Dal Rapporto dell’Osservatorio sull’impiego dei medicinali (OsMed) dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) emerge che sempre più antidepressivi riempiono l’armadietto dei medicinali degli italiani. L’uso di questi farmaci è infatti cresciuto costantemente nell’arco degli ultimi anni in Italia, facendo registrare un +4,5% rispetto al 2004. In generale, sono le donne a mostrare una prevalenza d’uso più alta per i farmaci del sistema nervoso centrale, che inizia ad aumentare in maniera costante a partire dalla fascia di età compresa tra i 35-44 anni. Anche la prevalenza della depressione è più alta nelle donne rispetto agli uomini ed aumenta in maniera rilevante all’aumentare dell’età. Le linee guida, rileva il rapporto, raccomandano un trattamento di almeno 6 mesi nei pazienti affetti da depressione, in virtù dell’alto rischio di recidiva, a cui si attribuisce gran parte dei costi economici e sociali della depressione. In realtà, studi hanno dimostrato che quasi il 50% dei pazienti sospende il trattamento con antidepressivi nei primi 3 mesi di terapia ed oltre il 70% nei primi 6 mesi. “Alcuni recenti studi internazionali – sottolinea il direttore Generale dell’Aifa, Luca Pani – indicano che nel 2020 la depressione, dopo le malattie cardiovascolari, sarà la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva e in buona salute. Ed inevitabilmente gli antidepressivi rappresentano ad oggi una delle principali componenti della spesa farmaceutica pubblica. Nell’ultimo decennio il consumo di antidepressivi è cresciuto in maniera drammatica: da una parte, per l’aumentata prevalenza di depressione ed altri disturbi psichiatrici nella popolazione generale; dall’altra, per la maggiore maneggevolezza di altri antidepressivi di recente commercializzazione”. La prevalenza di depressione, rileva inoltre Pani, ”è più alta nelle donne ed aumenta in maniera rilevante all’aumentare dell’età, con un picco vicino al 15% negli ultra 75enni, valore probabilmente sottostimato a causa dei casi di depressione frequentemente non diagnosticati in età avanzata”.