“Non è mai facile analizzare la successione dei fatti all’indomani delle tante catastrofi che hanno costellato la storia del nostro Paese – ha affermato Gian Vito Graziano, Presidente del CNG – troppe volte impudicamente definite “naturali”, quando invece erano da attribuire ad errori o ancor peggio ad omissioni ed a speculazioni. La difficoltà non risiede tanto nel ricostruire gli eventi e nel definire i profili di responsabilità, ma nel farlo con il dovuto distacco rispetto alla pressione morale esercitata da chi ha perso i propri cari o i propri beni e pretende di conoscere la verità e dalla ingerenza di chi questa verità vorrebbe piegarla al proprio interesse.
Ma sono passati 50 anni e non deve restare nascosto più nulla, neanche quelle zone grigie che non configurano più responsabilità giudiziarie, a tanti anni ormai dai processi e dalle sentenze che seguirono, ma entro le quali si individuano errori di valutazione e conseguenti decisioni sbagliate di funzionari dello Stato e di noti uomini di scienza. Il CNG solo ora e’ giunto in possesso di un dattiloscritto che riscrive la storia di questa immane tragedia e che verra’ pubblicato dalla Fondazione Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi”.
“9 OTTOBRE 1963 – Che Iddio ce la mandi buona – LA FRANA DEL VAJONT – Memoria storica di una catastrofe prevedibile” di Alvaro Valdinucci e Riccardo Massimiliano Menotti e’ il titolo del libro che verra’ illustrato in conferenza stampa Sabato 5 Ottobre , alle ore 14 e 30 , presso il Comune di Longarone .
“Un libro crudo nella sua esposizione, che senza troppe perifrasi e al di la della verità processuale esamina le responsabilità di quanti a vario titolo – ha dichiarato Vittorio d’Oriano , Presidente della Fondazione Centro Studi del CNG – ed in misura diversa si occuparono della progettazione e della costruzione della diga senza dimenticare tutto l’apparato degli organismi pubblici preposti al controllo ed al collaudo dell’opera.
Per onorare la memoria dei quasi duemila abitanti che persero la vita e di quanti ebbero, da quel momento, la vita stravolta, a cinquanta anni di distanza riteniamo si possa e si debba poter affermare che quella fu una tragedia figlia della troppa sicurezza di chi pensava di essere in grado di dominare gli eventi, della superficialità di coloro che magari intuirono lo sviluppo e la progressione della frana e fecero poco o nulla per arrestare i lavori, del fatalismo di coloro che pur avendo la consapevolezza della tragedia imminente poco o nulla fecero per allertare le popolazioni.
Ma fu anche figlia del contesto politico di quei mesi con la nazionalizzazione dell’energia elettrica che nel contesto specifico significava assumere la proprietà e la gestione degli impianti di produzione compresa la grande diga idroelettrica del Vajont. Bisognava far presto per arrivare, a tutti i costi, all’appuntamento con l’opera finita e collaudata.
Sappiamo bene che il libro solleverà polemiche. E’ la prima cosa a cui abbiamo pensato dopo la prima lettura del testo. Ma abbiamo pensato anche alle 2000 vite spezzate”.