C’era una volta l’orso delle caverne

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orso speleoL’orso delle caverne è, nella cultura popolare,” l’archetipo del cattivo”: un essere gigantesco, mostruoso e feroce che assaliva l’uomo preistorico.

In realtà l’orso delle caverne (nome scientifico Ursus spelaeus, L.) non attaccava affatto l’uomo, anzi il suo regime alimentare era essenzialmente vegetariano.

Si tratta di una specie di orso vissuta nel Pleistocene ed estintasi alla fine di tale epoca: di taglia ben più grande rispetto all’orso attuale (Ursus arctos, L.), si diffuse in tutto il continente europeo ed asiatico. Era un grosso animale dall’aspetto corpulento, con i suoi 50cm di cranio e circa 3m di lunghezza dalla punta del muso alla coda; i maschi adulti potevano raggiungere fino gli 800 kg di peso.

Come detto quindi la sua dieta non era prettamente carnivora: un carnivoro infatti possiede tutti i denti aguzzi, non solo i canini come nel caso dell’orso speleo; esso possedeva molari e premolari dalla forma larga e piatta, ideale per triturare i vegetali.

L’Ursus spelaeus vagava per la maggior parte dell’anno alla ricerca di cibo, cercando di costruirsi una sufficiente riserva di grasso per superare il lungo e rigido inverno.

Per proteggersi dai geli della stagione invernale questi ursidi cercavano riparo nelle grotte, di norma nelle sale più interne. Gli esemplari maschi spesso occupavano le grotte più grandi, mentre quelle più piccole era popolate dalle femmine, forse perché ciò consentiva loro di proteggere meglio la prole. Terminato il letargo, i maschi se ne andavano per conto loro, le femmine si spostavano con i loro piccoli.

Ma chi non riusciva ad accumularsi una riserva di energia bastante per resistere al lungo periodo iemale, spesso periva in caverna: da qui i numerosi giacimenti fossiliferi che sono rinvenuti, in numerosi depositi calcarei di grotta.

I resti fossiliferi forniscono notizie anche riguardo all’età degli orsi: si tratta di esemplari molto giovani o molto vecchi e ciò perché, il difetto d’esperienza o l’eccessiva usura dei denti, creava una certa difficoltà nel costruirsi una riserva energetica adeguata per sopportare il digiuno invernale.

L’ estinzione dell’Ursus spelaeus risale a circa 10.000 anni fa, sul finire dell’ultima glaciazione Pleistocenica. Ma perché si estinse questa specie?

Su questo punto sono diverse le teorie che spesso bisticciano fra loro: quel che è certo è che una delle cause principali della sua scomparsa è attribuibile alla limitatezza della diffusione di questa specie, nonostante popolasse areali geografici molto ampi.

I reperti paleontologici rivelano tra le cause di decesso un ruolo importante attribuibile alle malattie, in particolare alle mascelle, per la loro dentatura imperfetta, ma anche carie, gotte, rachitismi per nutrizione insufficiente…ma non furono certo le patologie suddette a provocarne l’estinzione.

Poi c’erano le morti per incidenti che coincidevano essenzialmente con crolli di roccia dalle volte oppure con cadute accidentali in baratri o pozzi, da cui gli orsi non riuscivano più ad uscire, ma si tratta comunque di casi abbastanza rari. Altrettanto rari erano le morti causate da scontri con altri animali, infatti, grazie alla sua ingente robustezza, difficilmente cadeva preda degli altri carnivori di quell’epoca.

Più verosimilmente il drastico cambiamento del clima riscontrabile nella fase finale dell’ultima glaciazione, che provocò la trasformazione del paesaggio europeo da una tundra, steppa e taiga sub-artica a foresta di zona temperata, portò alla scomparsa dello speleo in molte regioni.

Anche l’ uomo (in maniera più limitata), contribuì alla sua estinzione. Il periodo di massima espansione dell’Ursus spelaeus coincise con la diffusione di un contemporaneo frequentatore di caverne: l’Homo sapiens neanderthalensis. Un competitore ostico per l’orso delle caverne. Spesso era l’uomo ad attaccare quest’urside perché rappresentava certamente una ragguardevole provvista di carne e grasso che forniva loro una calda pelliccia. Certo, risulta molto azzardato sostenere che l’uomo abbia sterminato questa specie: ma da pitture e graffiti molto precise e dettagliate create sulle pareti delle grotte e da lesioni (da frammenti litici) presenti su alcuni crani, fa pensare ad una forte competitività per il possesso di un rifugio naturale.

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