Terremoti: tettonica, sismicità e rischi di Garfagnana e Versilia

MeteoWeb
La mappa dell’ultima classificazione sismica della Regione Toscana. Si noti la fascia grigia completamente asismica e la “zona 2” in corrispondenza dell’Appennino. In questa classe ricade il 33% dei comuni toscani

Il 25 gennaio scorso un terremoto di magnitudo 4.8 ha interessato l’intera provincia di Lucca, nella Toscana settentrionale. La scossa è stata chiaramente avvertita in gran parte del Nord Italia ed in Garfagnana ha fatto tremare case e campanili, con le campane che hanno battuto pure qualche rintocco causa l’oscillazione indotta. L’evento ha suscitato allarme non solo nella zona epicentrale (nei pressi di Castiglione), ma anche sulla costa dove, nonostante quanto anticipato da MeteoWeb in quest’articolo, la popolazione non è perfettamente consapevole dei rischi cui il territorio è sottoposto a seguito di scosse sismiche intense. Cerchiamo di capirne di più tramite il geologo Giampiero Petrucci, con la collaborazione di Paolo Balocchi, geologo del GeoResearch Center Italy – Geoblog (www.georcit.blogspot.com).

L’ultima classificazione sismica della Toscana, pubblicata alla fine dello scorso anno, lascia pochi dubbi: la fascia appenninica è la più soggetta al rischio di un terremoto distruttivo. Nonostante non esista nessun comune in “classe 1”, la più grave sotto il profilo della sismicità, da sempre la Toscana è stata sede di terremoti più o meno intensi e distruttivi. Lo dimostra la sua sismicità storica per cui gli epicentri sono concentrati principalmente in alcune aree ben specifiche, corrispondenti grosso modo alla zona assiale della catena appenninica: Alta Val Tiberina, Casentino, Mugello, Garfagnana e Lunigiana. Tutte queste zone, già teatro in passato di terremoti distruttivi con centinaia di morti, sono definiti tettonicamente come graben ovvero profondi bacini intermontani formatisi nel Quaternario, dunque geologicamente recenti, generalmente circondati da complessi sistemi di faglie.

Sismicità storica della toscana riportata sul modello topografico digitale. I quadrati rappresentano gli epicentri dei terremoti: più sono grandi, maggiore è la magnitudo associata al sisma (da Mantovani e al., 2010)

Esiste poi una fascia intermedia, orientata in senso NW-SE, che comprende la Toscana centro-meridionale, tra la valle dell’Arno ed il Lazio dove la sismicità può essere considerata medio-bassa, anche se non mancano situazioni locali, caratterizzate da particolari terreni (sabbie fini sature o certi tufi meccanicamente scadenti) e morfologie  che possono portare ad amplificazioni delle scosse sismiche. La terza fascia invece, la meno pericolosa, corrisponde alla parte sud-occidentale della regione, la costa grossetana e le isole dell’arcipelago: un settore che ha subìto un parossisimo tettonico nel Miocene superiore con l’apertura del Tirreno settentrionale ma che adesso risulta pressochè asismico.

La potenzialità sismica della Garfagnana, la valle del fiume Serchio, è ben nota, come dimostrato dai numerosi terremoti importanti avvenuti in passato nell’area, l’ultimo dei quali, datato 7 settembre 1920, fu particolarmente potente e distruttivo. Di magnitudo 6.5, ebbe il suo epicentro, secondo il catalogo CPTI04 dell’INGV, nei pressi di Nicciano, praticamente al confine delle attuali province di Massa-Carrara e Lucca. Colpì infatti sia la Lunigiana (altra zona a forte rischio sismico) che la Garfagnana. Vennero devastate diverse cittadine tra cui Fivizzano, Vigneta, Villa Collemandina. Si registrarono gravi danni a Piazza al Serchio, Castelnuovo, Villafranca, Filattiera, Pontremoli. La scossa, verificatasi all’alba, venne avvertita dalla Costa Azzurra al Friuli. Almeno 200 le vittime: per fortuna, la popolazione era stata messa in allarme da alcune scosse nei giorni precedenti e la maggior parte non dormiva in casa al momento del sisma devastante. Dunque il terremoto dello scorso 25 gennaio non può essere una sorpresa.

Sismicità storica della Toscana settentrionale, con particolare riferimento alla Garfagnana (INGV, 2013)

Questa ultima scossa però si è sviluppata più ad Est dell’evento del 1920: il suo epicentro è comunque collocato entro la cosiddetta “zona Lunigiana-Garfagnana” dove il territorio è rappresentato da valli tettoniche (i graben di cui sopra) affiancate a porzioni del paesaggio più elevate, i cosiddetti horst, rappresentati nel caso della Garfagnana dalle Alpi Apuane (famose per i loro marmi) e l’Appennino propriamente detto. Questi elementi strutturali sono delimitati e separati tra loro da faglie distensive con movimento normale: spesso queste faglie si distinguono in “principali” e “secondarie”, opposte alle prime. Nel caso del graben della Garfagnana, la faglia principale è denominata “faglia Liguride”, è inclinata verso NE di circa 30° e si estende fino alla profondità di circa 15 km. Tale struttura rappresenta, alla scala regionale, una faglia di scollamento dove la litosfera è in netta estensione in direzione NE-SW. Ad essa sono associate le faglie secondarie opposte (inclinate verso SW) che terminano contro quella principale.

Un esempio di strutture horst&graben: porzioni di litosfera terrestre relativamente alzate (horst) affiancate a porzioni ribassate (graben), delimitati da faglie normali che distendono la litosfera (frecce rosse)

Fondamentalmente il motore che determina il movimento delle strutture tettoniche della catena appenninica settentrionale, causando la relativa sismicità, è rappresentato dalla subduzione della microplacca Adria che si immerge al di sotto della placca Europea. Il movimento di avvicinamento tra le due placche provoca un settore in netta compressione sul fronte appenninico sepolto sotto i depositi della Pianura Padana, con strutture da sovrascorrimento: è questo che ha generato i terremoti emiliani del maggio 2002. Invece il versante toscano, il cosiddetto retropaese appenninico, è generalmente caratterizzato da una tettonica estensionale in cui si possono verificare movimenti trascorrenti sempre associati ad una distensione litosferica in direzione NE-SW, come è accaduto nel terremoto del 25 gennaio scorso. Non si può dunque escludere che, data la tettonica di questi elementi strutturali e la sismicità storica, in aree come Lunigiana, Garfagnana, Mugello e Val Tiberina possano in futuro svilupparsi terremoti di una certa intensità.

Schema strutturale prospettico delle strutture a horst&graben della Toscana settentrionale con evidenziate le principali faglie riconosciute nella zona. In particolare la “faglia Liguride”, immergente a basso angolo verso NE e le faglie “secondarie” associate. B.L.= Bacino della Lunigiana, B.S. = Bacino di Sarzana, B.V. = Bacino del Vara (da Bernini&Papani, 2002, modificata)

Tutto quanto sopra descritto e la scossa del 25 gennaio scorso, ben avvertita in tutta la fascia costiera apuana e versiliese per quanto di intensità medio-bassa, impongono un’ulteriore considerazione. Ricordando anche il terremoto del maggio scorso in Emilia e la carenze ad esso collegato in fase di microzonazione sismica, sembra necessario sottolineare nuovamente come gli effetti di sito o locali possano amplificare le onde sismiche e creare ulteriore devastazione, anche in presenza di magnitudo intorno a 5.5.
In particolare sussistono parecchie analogie tra la Versilia e le zone emiliane colpite dal terremoto di maggio 2012: stessa tipologia di terreni (sabbie fini), stessa profondità della falda acquifera (prossima al piano campagna), stessa classe sismica (3 su scala di 4), entrambe situate a poche decine di km di distanza dall’Appennino. E’ stato scientificamente dimostrato, anche attraverso studi di terremoti recenti, che gli “effetti di sito” possono verificarsi anche in zone distanti 25-30 km, talora anche 50 km, dall’epicentro in presenza di una scossa intensa. In linea d’aria la Versilia dista una ventina di km dalla Garfagnana e sbaglia grossolanamente chi si affida alla vecchia leggenda popolare, ancora oggi in voga in quelle zone, per cui in qualche modo la sabbia “proteggerebbe” dai terremoti. Niente di più sbagliato. Anzi, è esattamente il contrario: sabbie fini, granulometricamente uniformi, piuttosto porose e poco addensate, con la falda acquifera molto vicina al piano campagna (esattamente le condizioni che si ritrovano nel sottosuolo del litorale versiliese ed in particolare a Viareggio) rappresentano le condizioni ideali per lo sviluppo della liquefazione di cui tanto MeteoWeb ha già parlato. In sostanza un terreno in queste condizioni attraversato dalle onde sismiche tende, nella peggiore delle ipotesi, a fluidificarsi ovvero a comportarsi come un liquido od una massa viscosa. In ogni caso l’acqua risale velocemente fino alla superficie, quasi ribollendo.

Sezione sismogeologica attraverso l’Appennino tosco-emiliano lungo la direttrice Levanto-Parma-Mantova. La linea rossa rappresenta la faglia “Liguride” in corrispondenza dei graben Lunigiana-Garfagnana (da Finetti, 2010, modificato)

La situazione può assumere contorni particolarmente gravi in presenza di un piano seminterrato in cui le fondazioni del fabbricato sono come una scatola, con un ampio rettangolo di cemento armato alla base, le cosiddette fondazioni a platea. In questo caso, con il verificarsi della liquefazione ed il risalire dell’acqua, l’edificio si trova a galleggiare come una zattera su un fluido. Il fabbricato non è più in equilibrio, tende ad inclinarsi da una parte e talora a ribaltarsi. Questo, fortunatamente, in Emilia non è successo perché i fenomeni si sono esplicati attraverso la cosiddetta liquefazione ciclica ma in diversi casi l’acqua comunque è riuscita a sfondare il pavimento e ad entrare nelle abitazioni, risalendo fin quasi ad un metro di altezza come se si trattasse di un’alluvione invece che di un terremoto (Terremoti: rischio sismico, microzonazione, liquefazione e prevenzione: intervista alla prof.ssa Teresa Crespellani).

Un esempio di liquefazione durante l’ultimo terremoto emiliano, a San Carlo. L’acqua, mista a sabbia fine, ha sfondato il pavimento di un seminterrato, rifluendo fino a circa un metro di altezza e riempiendo la stanza come se si trattasse di un’alluvione (da Crespellani ed al., 2012)

Non possiamo dire se questo succederà o no in Versilia però possiamo certamente dire che a Viareggio le costruzioni edificate tra gli anni ’50 ed ’80 (dunque totalmente prive di qualsiasi accorgimento antisismico) sono parecchie così come quelle dotate di cantine e fondazioni a platea, compresi scuole ed edifici pubblici. Per questo la vulnerabilità della zona, in rapporto ad un terremoto in Garfagnana con magnitudo intorno a 5.5, non sembra più tanto da sottovalutare: l’edificato di Viareggio, e della Versilia in genere, è ben diverso e molto più ampio rispetto al 1914 (quando una scossa sismica di magnitudo 5.8 ebbe il suo epicentro poco a nord-est di Lucca) o al 1920. La scossa del 25 gennaio ha creato sconcerto ed allarme tra la popolazione viareggina, spesso ignara del rischio sismico ed assolutamente inconsapevole di cosa sia un “effetto di sito” e dei provvedimenti di difesa da adottare. Teoricamente, per salvaguardarci veramente, dovremmo riverificare le condizioni strutturali di ogni fabbricato, gestendolo tramite una specie di carta d’identità. Oppure realizzare mappe multilivello in funzione della profondità, in modo da conoscere esattamente le caratteristiche del sottosuolo su cui si innestano le fondazioni e verificare le zone della città più a rischio liquefazione. Questo non è stato sviluppato positivamene in Emilia nelle zone terremotate del maggio 2012 e tanto meno è stato mai fatto in Versilia né nella maggior parte d’Italia. Per questo alla prossima scossa di magnitudo 5.5 ci ritroveremo a ripetere, inutilmente, gli stessi discorsi.

BIBLIOGRAFIA

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