C’è un vino coltivato sulla roccia: il Roccese

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Il terroir del vino è quello strano miscuglio di geologia, geomorfologia, pedologia, topografia, microclima ed ambiente che entrano nel sapore del vino, nella sua qualità.

Il terroir è dunque espressione di un territorio, di una storia, di un paesaggio. Il paesaggio viticolo in effetti incute grande fascino soprattutto per il suo “vissuto storico”, come testimone dei rapporti fra l’uomo e l’ambiente; in esso si ritrovano, si leggono ancora segni di azione antropica antica, soprattutto le umili azioni in senso comune, ripetute durante lunghi periodi di tempo; in esso, nel suo continuo divenire, convivono il passato ed il presente.

La nostra penisola come risaputo ospita grandi terroir che ospitano grandi vini, conosciuti ed apprezzati a livello globale: dal Barolo al Chianti classico, dal Franciacorta doc al Nero d’Avola.

Ma accanto a questi grandi vini di successo si affiancano vini “anonimi”, poco conosciuti anche a livello nazionale o addirittura regionale: piccoli vini ma di grande qualità, espressione di unicità, di identità e di umanità, piccoli vini espressione di un grande terroir.

Vorrei dedicare questo spazio ad un territorio, ad un vino in particolare: il vino coltivato sulla roccia, il Roccese. Il suo vitigno prende il nome di Rossese, vitigno autoctono della riviera di Ponente ligure (nell’imperiese).

Un territorio medio montano inclemente, ostico, con i suoi versanti scoscesi a picco sul mare. Suoli rocciosi, inospitali per le piante e soprattutto per una viticoltura di qualità.

Ma il clima temperato, gradevole, riparato dai venti freddi, un sole che irradia quasi tutto l’anno, uniti alla tempra dei vignaioli locali hanno consentito la produzione di ottimi vini di alta qualità, anche se molto modesto è il rendimento pertanto sono solo di distribuzione locale, poco conosciuti.

Il nome di questo particolare vino deriva dal sistema di coltivazione basato sull’antico metodo tradizionale ligure che prevede l’impiantamento dei ceppi in quel poco di terreno tra roccia e roccia o fra i muretti a secco ancora disponibile ad ospitare colture agricole.

Si tratta quindi di viti rigorosamente autoctone non soltanto per quanto riguarda il semplice innesto della pianta ma bensì per tutta la successiva coltivazione, fino alla produzione ed alla conservazione del prodotto.

Ne vien fuori un vino rosso rubino, con riflessi granati a seguito di procedure di invecchiamento. Un vino delicato dal profumo intenso, caratteristico e dal sapore armonioso. Un vino – pensate – molto apprezzato anche da Napoleone Bonaparte

Un vino, un territorio che meritano certamente una visita, sia per le prelibatezze enogatronomiche che per il fascino suggestivo puntellato di castelli medievali e luoghi artistici che sanno di antico ancora capaci di suscitare quelle emozioni che il tram-tram quotidiano modernista ci ha scelleratamente sottratto.

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