Un viaggio nel tempo alla scoperta di questo straordinario popolo dedito all’astronomia, alla matematica, alle costruzioni e alla misurazione del tempo. Apprenderemo le loro abitudini e le loro creazioni, in cosa erano specializzati e quali erano le loro credenze. Una presentazione globale di quella che è stata la cultura amer-indiana più importante del tempo e che ancora oggi continua a sorprendere e a far parlare di sé. Quando nel XVI secolo i conquistatori spagnoli giunsero nell’area maya e scoprirono vestigia monumentali, la cultura occidentale prese coscienza, per la prima volta, della presenza di una civiltà grandiosa. Nessuno conosce il loro nome o come si chiamasse la loro lingua, tantomeno si possono conoscere, oltre ogni possibile grado di certezza, i nomi delle loro città di pietra. Non tutti sono a conoscenza che il nome fu loro attribuito dagli europei conquistatori. Ma andiamo con ordine: la storia europea dei Maya inizia con Cristoforo Colombo.
Nel suo quarto ed ultimo viaggio del 1502, durante il quale costeggiò l’Honduras, il Nicaragua, il Costarica e Panama, sbarcò nell’isola hondureña di Guanaja, venendo in contatto con alcuni trafficanti locali, imbarcati su di un’immensa canoa scavata in un albero. Quando domandò loro la provenienza pensò di leggere nella risposta un nome che si avvicinasse all’espressione Mayab o Mayam. L’etimologia, sfortunatamente, è andata perduta, per cui gli studiosi hanno finito per accettare il termine apocopato Maya per designare gli abitanti di questa vasta regione centroamericana. Situato nel cuore dell’America centrale, il territorio maya si estendeva infatti su di una superficie di quasi 400.000 Km quadrati, e comprendeva gli attuali stati messicani dello Yucatán, del Quintana Roo, del Campeche, del Tabasco, la metà orientale del Chiapas, gli stati centroamericani del Guatemala, del Belize e le regioni occidentali dell’Honduras e di El Salvador. La regione era tutta compresa nella fascia tropicale. L’area maya fu inizialmente occupata alla fine dell’ultima Era Glaciale, oltre 10.000 anni fa. È ormai parere di molti studiosi che l’America sia stata popolata da genti che provenivano dall’Asia attraverso lo Stretto di Bering. Nel corso di successivi millenni, piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori nomadi sfruttarono le abbondanti risorse animali e vegetali della zona. Ebbe inizio la coltivazione del mais, pianta di importanza fondamentale, e più tardi della vita stanziale in villaggio, basata sulla raccolta e sull’immagazzinamento di piante coltivate. È questo il momento in cui è possibile identificare le radici dell’antica civiltà maya. Anche per i Maya l’apparizione di un codice di scrittura caratterizzò l’autonomia della civiltà.
La cronologia della storia maya è suddivisa in tre parti:
PRECLASSICO, CLASSICO e POSTCLASSICO, i quali a loro volta si suddividono in altre sottoparti. La visione scientifica attuale, sulla base di studi effettuati da studiosi di fama mondiale, presenta la popolazione Maya come un complesso di etnìe con lingue, usi e costumi differenti e con un percorso storico autonomo. Tuttavia, per le caratteristiche che condividono, possiamo considerare tutti i suoi gruppi come appartenenti a una sola cultura. Le lingue maya formano un gruppo linguistico con un’origine in comune e un percorso storico autonomo; Mercedes de la Garza ha affermato che non si può parlare di dialetti, come comunemente viene fatto, ma piuttosto di lingue con una loro precisa struttura grammaticale. I Maya utilizzavano un sistema di numerazione a base vigesimale (a base 20), e posizionale, in quanto erano a conoscenza dello zero, rappresentato attraverso un simbolo simile ad una conchiglia o ad un occhio. La numerazione adoperata permetteva calcoli complessi per quanto riguardava lo studio dei fenomeni celesti, poiché toccava all’astronomia regolare e dirigere tutte le azioni della vita.
Per i calcoli, essi usavano dei simboli semplici, ad esempio il punto per le unità, ed una sbarretta per la cifra 5; inoltre, dato che i Maya furono uno dei rari popoli che abbiano usato lo zero con un millennio di anticipo rispetto all’Europa, essi poterono, proprio perché erano riusciti a dare una connotazione all’inesistente, dare un valore posizionale alle cifre e in tal modo fare calcoli assai complessi. Seppero inoltre prevedere con esattezza le eclissi, e scrissero su delle tavole tutti gli spostamenti di Venere con una precisione che lascia ancora sbalorditi gli studiosi moderni. Per addizioni e sottrazioni i maya utilizzavano un particolare abaco. Pare accertato che per i loro calcoli i Maya non abbiano mai utilizzato orologi a sabbia o clessidre, nè altri strumenti di precisione. I loro calcoli furono dunque basati esclusivamente su osservazioni oculari, calcoli di triangolazione e misure delle ombre, poiché essi erano sorpresi dall’osservazione che gli astri, e il Sole in particolare, si presentavano sotto angoli che cambiano a seconda dei diversi periodi dell’anno. Allo stesso modo osservarono che la permanenza della nostra stella nel cielo aveva durata variabile a seconda di quelle posizioni e si sforzarono quindi di determinare le date dei solstizi, poiché si traducevano nel giorno più corto e più lungo dell’anno. I Maya come già accennato, erano attenti osservatori della volta celeste, ed erano molto condizionati dal tempo.
L’ormai famoso calendario Maya può essere suddiviso in più cicli:
– il ciclo Tzolkin, che aveva una durata di 260 giorni.
– il ciclo Haab, che aveva una durata di 364 giorni, più il “giorno fuori dal tempo”.
– il Lungo computo, che indicava il numero di giorni dall’inizio dell’era Maya.
Secondo i Maya ci sono state cinque ere cosmiche, ognuna delle quali composta da 5125 anni:
1) era dell’acqua
2) era dell’aria
3) era del fuoco
4) era della terra
5) era dell’oro
Ad ogni era corrisponderebbe una civiltà. Queste ere, con le sue civiltà corrispondenti, sarebbero terminate tutte con dei cataclismi, perché la terra subisce periodicamente degli spostamenti dell’asse del pianeta. Noi ci troveremmo nell’età dell’oro e secondo lo stesso calendario Maya, terminerebbe tra il 21 e il 23 dicembre 2012. Il ciclo attualmente in corso, che secondo la mitologia maya è il quarto, è iniziato l’11 agosto 3114 a.C. ed è molto vicino al termine. Non ci sono idee chiare riguardanti la fine di questo affascinante popolo, anche se sono stati effettuati tantissimi studi in merito. Verso il IX secolo d.C. si scatena un processo storico conosciuto come “collasso Maya”, caratterizzato dall’interruzione delle attività politiche e culturali delle grandi città, a cui segue l’abbandono delle stesse, che vengono invase dalla fitta vegetazione. Tra le ipotesi avanzate da parte degli studiosi, per spiegare le cause di questo fenomeno, vi è la teoria di una crisi agricola, di carestie che potrebbero aver causato gravi conflitti politici all’interno delle città e degli stati o tra diverse entità politiche.
Allorché la civiltà maya completava la sua maturazione nel periodo classico, fiorivano anche altre civiltà, che si erano distaccate dallo stesso ceppo durante la fase Iniziale. Queste altre culture, più riuscite di quella dei Maya sul piano economico, lo erano meno dal punto di vista spirituale, sviluppando, in seguito, una tendenza secolare che, con il tempo, assunse connotazioni militaristiche. In questo senso templi e piramidi passarono in secondo piano e a questo fenomeno dovette accompagnarsi un orientamento dell’intero sistema di vita collettiva verso la guerra come valore fondamentale. Ciò avvenne a partire dal 400 d.C., ossia prima che, a sud, i Maya raggiungessero il culmine del loro periodo classico. Quando alcuni gruppi messicani, nel tardo periodo classico, iniziarono a penetrare nello Yucatán, l’enorme superiorità della loro preparazione strategica e tattica e del loro armamento poteva lasciare ben pochi dubbi sulle conseguenze, tanto più che di fronte avevano una civiltà e delle gerarchie in disfacimento. Probabilmente la conquista messicana non si estese su tutto il territorio maya, forse perché non disponevano di un numero di uomini sufficiente per presidiarlo, ma dove non giunse la loro occupazione giunse la loro influenza. Tre codici soltanto sono sopravvissuti, per puro caso, al periodo coloniale, e si trovano a Dresda, a Madrid e a Parigi; un quarto è stato ritrovato qualche tempo fa. In totale, con i codici dell’altopiano messicano, ci sono pervenuti 17 codici, mentre migliaia di quei preziosi manoscritti sarebbero stati distrutti dai conquistatori iberici. Dipinti sulle due facciate, con tinte chiare e delicate, alcuni realizzati con pelle di daino, queste pagine sono piene di testi, disegni e vignette animate da personaggi spesso mistici. Questi libri ci parlano di divinità, di astronomia, di oroscopi, di rituali religiosi, per quel che è dato sapere, perché dei 372 geroglifici che vi sono stati rinvenuti, 200 restano totalmente incomprensibili.
Il codice di Dresda (detto codex Dresdensis), il più bello e il più complesso dei tre risale probabilmente all’XI o XII secolo e ricopia quasi sicuramente un originale del periodo classico; parla delle eclissi, della rivoluzione sinodica di Venere, di riti religiosi e di pratiche divinatorie, il tutto dimostrato in ben 70 pagine. Proprio partendo da quel codice della biblioteca di Dresda, Ernst Forstermann, impiegato di quella biblioteca, riuscì a decifrare una parte del calendario Maya, e a compiere il lungo conto che permette di stabilire una data in rapporto al punto di partenza cronologico Maya, grazie a una serie di glifi. Forstermann, in realtà, si era messo in testa di trovare il contenuto di quello strano libro di magia, e fu il primo, nel 1887, a capire che si trattava di tavole del pianeta Venere.
Il codice Tro-Cortesianus di Madrid, che è lungo più di sette metri e comprende 112 pagine, può risalire al secolo XV. Tratta della divinazione e si presenta come un’opera di consultazione per i preti indovini e tratta anche delle cerimonie in rapporto con i problemi artigianali e dei riti legati alla festa dell’Anno Nuovo. Deve essere stato diviso in due in data che non si è riusciti a stabilire; infatti due biblioteche di Madrid ne possedevano un tempo una parte ciascuna, una con il nome di codex Troano e l’altra con il nome di codex Cortesianus. Poi, dimostrato che esse formavano un tutto, i due tronconi sono stati riuniti al Museo di Archeologia e di Storia di Madrid.
Il codice Peresianus infine della biblioteca Nazionale di Parigi è parimenti abbastanza tardo (XV secolo) ed essendo in cattivo stato, pare incompleto; è lungo circa 145 cm, e presenta soltanto 22 pagine; è anche questo un’opera di consultazione per i preti indovini e può darsi che le profezie di questo manoscritto abbiano un carattere storico poiché gli avvenimenti futuri erano, nella concezione Maya, delle proiezioni del passato, cioè delle ripetizioni inevitabili. Venne scoperto nel 1860 in un mucchio di vecchi documenti abbandonati in un deposito della Biblioteca Nazionale di Parigi; e siccome la carta che lo avvolgeva portava il nome di Perez, venne chiamato codex Peresianus.