Prevedere i cambiamenti climatici globali partendo dall’alto delle vette alpine, considerate vere e proprie ‘sentinelle del ‘climate change’ grazie alle repentine risposte date alle modificazioni ambientali. Un laboratorio, quello dell’ecosistema montano, al centro della ventunesima edizione dell’Alpine Summer School – intitolata ‘Climate change and the mountain environment‘ – la dieci giorni italo-francese al via oggi a Valsavarenche (Aosta) dove 38 dottorandi e titolari di dottorato di ricerca incontrano alcuni dei massimi esperti internazionali in materia. ”Negli anni e’ stato appurato che i modelli climatici sbagliano per difetto”, sottolinea Antonello Provenzale (Isac-Cnr), tra i direttori del corso, spiegando che ”gli effetti del rialzo termico ad oggi osservati sono maggiori di quelli previsti”. Riprendendo i temi della conferenza Rio+20 promossa un anno fa dalle Nazioni Unite in Brasile, emerge che le montagne giocano un ruolo cruciale nell’ambiente, fornendo risorse idriche a una buona parte della popolazione mondiale e al tempo stesso subendo l’impatto negativo dei cambiamenti climatici sul proprio fragile ecosistema. Ne è un esempio il ‘lontano’ Himalaya dove, pur a quote ben superiori di quelle alpine, ”le stazioni di monitoraggio installate dal 1994 ad oggi registrano diversi inquinanti”, ricorda Elisa Vuillermoz (EvK2Cnr). Restando in ambito alpino poi ”l’intensificazione del ciclo idrogeologico” – con l’alternanza di periodi che ”tendono alla siccità” con quelli ”dominati dalle piogge” – e’ tutta a discapito, tra l’altro, della continuita’ ”della produzione di energia idroelettrica”, fa notare Isabella Zin (Lthe, Grenoble). Tra gli esperti ospiti a Valsavarenche spiccano Martin Beniston dell’Universita’ di Ginevra, Roy Rasmussen del National Center for Atmospheric Research, Boulder, Colorado e Guoxiong Wu (Iap, Pechino).