I sette sciami sismici attualmente presenti in Italia preoccupano gli abitanti delle zone interessate. Loro e, più in generale, l’opinione pubblica chiedono certezze a politici e tecnici in relazione al rischio sismico nel nostro paese. Quali sono le soluzioni possibili? Ce ne parla il geologo Giampiero Petrucci.
L’Italia intera, da Nord a Sud, continua a tremare. Dal Montefeltro alla Calabria, dalla Lunigiana al Pollino gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da diversi sciami sismici che, se da un lato non hanno fortunatamente causato vittime, dall’altro hanno costretto migliaia di persone a sfollare dalle proprie abitazioni ed interi paesi a vivere nell’angoscia e nell’incertezza. Ma proprio questo è il punto, come affermato oggi dai tecnici della protezione civile: i Sindaci chiedono certezze ma nessuno può fornire risposte sicure e definitive.
Non possiamo prevedere i terremoti, questo lo sanno tutti. E non possiamo neppure sapere come evolverà uno sciame sismico: una delle ultime riprove in tal senso, per molti aspetti inattesa, risale appena allo scorso anno quando in Emilia dopo la grande scossa del 20 maggio, di magnitudo 6.0, se ne sviluppò un’altra, di magnitudo 5.8, appena nove giorni dopo. Anche nel terremoto umbro-marchigiano del 1997 accadde qualcosa di simile: lo sciame iniziato alla fine di maggio ebbe il suo culmine il 26 settembre quando alle 2.33 di notte si sviluppò una scossa di magnitudo 5.8 che molti giudicarono, imprudentemente, il culmine della sequenza. Al contrario poche ore dopo, alle 11.42, si sviluppò un’altra scossa, di magnitudo 6.0, che tra l’altro provocò pure il crollo della volta della Basilica Superiore di Assisi, con le immagini che fecero il giro del mondo (Tutti i terremoti con magnitudo superiore a 5.5 nella storia d’Italia). Questo sta a significare che non esiste una regola precisa negli sciami sismici: è vero che generalmente ad una scossa di media-forte intensità seguono repliche di magnitudo inferiori ma non sempre è così e non si può generalizzare.
E’ altrettanto vero che gli sciami sismici attuali si stanno sviluppando in zone dalla sismicità ben nota ed accertata storicamente. Il primo terremoto importante di cui si ha notizia nel Pollino è datato 1693, di Garfagnana e Lunigiana abbiamo ripetutamente parlato. La Pianura Padana fu sconvolta da un forte terremoto già nel 1117, l’Appennino Tosco-Romagnolo (in particolare la valle del fiume Savio) è stato più volte oggetto di scosse intense, l’ultima nel 1918 (magnitudo 5.8 ed una ventina di vittime) quando si segnalano danni anche a Verghereto e Bagno di Romagna (in prossimità dei quali è stato localizzato l’epicentro dello sciame attuale) mentre a San Marino (ai confini settentrionali del Montefeltro) il primo terremoto accertato è datato addirittura 1472.
La piana di Gioia Tauro è stata interessata dalla grande “crisi calabrese” del 1783, ma più recentemente ha subìto danni anche nel 1928 quando la scossa più forte registrata ebbe magnitudo 5.8. Il Frusinate, la Valle del Liri in particolare, è tra le zone più sismiche del Lazio: si segnalano terremoti addirittura dal 1161 mentre nel 1654 un grande sisma, di magnitudo stimata intorno a 6.2, provocò tremila morti. L’ultimo sciame di una certa consistenza nella zona è datato 1927 quando un sisma di magnitudo 5.1, con epicentro nella Val Roveto, causò lesioni anche a Sora e Isola Liri.
Dunque in nessun caso si può parlare di sorpresa. Ma allora perché tanto allarmismo (per alcuni ingiustificato), tanta preoccupazione, tanta sofferenza e vulnerabilità per territori in cui la popolazione e gli edifici dovrebbero essere ben preparati a convivere col terremoto? Due sono le risposte principali a questa domanda. Innanzi tutto la mancanza di una vera e propria cultura sismica: per quanto l’Italia sia tra i paesi più vulnerabili d’Europa dal punto di vista del rischio sismico, poco o niente hanno fatto le istituzioni per preparare, anche dal punto di vista culturale e scientifico, le popolazioni a saper affrontare una scossa di terremoto. Non esiste divulgazione né prevenzione: questa non è un’accusa ma un dato di fatto, sotto gli occhi di tutti. Altrimenti oggi i Sindaci non chiederebbero risposte e la popolazione non sarebbe tanto allarmata.
La verità, amara, è che le autorità competenti sono ancora troppo distanti dal territorio e dalla popolazione. Vero è che certi scandali del recente passato, pensiamo ad esempio alla ricostruzione dell’Irpinia dopo il 1980, oppure anche a quanto sta accadendo a L’Aquila, il cui centro storico è ancora fermo al 7 aprile 2009, hanno allontanato ancora di più la politica dalla cittadinanza e la popolazione dalla percezione di un sufficiente grado di sicurezza. Ma è altrettanto vero che le autorità dovrebbero riguadagnare sul campo credibilità ed onorabilità: si stanno impegnando molto, questo bisogna dirlo, e per questo si deve essere fiduciosi. La nostra Protezione Civile è tra le più efficienti e preparate del mondo, lo abbiamo sempre detto, per soccorrere ed aiutare le popolazioni dopo la catastrofe. Ma ciò che manca in Italia è il prima.
D’altra parte questa situazione è figlia di politiche e scelte totalmente sbagliate, tardive ed ai limiti dell’assurdo (Perché l’Italia trema? Cause e rimedi dei terremoti che affliggono il nostro paese / Perchè l’Italia trema? Sismologia storica italiana, i terremoti nell’antichità, Verona 1117 e la cronologia dei terremoti con M>5.5). Ci sono voluti due terribili terremoti, Friuli 1976 ed Irpinia 1980, perché il nostro territorio venisse finalmente classificato, e neanche per intero, dal punto di vista del rischio sismico: avvenne nel 1984. Ciò significa, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, che in Italia esiste un forte deficit di protezione sismica: tutti gli edifici costruiti infatti prima di questa data non posseggono praticamente nessun accorgimento antisismico. Si può allora facilmente comprendere perché il territorio “soffre” ad ogni scossa, anche a quelle di magnitudo intorno a 4.5 che pure sono “scossette”, e la popolazione “trema”, in tutti i sensi. Perché manca la certezza di vivere in un territorio capace di sopportare un terremoto “normale”, che in Giappone nemmeno sentirebbero. Figuriamoci cosa succede, pensano tutti e non a torto, se arriva una scossa più forte.
La situazione è difficilmente rimediabile. Si sono compiuti troppi errori, e troppo gravi. Nel boom economico, negli anni ’60 ma anche nei ’70, abbiamo pensato solo a costruire ma abbiamo costruito male, senza criterio ed in molti casi anche senza ritegno, violentando più volte un territorio incontaminato, senza pensare a salvaguardare le generazioni seguenti. Oggi ci lamentiamo se le nostre case tremano ad ogni minima scossa o se gli scienziati non riescono a darci sicurezze né garanzie. Ma la colpa non è dei politici di oggi o, meglio, non è soltanto dei politici di oggi. La colpa è anche di chi ha autorizzato a costruire senza nessuna norma antisismica.
La soluzione è soltanto una. Cambiare le leggi in vigore, renderle più rigide, adottare criteri più severi di costruzione antisismica anche nelle cosiddette “classi 3” (cui appartiene ad esempio l’Emilia). Inoltre, ed anche questo non ci stancheremo di ripeterlo, perfino al Ministro Orlando, estendere l’utilizzo della microzonazione sismica, il rimedio migliore per la classificazione a livello comunale del territorio in funzione del rischio sismico, lo strumento fondamentale per qualsiasi corretta politica urbanistica, anche nelle zone considerate meno pericolose, come ad esempio il Salento dove nel 1743 un terremoto con epicentro nel Canale di Otranto (con annesso tsunami) provocò gravi danni causa particolari “effetti di sito”. Incentivare le ristrutturazioni degli edifici in chiave anti-sismica, almeno nei territori più a rischio, tramite appositi finanziamenti o sgravi fiscali, può essere un primo passo per sensibilizzare maggiormente i cittadini. Organizzare conferenze itineranti nelle zone colpite dagli sciami, ma anche laddove i rischi sono maggiori, può essere un altro aspetto capace di avvicinare maggiormente l’opinione pubblica alla conoscenza dei terremoti. Insomma, dobbiamo preparare meglio il territorio a sopportare le scosse, insegnando nel contempo ai cittadini a convivere con i sismi. Soprattutto dobbiamo rendere più sicure le nostre case. Perché non è il terremoto in sé ad uccidere le persone, ma bensì gli edifici costruiti male, senza nessun accorgimento anti-sismico. Questa è l’unica certezza che possiamo al momento avere.