Purtroppo il maltempo torna a picchiare duro sulle nostre regioni. Dopo i nubifragi che in nottata hanno colpito l’alta Toscana, in particolare la zona di Massa e lo spezzino, l’eco mediatico si è spostato sulla città di Taranto, precisamente dentro il grande stabilimento dell’ILVA (già al centro dell’attenzione mediatica per le note vicende giudiziarie). Durante la mattinata, mentre infuriava l’intenso flusso sciroccale, la città di Taranto è stata interessata dal passaggio di un temporale, legato a un più ampio sistema convettivo a mesoscala, di tipo lineare, che si è sviluppato tra la Sila Greca e il golfo di Taranto, divenendo un insidioso sistema temporalesco di tipo “V-Shaped”, con la classica forma a “V”. Durante l’arrivo del temporale, poco prima delle 10:00 AM dalla base, piuttosto bassa, dell’esteso Cumulonembo temporalesco che sovrastava l’area portuale della città pugliese si è venuto a formare dapprima una “nube ad imbuto” che ha cominciato ad ingrossarsi, fino a toccare la superficie del mare, divenendo un grande “Waterspout” di notevoli dimensioni. Molti osservatori sul posto e dalla stessa città di Taranto hanno scambiato il grande vortice per un vero e proprio tornado, come quelli che si formano spesso lungo le grandi pianure centragli degli Stati Uniti. La grande tromba d’aria si è formata nello specchio d’acqua antistante, poi seguendo la traiettoria del cumulonembo ha toccato terra nei pressi dello stabilmente dell’ILVA, cagionando ingentissimi danni, riuscendo addirittura ad accartocciare una ciminiera, alta quasi 50 metri, e due gru sottostanti, mentre molti macchinari sono stati sollevati da terra e scaraventati in mare.
Durante il suo passaggio il grande “Waterspout”, che possiamo ormai ben classificare come un vero e proprio tornado, sul modello nord-americano, stimabile, secondo le tante fotografie e i notevoli danni prodotti, in un F-3 sulla scala Fujita, ha poi proseguito la propria corsa verso il quartiere Tamburi di Taranto e le aree limitrofe, per poi proseguire verso il comune di Statte, distruggendo un distributore di benzina e sollevando per aria decine di macchine e persino un tir. Le schegge e i pezzi di lamiera sbalzati per aria hanno cagionato anche 38 feriti e un disperso, fra gli operai dell’ILVA. Nella traiettoria del tornado tarantino si sono contati anche decine di alberi sradicati, tetti di abitazione divelti e persino una scuola, dove la furia eolica ha infranto i vetri delle finestre, ferendo una decina di bambini, per fortuna in maniera non grave. Evolvendo verso nord/nord-est il grande vortice si poi progressivamente indebolito fino a dissiparsi quasi del tutto sull’entroterra, quando la base del cumulonembo si è un po’ sollevata. Analizzando i numerosi documenti fotografici e i tantissimi video pubblicati sul web, possiamo dire che il vortice che ha colpito Taranto e lo stabilmente dell’ILVA è identificabile in un autentico tornado di tipo mesociclonico (i più rari in Italia), legato ad un intenso sistema temporalesco “V-Shaped”, particolarmente potente e ben alimentato, soprattutto nei minuti iniziali, durante il passaggio dal mare verso l’ILVA. Va sottolineato come i “V-Shaped”, specialmente nella parte terminale e vicino la punta della “V”, possono presentare pure degli elementi “supercellulari”, con intensa rotazione, tanto da renderli particolarmente avvezzi per lo sviluppo di fenomeni vorticosi (da non confondere però con le “Supercelle” classiche). Questi tipo di tornado sono ben più rari dei “Waterspout” o dei piccoli tornado non mesociclonici, molto più comuni. Da una prima analisi preliminare, che tiene conto dell’entità dei danni e della grandezza del vortice, il tornado potrebbe essere classificato in un in un F-3 sulla scala Fujita, caratterizzato da venti veramente violenti, che oscillano in un range compreso fra i 254 km/h e i 332 km/h. Anche per una città come Taranto, particolarmente avvezza ai fenomeni vorticosi, data la sua particolare esposizione ai nuclei temporaleschi che risalgono dal golfo di Taranto, mantenendo una base molto bassa (può anche essere di soli 300-200 metri) visto l’assenza di rilievi, tornado di queste dimensioni possono essere ritenuti assolutamente eccezionali.
Caratteristiche e particolarità dei fenomeni vorticosi che interessano il territorio italiano
In Italia, come su buona parte del continente europeo, i fenomeni vorticosi sono tutt’altro che rari. Sul nostro paese, visto la particolare disposizione orografica, l’intero territorio nazionale quasi ogni anno è soggetto al passaggio di fenomeni vorticosi di debole e media intensità, F-0 F-1 F-2 sulla scala Fujita. Ben più rari sono gli eventi sopra l’ F-3, come quello che oggi ha devastato parte dell’ILVA e alcuni quartieri di Taranto, che per nostra fortuna si ripetono dopo svariati anni. L’area di massima formazione, tra la tarda primavera, l’estate e l’inizio dell’autunno, è proprio la pianura Padana, la costa fra Veneto e Friuli, dove gli avvistamenti dei fenomeni vorticosi sono molto frequenti. Le situazioni sinottiche ideali alla formazione dei fenomeni vorticosi sulla pianura Padana si ottengono solitamente in presenza di richiami d’aria calda e molto umida da SO e S-SO, mentre da Ovest o da NO, avanza un fronte freddo o un nucleo di aria più fredda in quota che scorre sopra l’aria calda e molto umida preesistente nei bassi strati, scalzandola verso l’alto e originando le forti turbolenze che favoriscono l’esplosione dei Cumulonembi.
Durante l’autunno e l’inverno invece sono comuni i cosiddetti “Waterspout” che molto spesso si osservano durante il passaggio delle intense “Squall line pre-frontali” fra l’area del golfo di Genova, le coste tirreniche e adriatiche, il golfo di Taranto e lo Stretto di Messina. In sostanza qualunque moto ascendente che sia rapido e che abbia diverse velocità ai vari livelli troposferici è potenzialmente carico di moti vorticosi, che possono poi rappresentare un buon potenziale per produrre delle possibili trombe d’aria. La stragrande maggioranza dei fenomeni vorticosi che si vedono in Italia sono originati da “Shelf Cloud” molto attive e ben formate. In questi casi il moto rotatorio che forma la tromba d’aria viene innescato dal “Downdraft” associato alla precipitazione. In genere se il “Downdraft” annesso non ha intensità omogenea lungo tutta la “Shelf Cloud” essa può subire una inclinazione o addirittura una frattura per la diversa spinta da esso generato. L’inclinazione della “Shelf Cloud” può essere cosi spinta che una parte di essa può arrivare a toccare il suolo formando una tromba d’aria. L’evoluzione del fenomeno è cosi rapida che sovente si osserva la tromba d’aria già formata e sviluppata. In altre occasioni, ben più rare, le trombe d’aria o i “Waterspout” che si generano in seguito a forti turbolenze proprie della “Shelf Cloud” che riescono a sfondare e a raggiungere il suolo. Il moto rotatorio necessario per la formazione della tromba d’aria viene quasi generato dalla linea di demarcazione esistente tra la corrente ascensionale e quella discendente che non sempre origina “Shelf Cloud”. La linea di demarcazione insiste fino a quando la Cella convettiva è attiva da avere contemporaneamente forti moti ascensionali e discendenti.