I luoghi. Il Canale di Bristol (Bristol Channel in inglese) è una vasta insenatura della Gran Bretagna sull’Oceano Atlantico. Si tratta di un ampio braccio di mare, lungo oltre 130 km e largo fino a 70 km, che si estende grosso modo in direzione ovest-est, bagnando le coste di Galles ed Inghilterra, delimitato ad occidente dal Mare Celtico e ad oriente dal grande estuario del fiume Severn. Il Canale è caratterizzato da un fenomeno naturale molto particolare: in esso infatti si sviluppano grandi maree, tra le più ampie di tutto il pianeta. Questa zona è stata teatro del più grande disastro naturale degli ultimi 500 anni avvenuto nel Regno Unito.
I fatti. Il 30 gennaio 1607, intorno alle 9.00 di mattina (ora locale), improvvisamente le coste più orientali del Canale di Bristol vengono inondate dal mare. Il fenomeno, anomalo non solo per il suo sviluppo ma anche per la vastità dell’area interessata, sorprende totalmente la popolazione. Circa 500 kmq di territorio vengono inondati; interi villaggi, non solo quelli costieri, subiscono la furia delle acque; barche, persone, animali, edifici, ponti vengono trascinati via. L’evento colpisce in modo violento anche le coste del Galles mentre nella contea di Somerset l’ingressione delle acque, favorita da un litorale pianeggiante e costituito spesso da conche e depressioni talora paludose, supera addirittura i 15 km. In molti casi l’acqua non trova ostacoli, né naturali né artificiali, alla sua avanzata: vengono travolti non solo piccoli villaggi e cittadine (tra cui Burnham-on-Sea, Huntspill, dove si segnalano 28 morti, Brean e Kingston Seymour), ma rimangono alluvionate anche città già allora importanti come Bristol, Newport, Swansea e Cardiff. In alcune località, come accertato dalle targhe e dalle lapidi commemorative poi poste sui muri di chiese ed edifici, le acque si elevano fino a circa 7 metri sul normale livello medio marino, in particolare nella contea di Monmouthshire. Praticamente l’intero Canale, da Barnstaple (dove le acque sfondano le porte delle case ed abbattono muri) a Gloucester, è interessato dall’evento, con le onde che risalgono per una cinquantina di km anche l’estuario del Severn. I resoconti dell’epoca sono pochi e frammentari, lasciando adito a molte interpretazioni: non esistono giornali ed i manoscritti principali provengono dai diari dei parroci locali o da qualche raro pamphlet in cui comunque, più che indicazioni scientifiche, sono presenti informazioni generiche sulla potenza delle acque e sui danni conseguenti, con abbondanza di commenti filosofici e religiosi. Si parla però di “grandi onde improvvise e veloci” come di “bassa marea eccezionale”: parole, queste ultime, che fanno presumere un ritiro delle acque marine prima del loro violento ritorno sulla costa. Risulta difficile anche una stima delle vittime in quanto non esiste un resoconto ufficiale: certamente furono diverse centinaia, probabilmente intorno al migliaio. Si trattò dunque di un grande disastro, inatteso e raro al punto da non essersi più ripetuto negli ultimi 400 anni, almeno su questa grande scala.
Tsunami? Nella tradizione locale, fomentata dalle credenze religiose dell’epoca, l’evento fu interpretato come una sorta di “castigo divino” od un avvertimento di Dio agli inglesi. Nessuno, in quel periodo, pensò di indagare a fondo sulle cause scientifiche e naturali di un fenomeno così anomalo. Col passare del tempo, l’inondazione venne considerata come dovuta a particolari condizioni atmosferiche (piogge intense associate a grandi mareggiate) anche se i manoscritti coevi all’evento sono al riguardo alquanto contraddittori, parlando in alcuni casi di “grandi venti” ed in altri di “giornata soleggiata e senza vento”. Negli anni Duemila infine s’è andata affermando l’ipotesi che il fenomeno possa essere uno tsunami. Questa soluzione è stata prospettata, una decina di anni fa, dal professore gallese Simon Haslett e dal geologo australiano Ted Bryant i quali, dopo aver rivisitato in chiave più “moderna” e “scientifica” i manoscritti dell’epoca, sono andati alla ricerca di indizi sul terreno, trovando diversi riscontri importanti. Come in altri casi da noi già discussi, le prove dello sviluppo di uno tsunami si basano sul rinvenimento delle cosiddette tsunamiti ovvero di particolari livelli di sabbie, dallo spessore di circa 20 cm, intercalati a sedimenti più fini (silt ed argille) e contenenti all’interno fossili e resti di organismi di origine marina. Si tratta di livelli che indicano ambienti ad alta energia e deposizione rapida in una successione stratigrafica generalmente a bassa energia e dunque con sedimentazione lenta e costante. Un’altra prova fondamentale è rappresentata dai cosiddetti boulders ovvero blocchi rocciosi di grandi dimensioni (una specie di enormi scogli) presenti sul litorale in posizioni difficilmente spiegabili con il semplice trasporto dovuto ad una normale mareggiata. Quando questi blocchi sono embriciati, cioè appoggiati gli uni agli altri in un aspetto ben definito, è possibile anche individuare la direzione di provenienza delle onde che li hanno trasportati. Proprio i boulders sono tra l’altro alla base della ricostruzione dello tsunami che colpì le coste adriatiche pugliesi nel 1743.
Difatti, lo stesso Prof. Haslett, appositamente intervistato al riguardo, ammette che l’ipotesi principale dell’origine dello tsunami del 1607 possa essere legata allo sviluppo contemporaneo di un terremoto e di una grande frana sottomarina: gli effetti combinati dei due eventi avrebbero generato le onde capaci di invadere le coste britanniche. Rimangono però da chiarire alcuni punti: la posizione esatta della frana (da individuare tramite le indagini batimetriche) ed il fatto che ad essere inondato sia stato esclusivamente il Bristol Channel, con lo tsunami che dunque avrebbe proceduto in una sola direzione e forse su una scala troppo “locale”, peraltro ammissibile in caso di frana sottomarina. Teoricamente, sostengono i detrattori di questa teoria, si sarebbero dovute registrare onde anomale di una certa altezza anche in Cornovaglia e nel sud dell’Irlanda. Dunque, mancando la certezza dell’origine, la tesi dello tsunami associato all’inondazione del 1607, per quanto affascinante e scientificamente plausibile, con evidenze riscontrate direttamente sul terreno, lascia ancora margini di discussione.
In entrambi i casi rimangono comunque dubbi ed incertezze, a conferma di come la scienza non sempre riesca a fornire risposte esaurienti e precise ai fenomeni naturali. Parafrasando Amleto, il dubbio più grande è uno soltanto: tsunami o non tsunami? Anche la risposta pare univoca: sono necessarie ulteriori indagini, prove e conferme per arrivare a dirimere la questione dell’inondazione nel Bristol Channel nel 1607. Questa, al momento, pare l’unica soluzione possibile ad uno dei misteri scientifici più affascinanti degli ultimi 500 anni.
Si ringrazia il Prof. Simon Haslett dell’Università del Galles per la collaborazione.
Thanks to Prof. Simon Haslett, University of Wales, for his collaboration.
BIBLIOGRAFIA
- Bryant E.A. & Haslett S.K., Was the AD 1607 Coastal Flooding Event in the Severn Estuary and Bristol Channel (UK) Due to a Tsunami?, Archaeology in the Severn Estuary, 13, pp. 163-167, 2002
- Bryant E.A. & Haslett S.K., Catastrophic Wave Erosion, Bristol Channel, United Kingdom: Impact of Tsunami?, The Journal of Geology, 115, pp. 253-269, 2007
- Haslett S.K. & Bryant E.A., Reconnaissance of Historic (post-AD 1000) High-Energy Deposits along the Atlantic coasts of Southwest Britain, Ireland and Brittany, France, Marine Geology, 242, pp. 207-220, 2007
- Horsburgh K. & Horritt M., The Bristol Channel Floods of 1607 – Reconstruction and Analysis, Weather, Vol. 61, No. 10, 2006
- RMS, 1607 Bristol Channel Floods: 400-Year Retrospective, RMS, 2007
- www.wikipedia.org