La catastrofe naturale più misteriosa degli ultimi 500 anni in Europa è forse quella sviluppatasi nel Canale di Bristol, tra Inghilterra e Galles, nel 1607 quando un’ampia porzione di costa venne allagata dalle acque. Le cause di questa enorme inondazione sono tuttora oggetto di studio e discussioni tra gli scienziati. Ce ne parla il geologo Giampiero Petrucci.
I luoghi. Il Canale di Bristol (Bristol Channel in inglese) è una vasta insenatura della Gran Bretagna sull’Oceano Atlantico. Si tratta di un ampio braccio di mare, lungo oltre 130 km e largo fino a 70 km, che si estende grosso modo in direzione ovest-est, bagnando le coste di Galles ed Inghilterra, delimitato ad occidente dal Mare Celtico e ad oriente dal grande estuario del fiume Severn. Il Canale è caratterizzato da un fenomeno naturale molto particolare: in esso infatti si sviluppano grandi maree, tra le più ampie di tutto il pianeta. Questa zona è stata teatro del più grande disastro naturale degli ultimi 500 anni avvenuto nel Regno Unito.
I fatti. Il 30 gennaio 1607, intorno alle 9.00 di mattina (ora locale), improvvisamente le coste più orientali del Canale di Bristol vengono inondate dal mare. Il fenomeno, anomalo non solo per il suo sviluppo ma anche per la vastità dell’area interessata, sorprende totalmente la popolazione. Circa 500 kmq di territorio vengono inondati; interi villaggi, non solo quelli costieri, subiscono la furia delle acque; barche, persone, animali, edifici, ponti vengono trascinati via. L’evento colpisce in modo violento anche le coste del Galles mentre nella contea di Somerset l’ingressione delle acque, favorita da un litorale pianeggiante e costituito spesso da conche e depressioni talora paludose, supera addirittura i 15 km. In molti casi l’acqua non trova ostacoli, né naturali né artificiali, alla sua avanzata: vengono travolti non solo piccoli villaggi e cittadine (tra cui Burnham-on-Sea, Huntspill, dove si segnalano 28 morti, Brean e Kingston Seymour), ma rimangono alluvionate anche città già allora importanti come Bristol, Newport, Swansea e Cardiff. In alcune località, come accertato dalle targhe e dalle lapidi commemorative poi poste sui muri di chiese ed edifici, le acque si elevano fino a circa 7 metri sul normale livello medio marino, in particolare nella contea di Monmouthshire. Praticamente l’intero Canale, da Barnstaple (dove le acque sfondano le porte delle case ed abbattono muri) a Gloucester, è interessato dall’evento, con le onde che risalgono per una cinquantina di km anche l’estuario del Severn. I resoconti dell’epoca sono pochi e frammentari, lasciando adito a molte interpretazioni: non esistono giornali ed i manoscritti principali provengono dai diari dei parroci locali o da qualche raro pamphlet in cui comunque, più che indicazioni scientifiche, sono presenti informazioni generiche sulla potenza delle acque e sui danni conseguenti, con abbondanza di commenti filosofici e religiosi. Si parla però di “grandi onde improvvise e veloci” come di “bassa marea eccezionale”: parole, queste ultime, che fanno presumere un ritiro delle acque marine prima del loro violento ritorno sulla costa. Risulta difficile anche una stima delle vittime in quanto non esiste un resoconto ufficiale: certamente furono diverse centinaia, probabilmente intorno al migliaio. Si trattò dunque di un grande disastro, inatteso e raro al punto da non essersi più ripetuto negli ultimi 400 anni, almeno su questa grande scala.
Tsunami? Nella tradizione locale, fomentata dalle credenze religiose dell’epoca, l’evento fu interpretato come una sorta di “castigo divino” od un avvertimento di Dio agli inglesi. Nessuno, in quel periodo, pensò di indagare a fondo sulle cause scientifiche e naturali di un fenomeno così anomalo. Col passare del tempo, l’inondazione venne considerata come dovuta a particolari condizioni atmosferiche (piogge intense associate a grandi mareggiate) anche se i manoscritti coevi all’evento sono al riguardo alquanto contraddittori, parlando in alcuni casi di “grandi venti” ed in altri di “giornata soleggiata e senza vento”. Negli anni Duemila infine s’è andata affermando l’ipotesi che il fenomeno possa essere uno tsunami. Questa soluzione è stata prospettata, una decina di anni fa, dal professore gallese Simon Haslett e dal geologo australiano Ted Bryant i quali, dopo aver rivisitato in chiave più “moderna” e “scientifica” i manoscritti dell’epoca, sono andati alla ricerca di indizi sul terreno, trovando diversi riscontri importanti. Come in altri casi da noi già discussi, le prove dello sviluppo di uno tsunami si basano sul rinvenimento delle cosiddette tsunamiti ovvero di particolari livelli di sabbie, dallo spessore di circa 20 cm, intercalati a sedimenti più fini (silt ed argille) e contenenti all’interno fossili e resti di organismi di origine marina. Si tratta di livelli che indicano ambienti ad alta energia e deposizione rapida in una successione stratigrafica generalmente a bassa energia e dunque con sedimentazione lenta e costante. Un’altra prova fondamentale è rappresentata dai cosiddetti boulders ovvero blocchi rocciosi di grandi dimensioni (una specie di enormi scogli) presenti sul litorale in posizioni difficilmente spiegabili con il semplice trasporto dovuto ad una normale mareggiata. Quando questi blocchi sono embriciati, cioè appoggiati gli uni agli altri in un aspetto ben definito, è possibile anche individuare la direzione di provenienza delle onde che li hanno trasportati. Proprio i boulders sono tra l’altro alla base della ricostruzione dello tsunami che colpì le coste adriatiche pugliesi nel 1743.
Haslett&Bryant hanno individuato numerosi siti di boulders lungo il Canale di Bristol: gli appositi calcoli idrodinamici hanno stabilito che lo spostamento dei blocchi è legato ad un’onda alta almeno 6 metri nel Severn, difficilmente attribuibile ad una normale mareggiata, proveniente all’incirca da Ovest. Tra l’altro i calcoli dimostrano anche l’aumento progressivo delle altezze delle onde verso est, come se la forma “ad imbuto” del Canale avesse amplificato l’effetto delle onde provenienti da occidente. Inoltre secondo alcune valutazioni, l’energia necessaria ad una mareggiata per spostare i boulders nella loro posizione attuale, sarebbe di circa 7 volte maggiore dei marosi comunemente osservati nel Canale. Il rinvenimento di livelli sabbiosi intercalati ad argille e databili, tramite il metodo del radiocarbonio, con una certa approssimazione, a periodi compatibili al 1600 associato ad evidenze geomorfologiche di erosione violenta sul bedrock del litorale anche del Severn (spiegabili solo con ondate improvvise ad alta energia) rappresentano due ulteriori tasselli fondamentali di questa teoria cui manca, tuttavia, un fattore tutt’altro che trascurabile. L’origine dell’evento. Sappiamo che uno tsunami può essere provocato principalmente da un terremoto. Frane, eruzioni e, molto più raramente, meteoriti rappresentano altre cause scatenanti. Nel caso del 1607 certamente possiamo escludere vulcani e bolidi celesti come origini del fenomeno ma non si hanno evidenze scientifiche né di frane (subaeree o sottomarine) né di terremoti. I manoscritti dell’epoca non parlano, tranne un caso piuttosto ambiguo, di scosse precedenti l’inondazione né di crolli e danni legati ad eventi tellurici. D’altra parte la Gran Bretagna non è certamente tra le zone più sismiche d’Europa e, caso mai, è il Mare del Nord, dunque il suo lato orientale, ad essere stato teatro in passato, sia pure raramente, di terremoti con magnitudo superiori a 5.0 e pure di tsunami di una certa rilevanza (Storegga, lo “Tsunami Artico”: 8.000 anni fa un’immensa frana sottomarina causò un devastante maremoto nel Mare del Nord). Nella porzione occidentale dell’isola invece la sismicità è certamente poco elevata. Pur se esiste un sistema di faglie in mare aperto, tra l’Irlanda e la Cornovaglia, non si hanno notizie di forti terremoti associati a questa zona tettonica anche se potenzialmente, secondo alcuni scienziati, il sistema potrebbe generare sismi di una certa intensità. Difficile però pensare ad un terremoto di magnitudo 7.0 (capace dunque di provocare uno tsunami) in un’area che storicamente non ha manifestato eventi nemmeno di magnitudo prossime a 5.0. L’ipotesi dunque perde consistenza così come la possibilità che questo tsunami possa essere giunto da lontano, come quello di Lisbona del 1755 che pure arrivò, sia pure con run-up limitati, sulle coste della Cornovaglia. Rimane la frana sottomarina. Al momento non si hanno evidenze di un simile fenomeno che peraltro è più frequente di quanto comunemente creduto come origine di uno tsunami, soprattutto se associato ad un terremoto che ne provochi la messa in movimento: si pensi alla Papua Nuova Guinea nel 1998 od al Newfoundland canadese del 1929.
Difatti, lo stesso Prof. Haslett, appositamente intervistato al riguardo, ammette che l’ipotesi principale dell’origine dello tsunami del 1607 possa essere legata allo sviluppo contemporaneo di un terremoto e di una grande frana sottomarina: gli effetti combinati dei due eventi avrebbero generato le onde capaci di invadere le coste britanniche. Rimangono però da chiarire alcuni punti: la posizione esatta della frana (da individuare tramite le indagini batimetriche) ed il fatto che ad essere inondato sia stato esclusivamente il Bristol Channel, con lo tsunami che dunque avrebbe proceduto in una sola direzione e forse su una scala troppo “locale”, peraltro ammissibile in caso di frana sottomarina. Teoricamente, sostengono i detrattori di questa teoria, si sarebbero dovute registrare onde anomale di una certa altezza anche in Cornovaglia e nel sud dell’Irlanda. Dunque, mancando la certezza dell’origine, la tesi dello tsunami associato all’inondazione del 1607, per quanto affascinante e scientificamente plausibile, con evidenze riscontrate direttamente sul terreno, lascia ancora margini di discussione.
Mareggiate e marea? Dubbi e discussioni che proseguono tra gli scienziati, con tesi contrapposte. Ulteriori studi recenti sembrano infatti portare ad un’altra soluzione, anch’essa di non facile verifica, ma comunque verosimile anche se nuovamente legata ad un fenomeno più unico che raro. In sostanza si tratta di un’alta marea, con valori particolarmente elevati, cui sarebbe associata una mareggiata di grande violenza. Anche in questo caso le fonti coeve all’evento sono discordi: nessuno parla di grandi piogge (esclusa quindi un’alluvione “normale” e legata ad abbondanti precipitazioni) e grandi perturbazioni meteo, ma alcuni citano “forti venti occidentali”, provenienti da ovest/sud-ovest, che avrebbero soffiato per diverse ore il giorno precedente l’inondazione. Venti che ovviamente avrebbero potuto agitare il mare, anche in maniera consistente. Inoltre la periodicità delle forze astronomiche che regolano le maree, ha consentito agli scienziati di andare a ritroso nel tempo e ricostruire con buona approssimazione la situazione del 30 gennaio 1607. In quel periodo s’è verificato un fenomeno molto particolare, la cosiddetta “marea sigiziale” o “primaverile” (infatti in inglese si usa il termine “spring”): l’allineamento quasi perfetto di sole, luna e terra provoca il sommarsi delle forze di attrazione gravitazionale celesti (i ”motori” delle maree) nei confronti del nostro pianeta, con conseguenti alti valori delle maree nel Canale di Bristol, per quei giorni stimato attorno ai 7-8 metri, ulteriormente aumentati dalla posizione di perigeo della luna (massima vicinanza alla terra). Il verificarsi contemporaneamente dei due eventi, massimi valori di alta marea e forte mareggiata, avrebbe dunque portato all’unicità del fenomeno, estremamente violento come mai nella storia recente, ed all’inondazione per km e km all’interno del litorale. Oltre tutto, ciò potrebbe spiegare perfettamente anche la localizzazione del fenomeno esclusivamente nel Canale e la risalita delle onde nell’estuario del Severn. I fautori di questa teoria chiamano a conferma quanto accaduto il 13 dicembre 1981 quando proprio la somma degli effetti di una tempesta provocata da venti occidentali molto forti (con altezze delle onde superiori ai due metri) ed alta marea portò all’inondazione delle coste del Canale, con gravi danni, in particolare sul litorale della contea di Somerset. Oppure ricordano il grande disastro che colpì il Mare del Nord nel 1953: fortissimi venti ed alta marea provocarono l’innalzamento del mare di oltre 5 metri sul normale livello medio, con estese inondazioni ed oltre 2000 vittime, la maggior parte delle quali nei Paesi Bassi ed in East Anglia. Qualcosa di simile potrebbe dunque essere accaduto nel 1607. I detrattori di questa tesi, al contrario, sostengono che comunque mai le onde così originate avrebbero potuto spostare così lontano i boulders (oggi posizionati a diversi metri di distanza dalla linea raggiunta dalle maree più elevate) né provocare le violente erosioni del bedrock riscontrate fino nell’estuario del Severn e neppure sviluppare un’inondazione così vasta visto che quella del 1981 risulta inferiore a quella del 1607 dal punto di vista geografico: in sostanza, secondo loro, soltanto le onde di uno tsunami avrebbero potuto realizzare un simile disastro che fu comunque un evento veramente eccezionale (almeno su questo punto tutti concordano).
In entrambi i casi rimangono comunque dubbi ed incertezze, a conferma di come la scienza non sempre riesca a fornire risposte esaurienti e precise ai fenomeni naturali. Parafrasando Amleto, il dubbio più grande è uno soltanto: tsunami o non tsunami? Anche la risposta pare univoca: sono necessarie ulteriori indagini, prove e conferme per arrivare a dirimere la questione dell’inondazione nel Bristol Channel nel 1607. Questa, al momento, pare l’unica soluzione possibile ad uno dei misteri scientifici più affascinanti degli ultimi 500 anni.
Si ringrazia il Prof. Simon Haslett dell’Università del Galles per la collaborazione.
Thanks to Prof. Simon Haslett, University of Wales, for his collaboration.
BIBLIOGRAFIA
- Bryant E.A. & Haslett S.K., Was the AD 1607 Coastal Flooding Event in the Severn Estuary and Bristol Channel (UK) Due to a Tsunami?, Archaeology in the Severn Estuary, 13, pp. 163-167, 2002
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- Haslett S.K. & Bryant E.A., Reconnaissance of Historic (post-AD 1000) High-Energy Deposits along the Atlantic coasts of Southwest Britain, Ireland and Brittany, France, Marine Geology, 242, pp. 207-220, 2007
- Horsburgh K. & Horritt M., The Bristol Channel Floods of 1607 – Reconstruction and Analysis, Weather, Vol. 61, No. 10, 2006
- RMS, 1607 Bristol Channel Floods: 400-Year Retrospective, RMS, 2007
- www.wikipedia.org