L’ipotesi più accreditata per la formazione del Sole e dei pianeti del nostro Sistema Solare, è quella di una nebulosa di gas interstellare in contrazione circa 4,6 miliardi di anni fa. L’ipotesi di un’origine comune trova conferma nell’analisi di alcune regolarità di comportamento dei pianeti, che ruotano attorno al Sole muovendosi tutti nello stesso verso e percorrendo orbite sostanzialmente complanari. Le ultime osservazioni di Mercurio, tuttavia, dimostrano che anche le parti più antiche della superficie planetaria mostrano 4-4,1 miliardi di anni, che dovrebbe rappresentare l’età del pianeta. Perchè questa incongruenza? “Se la superficie più antica di Mercurio mostra 4 miliardi di anni, vuol dire che i primi 500 milioni di anni sono stati cancellati“, ha detto Simone Marchi, scienziato planetario del Lunar Science Institute della NASA con sede presso il Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado, e autore dello studio. In effetti non vi è alcuna traccia della superficie più antica. La spiegazione più plausibile è che la diffusa attività vulcanica durante i suoi primi anni ha cancellato le aree più antiche, rimodellando la superficie. Le eruzioni a catena sarebbero state causate da impatti di asteroidi agli albori della formazione del sistema solare, anche se le prove concrete, in assenza di campioni, tardano ad arrivare.
Secondo l’autore dello studio, quindi, ciò che si può fare è osservare la topografia del pianeta e stabilire se ci sono antichi crateri da impatto. Osservando le aree più butterate, e quindi il numero di crateri in funzione dell’età dei terreni, Marchi e il suo team hanno confrontato le immagini con quelle della Luna, un oggetto celeste la cui età è ben documentata. Il modello ha mostrato che per ogni cratere formato su una data superficie sulla luna per anno, una superficie simile su Mercurio è punteggiata da tre nuovi crateri nella stessa quantità di tempo. Le analisi future aiuteranno quindi a comprendere meglio l’età del primo pianeta del Sistema Solare in ordine di distanza dal Sole. La ricerca dettagliata è stata pubblicata questa settimana sulla rivista Nature.