Teofrasto da Efeso fu il primo botanico dell’antichità ad asserire che i funghi si riproducono per semi, ma si inizierà a parlare di micologia vera e propria solo secoli dopo, grazie al microscopio del botanico fiorentino Pier Antonio Micheli, anche se è improprio parlare di semi ed è preferibile parlare di spore. Fu il naturalista svedese Carl von Linnè, nel XVIII, a creare un sistema di nomenclatura binominale per le piante, poi esteso da Persoon e Fries anche ai funghi. La storia del fungo si perde nella notte dei tempi. Sono stati ritrovati esemplari fossili nelle colonizzazioni palafitticole risalenti all’età della pietra. Decantati come cibo degli dei, erano conosciuti da Egizi e Babilonesi e ciò lo apprendiamo da Teofrasto e più tardi da Discoride, che ci segnala le loro proprietà gastronomiche. I Greci e i Romani ne erano ghiotti e Plutarco segnala i funghi italici come delle vere e proprie delizie del palato, mentre il poeta latino Giovenale elogia l’usanza di cuocere insieme funghi e beccafichi per la gioia dei buongustai.
- principi tossici termolabili, cioè di veleni eliminabili col calore, quando la temperatura raggiunge i 70°C circa, per cui per scongiurare pericoli è sufficiente, in questo caso, cuocerli completamente per minimo un quarto d’ora,
- principi tossici termostabili , ossia ineliminabili, che sono di gran lunga più pericolosi, addirittura mortali, poichè nessun intervento sul fungo è in grado di modificare le sue caratteristiche tossiche, rilevandosi inutile la bollitura o l’essiccamento. Si parte da lievi dolori, fino a gravissimi avvelenamenti che in alcuni casi si rivelano fatali, in base alla gradazione della tossicità.
Vediamo i funghi velenosi mortali per eccellenza:
AMANITA PHALLOIDES, che è la capostipite dei funghi velenosi altamente mortali e se ingerita, provoca gravi sintomi da avvalenamento, che conducono alla morte nel 70-80% dei casi e il decesso avviene anche dopo la sola ingestione di metà cappello del fungo. Gergalmente conosciuta come “angelo della morte” o “ovolo bastardo”, il nome della specie è costituito dalle parole greche “phallos”(fallo) e “eidos” (forma), per via della forma fallica del gambo. I sintomi da avvelenamento insorgono dalle 8 alle 12 ore dopo l’ingestione, ma spesso ritardano fino alle 48 ore. Le prime avvisaglie interessano l’apparato gastro-intestinale, con vomito continuo, diarrea ininterrotta e sanguinolenta, disturbi psichici, vertigini , desiderio di bere molto e crampi muscolari violenti. Si ha poi un miglioramento illusorio, seguito da alterazioni epatiche, che si manifestano con l’ingiallimento della pelle e degli occhi (ittero) e con l’ingrossamento del fegato. Normalmente la morte sopraggiunge dai 20 ai 30 giorni dopo l’inizio dei sintomi, ma a volte avviene improvvisamente per collasso cardiaco. Il malato può salvarsi attraverso una diagnosi tempestiva, con lavanda gastrica, somministrazione di un purgante, ingestione continua di acqua e sale e cambiamento totale del sangue.
- AMANITA VIROSA: dal latino “virosus”, velenoso, fetido. E’ un fungo poco diffuso, che predilige i boschi di betulle e montani. E’ velenoso e mortale e può essere scambiato per i prataioli.
AMANITA VERNA: da “vernus”, primaverile, è saltuariamente presente anche in autunno. Si distingue dalla Amanita Phalloides per via del cappello emisferico e non campanulato.
- CORTINARIUS ORELLANUS: è un fungo mortale tardo autunnale che alcune decadi fa era considerato commestibile, ma in seguito ad un avvelenamento di massa in Polonia che ha causato numerosi decessi, si è scoperto che la tossina in esso contenuta, l’orellanina, ha effetti sui reni anche dopo 14 giorni di incubazione. Predilige i boschi di latifoglie, in particolare quelli di castagno e faggio, è abbastanza frequente nel cuneese ma molto raro in genere in Italia e non c’e’ nessun fungo commestibile assomigliante ad esso.