Lo sciame sismico di Città di Castello: ecco perché trema la Val Tiberina

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sismografo3Con il termine Val Tiberina si intende la porzione medio-alta della valle del fiume Tevere, al confine tra Toscana ed Umbria, una ventina di km ad est di Arezzo. Sansepolcro e Città di Castello ne sono i centri principali: proprio quest’ultima località è stata sede nei giorni scorsi di uno sciame sismico che ha allarmato popolazione ed autorità. Proviamo a capire perché la zona è storicamente afflitta da una costante sismicità grazie al geologo Giampiero Petrucci.

Figura 1. Sismicità storica della Val Tiberina. In nero i principali elementi tettonici. I cerchi rossi rappresentano i terremoti avvenuti dopo l’anno 1000: la loro grandezza è proporzionale all’intensità sulla scala MCS. Il poligono contornato in blu, al cui interno è presente Città di Castello, rappresenta l’area entro cui potrebbe in futuro svilupparsi un terremoto con intensità fino al IX-X grado scala MCS (da Mantovani ed altri, 2012)
Figura 1. Sismicità storica della Val Tiberina. In nero i principali elementi tettonici. I cerchi rossi rappresentano i terremoti avvenuti dopo l’anno 1000: la loro grandezza è proporzionale all’intensità sulla scala MCS. Il poligono contornato in blu, al cui interno è presente Città di Castello, rappresenta l’area entro cui potrebbe in futuro svilupparsi un terremoto con intensità fino al IX-X grado scala MCS (da Mantovani ed altri, 2012)

La storia. La sismicità storica della Val Tiberina è ben nota (qui tutti i terremoti con magnitudo superiore a 5.5 della storia d’Italia). Il primo terremoto importante di cui si hanno riscontri storici effettivi può essere considerato quello del 25 dicembre 1352, verificatosi proprio il giorno di Natale. La scossa è fortissima, al punto che viene avvertita fino a Bologna: la magnitudo macrosismica si aggira intorno a 6.3 ed i danni, stimati dai resoconti di vecchi annali medioevali, dovrebbero aver raggiunto il IX grado della scala MCS. Il sisma non giunge isolato: rappresenta il culmine di una sequenza durata almeno un mese, con una replica piuttosto forte il giorno di Capodanno del 1353 la quale causa ulteriori crolli e vittime. Sansepolcro paga il prezzo più alto al disastro (circa un migliaio di morti), ma anche Monterchi (nei cui dintorni crolla la Torre d’Elci seppellendo diversi soldati dei Visconti di Milano lì acquartierati), Citerna e Città di Castello vedono rasi al suolo o gravemente lesionati molti edifici. Almeno duemila le vittime del terremoto, anche se una stima esatta appare difficile. Comunque una grande devastazione. Situazione analoga appena 37 anni dopo, il 18 ottobre 1389 quando però i danni si spostano geograficamente più a sud-est. Una scossa di magnitudo stimata intorno a 6.0 genera infatti grande distruzione soprattutto a Città di Castello dove crollano edifici (tra cui il palazzo comunale) e mura, con intensità di grado VIII della scala MCS. Crollano anche molti castelli del territorio compreso tra la valle e le Marche (tra questi Castelguelfo e Pietragialla). Danni ingenti anche a Sansepolcro e nella valle del Metauro, in particolare ad Urbania (in quel tempo chiamata Casteldurante), a conferma che l’epicentro probabilmente si trovava in prossimità dell’Appennino. Ignoto il numero delle vittime. Passano neanche 70 anni ed il 26 aprile 1458 la Val Tiberina è nuovamente devastata. Stavolta la scossa, sviluppatasi intorno a mezzogiorno e seppur di magnitudo inferiore alle precedenti (intorno a 5.8), provoca comunque danni rilevanti, in particolare a Città di Castello (area epicentrale) dove crolla circa il 30% degli edifici (tra cui la chiesa di S. Francesco) e molti altri fabbricati vengono lesionati. Segnalati crolli e lesioni rilevanti anche a Sansepolcro, Montone (con intensità grado VIII scala MCS) e nell’area circostante Città di Castello, con fenditure e fessurazioni nel terreno. Diverse decine le vittime. Il XVI ed il XVII secolo sono caratterizzati ciascuno da un sisma di magnitudo intorno a 5.0-5.1 e danni di intensità pari al grado VII della scala MCS: il 9 febbraio 1558 sono colpite Città di Castello e Sansepolcro mentre l’ 8 Aprile 1694 è ancora Sansepolcro la città maggiormente interessata assieme a Pieve S. Stefano.

Figura 5. Lo scontro tra le placche tettoniche lungo la nostra penisola. La placca africana si insinua nel Mar Adriatico con la microplacca Adria che va in subduzione al di sotto dell’Appennino. Le frecce blu indicano le direzioni di movimento, di entità intorno ai 5 mm/anno (da Mantovani et alii, 2010)
Figura 5. Lo scontro tra le placche tettoniche lungo la nostra penisola. La placca africana si insinua nel Mar Adriatico con la microplacca Adria che va in subduzione al di sotto dell’Appennino. Le frecce blu indicano le direzioni di movimento, di entità intorno ai 5 mm/anno (da Mantovani et alii, 2011)

Passando dalla scossa del 29 marzo 1731 (magnitudo 5.3) che crea danni soprattutto a Pieve S. Stefano, si arriva quindi al  30 settembre 1789 quando l’epicentro (nei pressi di Cerbara) ritrova la sua posizione nella valle, interamente coinvolta nell’evento distruttivo, caratterizzato da magnitudo 5.8. Viene infatti colpita l’area delimitata in una specie di quadrilatero che ha i suoi vertici in Sansepolcro, Montone, Anghiari e Città di Castello (dove crolla la cattedrale), con particolari conseguenze sulla riva sinistra del Tevere. Si sviluppano effetti in almeno 50 località, con intensità fino al grado VIII scala MCS. Il sisma viene nettamente avvertito a Firenze e Siena, provocando circa 500 morti. Se l’Ottocento passa con due scosse di magnitudo intorno a 5.1 (21 settembre 1865 e 8 dicembre 1897) le quali causano lesioni a Città di Castello, ben più consistente quanto accade il 26 aprile 1917. Stavolta è l’area toscana a subire effetti devastanti: Monterchi è quasi rasa al suolo (inagibile il 90% delle abitazioni) mentre Citerna e Sansepolcro vedono molti edifici gravemente lesionati. La scossa è potente (magnitudo 5.9) e provoca danni fino al X grado scala MCS. Tra le cittadine colpite, sia pure in misura minore, anche Selci, Anghiari, Montone, Città di Castello. L’esiguo numero di vittime, una ventina, si deve al verificarsi di fortuite coincidenze. Alcune scosse precedenti avevano allarmato la popolazione che oltre tutto all’ora del sisma, in tarda mattinata, si trovava a lavorare nei campi. Inoltre molti giovani erano lontani, a combattere nella Prima Guerra Mondiale.

Figura 6. Sezione tettonica trasverale all’Appennino centrale. Le frecce indicano i movimenti tettonici attivi: la Val Tiberina è in una fase di distensione crostale mentre il cuneo RMU continua a scorrere lungo la “faglia Tiberina”, provocando compressione sul margine esterno appenninico, andando a sovrapporsi sulla litosfera adriatica. In corrispondenza dell’Appennino la placca europea e la microplacca Adria collidono secondo un piano di subduzione (da Mantovani et alii, 2010)
Figura 6. Sezione tettonica trasverale all’Appennino centrale. Le frecce indicano i movimenti tettonici attivi: la Val Tiberina è in una fase di distensione crostale mentre il cuneo RMU continua a scorrere lungo la “faglia Tiberina”, provocando compressione sul margine esterno appenninico, andando a sovrapporsi sulla litosfera adriatica. In corrispondenza dell’Appennino la placca europea e la microplacca Adria collidono secondo un piano di subduzione (da Mantovani et alii, 2011)

Quando ancora non si sono chiuse le ferite di una guerra ancora più grave, il 13 giugno 1948, Sansepolcro è oggetto di un altro evento sismico significativo, magnitudo 4.9 e VIII grado scala MCS. Diversi edifici lesionati, 2500 senzatetto, la città invasa da tendopoli ed accampamenti. Una sola vittima, una donna rimasta sepolta dal crollo della volta della chiesa di S. Francesco. Segnalati danni anche a Pieve S. Stefano, lesioni meno gravi a Città di Castello. Da allora, quindi da 65 anni, la Val Tiberina ha ancora tremato diverse volte, ma lievemente, con scosse e sciami sismici che raramente hanno superato la magnitudo di 4.0 come accaduto nel 1997 (magnitudo 4.1) ed il 26 novembre 2001 (magnitudo 4.3) nella zona di Anghiari, con lievi danni ad alcuni edifici. Poi poco o niente, fino all’ultimo episodio di Città di Castello.

Le cause. Dal punto di vista storico, è dunque indiscutibile che la Val Tiberina rappresenti una delle zone dell’Italia centrale più soggette allo sviluppo di terremoti importanti. Tant’è vero che i suoi Comuni, sia umbri che toscani, rientrano, secondo l’ultima classificazione in funzione del rischio sismico, in “classe 2”, la stessa ad esempio di L’Aquila: Sansepolcro ed Anghiari, anche per i numerosi edifici antichi che conservano, sono considerati tra i Comuni toscani potenzialmente più vulnerabili. Questo poco invidiabile primato spetta alla Val Tiberina a seguito della sua posizione geografica e delle strutture sismogenetiche presenti nel sottosuolo del suo territorio.

Figura 2. L’Etrurian Fault System, il sistema di faglie che scorre parallelamente all’Appennino, dalla Liguria al Lazio, teatro di forti terremoti sin dall’antichità. I bacini intermontani ad esso collegato vengono definiti graben ed in passato sono stati sede di eventi sismici distruttivi, anche a più riprese (da DISS-INGV, modificato)
Figura 2. L’Etrurian Fault System, il sistema di faglie che scorre parallelamente all’Appennino, dalla Liguria al Lazio, teatro di forti terremoti sin dall’antichità. I bacini intermontani ad esso collegato vengono definiti graben ed in passato sono stati sede di eventi sismici distruttivi, anche a più riprese (da DISS-INGV, modificato)

Dal punto di vista tettonico la Val Tiberina è infatti un graben ovvero un profondo bacino intermontano formatosi nel Quaternario, dunque geologicamente recente (circa 2 milioni di anni fa), circondato da complessi sistemi di faglie che, attivandosi, possono generare eventi sismici. L’Appennino settentrionale, nella sua estensione tra Toscana ed Umbria, è caratterizzato proprio da una serie di graben, disposti grosso modo in corrispondenza della zona assiale della catena appenninica, nei quali si concentra la grande maggioranza degli epicentri sismici storici. Da nord-ovest a sud-est essi sono Lunigiana, Garfagnana, Mugello, Casentino e Val Tiberina, bacini che anche negli ultimi 100-150 anni sono stati oggetto di eventi sismici distruttivi. Essi sono “collegati” tra loro dal cosiddetto Etrurian Fault System (EFS) o “sistema di faglie etrusco” che rappresenta appunto un complesso susseguirsi di elementi tettonici, potenzialmente capaci di generare forti terremoti, lungo circa 350 km (figura 2).

La differenza sismotettonica principale riscontrata nell’EFS, dal punto di vista storico, è che nel settore settentrionale i terremoti sono meno frequenti ed intensi ma più superficiali (ipocentri circa 7-8 km) mentre a sud gli eventi sono più potenti e profondi (15-20 km): tra questi, l’ultimo episodio importante è quello umbro-marchigiano del 1997 (magnitudo 6.0).

Figura 3. Schema tettonico-cinematico dell’Appennino settentrionale. Le frecce indicano i movimenti tettonici a scala regionale. Gli elementi tettonici estensionali sono graficati in rosso, in blu quelli compressionali e trascorrenti. L’ovale nero identifica la Val Tiberina, compresa nel cosiddetto cuneo RMU (da Mantovani et alii, 2012)
Figura 3. Schema tettonico-cinematico dell’Appennino settentrionale. Le frecce indicano i movimenti tettonici a scala regionale. Gli elementi tettonici estensionali sono graficati in rosso, in blu quelli compressionali e trascorrenti. L’ovale nero identifica la Val Tiberina, compresa nel cosiddetto cuneo RMU (da Mantovani et alii, 2012)

A scala macroregionale, la situazione è ancora più complessa ma ben evidenziata sia dagli studi sismotettonici che dalle misure geodetiche tramite reti GPS. Tra gli studi recenti in questo campo si rivelano fondamentali, per completezza e dettaglio, quelli coordinati dal Prof. Enzo Mantovani dell’Università degli Studi di Siena (Dip. Scienze della Terra), dai quali è possibile trarre informazioni estremamente utili per comprendere la sismicità dell’intera Italia centrale. Semplificando al massimo, si può dire che l’Appennino settentrionale è diviso in due grandi “cunei tettonici”, uno definito “Toscana-Emilia” (TE, in celeste nella figura 3) e l’altro “Romagna-Marche-Umbria” (RMU, in verde nella figura 3) che poi, in definitiva, è il “responsabile” dei terremoti sviluppati nella Val Tiberina. Questi due cunei tendono a muoversi verso nord-est, con movimenti di pochi mm all’anno, ma ben più consistenti e persistenti nel cuneo RMU, anche a seguito di una spinta tettonica proveniente da sud, dalla cosiddetta “piattaforma laziale-abruzzese” (in violetto nella figura 3) che, in un certo senso, obbliga il cuneo RMU a muoversi verso nord-est ed a “scollarsi” dal basamento crostale lungo la cosiddetta “faglia tiberina” (figura 4). Quasi come se fosse un’enorme zattera che avanza lentamente su un piano inclinato (figura B di figura 4). Questi movimenti, legati anche allo scontro tra la placca europea e la microplacca Adria (figura 5), hanno molto probabilmente prodotto alcuni terremoti umbri degli ultimi 40 anni. Le figure 3 e 4 descrivono graficamente questa complessa situazione cui è legata l’intera cinematica dell’Appennino settentrionale.

Figura 4. Il contesto tettonico regionale che porta alla sismicità della Val Tiberina. Figura A: la “piattaforma” Laziale-Abruzzese (LAE) provoca una spinta tettonica da sud al cuneo Romagna-Marche-Umbria (RMU) che tende a muoversi verso nord-est (frecce nere). Figura B: schema della risalita forzata del cuneo RMU lungo la “faglia tiberina”, con parziale sollevamento (indicato dalle frecce rosse). Figura C: il progressivo movimento del cuneo RMU ha portato alla formazione di faglie antitetiche alla “faglia tiberina”, con sviluppo dei terremoti riportati nelle sottofigure 1-2-3 (da Mantovani et alii, 2012)
Figura 4. Il contesto tettonico regionale che porta alla sismicità della Val Tiberina. Figura A: la “piattaforma” Laziale-Abruzzese (LAE) provoca una spinta tettonica da sud al cuneo Romagna-Marche-Umbria (RMU) che tende a muoversi verso nord-est (frecce nere). Figura B: schema della risalita forzata del cuneo RMU lungo la “faglia tiberina”, con parziale sollevamento (indicato dalle frecce rosse). Figura C: il progressivo movimento del cuneo RMU ha portato alla formazione di faglie antitetiche alla “faglia tiberina”, con sviluppo dei terremoti riportati nelle sottofigure 1-2-3 (da Mantovani et alii, 2012)

Un simile quadro sismotettonico induce a ritenere la Val Tiberina come “schiacciata” e “presa in mezzo” da forze tettoniche distensive e compressive, molto complesse ed articolate, ma che portano ad un unico risultato: una sismicità potenziale elevata, ben nota ed individuata, tale da porre l’area a rischio di un evento di media-forte intensità. In particolare molti studiosi puntano il dito sul “cuneo RMU” che si sta muovendo, secondo le misure geodetiche, molto più velocemente dell’omologo “cuneo TE” (fino a 5 mm all’anno). Ciò teoricamente implica un maggiore accumulo di deformazione nelle faglie della Val Tiberina rispetto, ad esempio, alla Garfagnana, di cui abbiamo già parlato su MeteoWeb (Tettonica, sismicità e rischi di Garfagnana e Versilia). Nessuno però può prevedere quando queste deformazioni porteranno ulteriori effetti così come, almeno dal punto di vista sismotettonico, nessuno può ritenere una sorpresa lo sciame sismico appena verificatosi a Città di Castello. La storia prima o poi potrebbe comunque ripetersi, anche in Val Tiberina.

Si ringrazia il Prof. Enzo Mantovani, Università di Siena – Dip. Scienze della Terra, per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini qui riprodotte.

Per approfondimenti si consiglia:

  • “Potenzialità sismica della Toscana e definizione di criteri di priorità per interventi di prevenzione” a cura di E. Mantovani, M. Viti, D. Babbucci, N. Cenni, C. Tamburelli, A. Vannucchi, F. Falciani, G. Fianchisti, M. Baglione, V. D’Intinosante, P. Fabbroni, 2012
  • “Sismotettonica dell’Appennino settentrionale – Implicazioni per la pericolosità sismica della Toscana”, a cura di E. Mantovani, M. Viti, D. Babbucci, N. Cenni, C. Tamburelli, A. Vannucchi, F. Falciani, G. Fianchisti, M. Baglione, V. D’Intinosante, P. Fabbroni, 2011
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