una punizione divina. Sì, una punizione divina per la città emblema del mondo consumistico e allegoria del mondo occidentale.
Nel cuore di tutti però NY è una città che dopo quell’11 settembre abbiamo imparato ad amare con quella tenerezza ed umanità che una madre prova nei confronti del proprio figlio.
Tutti eravamo in quella torre, tutti eravamo con gli eroi dei soccorsi, tutti avremmo voluto stringere quei parenti che avevano perso qualche persona cara.
Da quel settembre sono successe tante cose: la guerra in Afganistan, la guerra in Iraq, Obama presidente, USA in crisi economica; sicuramente oggi è un america diversa e nuova e forse questo cambiamento in bene e in male ha avuto proprio origine in quel segno di cedimento.
Torniamo ad oggi, 2012, 11 anni dopo. E’ ancora fresco il ricordo di quanto accaduto un anno fa.
Questa volta la città che non dorme mai, anche se da 11 anni a questa parte soffre un pò d’insonnia per la ferita ancora aperta, è nuovamente al centro dell’attenzione. Who’s next? Bussa alla porta Irene. Un nome femminile, che significa pace, quasi un ossimoro con la mano nera che si è scatenata l’11/9, un paradosso con una potenzialità distruttrice enorme.
La città di NY viene in parte evacuata, tutti i newyorkesi vengono preparati al peggio dal sindaco Bloomberg. Porti, aeroporti, metropolitane e ponti cittadini vengono chiusi. Tutti chiusi in casa, invitati a tenersi un kit di emergenza, in attesa del passaggio dell’uragano. Irene passa, lascia sul terreno purtroppo 50 vittime, ma nessuna a New York, anche perchè quando giunta sulla città della East Coast, la sua forza si stava attenuando.
Qualcuno voleva anche vittime newyorkesi, nuovamenti lì da sbattere in prima pagina e visto che fortunatamente non ci sono state ecco che si è gridato all’eccesso di allarmismo. Così va però il mondo, ma siamo certi che il sindaco Bloomberg sarà comunque sereno di sentirsi polemiche i questo tipo, non dovendo piangere nessuno.
Il mar dei Caraibi è ancora molto caldo in questi giorni e continua a sfornare mostri d’acqua e vento.
In queste ore è la volta dell’Uragano Katia, ancora più forte di Irene, ma fortunatamente si sta dirigendo al largo della East Coast americana, lontano dalla martoriate Virginia e New Jersey.
Anche Erin, nel settembre 2001, fece la stessa cosa. Diretto verso New York cambiò rotta.
Erin, un bolide con venti a 195 km/h che vede la sua vita dal 1 settembre 2001 al 15 settembre dello stesso anno proprio a cavallo degli attentati. Erin proprio l’11 settembre cambia direzione e perde la sua forza; scatenarà la sua potenzialità a largo della East-Coast e come è andato la storia lo sappiamo tutto bene, a New York città quella mattina di settembre il cielo era sereno e la visibilità era ottima.
Non potremo mai sapere che cosa sarebbe realmente successo se Erin si fosse scatenato su New York e quindi se gli attentatori costretti a restare a terra avessero magari desistito all’idea, o magari tutto ciò avrebbe solamente rimandato i piani di sangue.
L’aforisma classico “con i se e con i ma la storia non si fa“, trova in questa situazione un’applicazione perfetta. Erin, che la sua etimologia deriva da Irlanda ha voluto deviare il suo destino proprio in quella lontana destinazione oltreoceano e non proseguire sulla Grande Mela, dove avrebbe potuto portare forse una pioggia manzoniana che avrebbe “pulito il male” che si stava per scatenare.
Erin a differenza di Irene è stato più “buono” non ha provocato vittime, ma forse ne avrebbe potute salvare 3.000!