13 novembre 1985, 28 anni fa la disastrosa eruzione del Nevado del Ruiz: 23.000 vittime causate dai lahar

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Nevado_del_Ruiz_1985Sono passati 28 anni dall’eruzione del Nevado del Ruiz, in Colombia. Alle 21.08 del 13 novembre 1985, una violenta eruzione faceva sciogliere improvvisamente la coltre di ghiacci e neve che ricopriva la sommità dell’apparato vulcanico, la cui altezza massima è di 5.389 metri sul livello del mare. Nonostante solo una piccola parte dei ghiacci presenti in alta quota vennero fusi dall’eruzione, enormi quantità di acqua mista a fango e detriti si mossero verso valle, formando numerosi lahar. La città di Armero venne invasa da enormi colate di fango e detriti due ore dopo l’inizio dell’eruzione, così come il villaggio di Chinchina: 23 mila persone morirono. Si trattò della più disastrosa eruzione vulcanica del Novecento, dopo quella del 1902 nell’isola di Martinica, in termini di vite umane perdute.

Il disastro poteva essere evitato. Era da diversi mesi che il Nevado del Ruiz, uno dei vulcani più settentrionali della catena delle Ande e il più alto della Colombia, mostrava segni di riattivazione. Numerose scosse sismiche e alcune emissioni di vapore avevano reso evidente una ripresa dell’attività dopo decenni di dormienza. Inoltre già nel 1595 e nel 1845 si erano verificate eruzioni esplosive, con scioglimento improvviso dei ghiacci presenti in quota e formazione di lahar disastrosi che si erano incanalati verso valle distruggendo villaggi e paesi fra cui la stessa Armero, a quel tempo molto meno popolata.

Nel mese di ottobre, un rapporto frutto del lavoro di geologi mise in evidenza la fortissima vulnerabilità dei centri abitati a valle del vulcano. Nel rapporto si affermava che una eruzione anche debole avrebbe portato a un 100% di probabilità di colate di fango con forte pericolo per Armero, Ambalema e la parte bassa della valle del fiume Chinchina. Le autorità locali ritennerò però troppo allarmista la relazione scientifica, e si sforzarono di tranquillizzare la popolazione fino a pochi minuti prima del disastro. Dalle radio locali lo stesso sindaco invitò i cittadini di Armero a restare nelle case, ed anche un prete locale invitò fino all’ultimo alla calma. Poco dopo le 21, l’eruzione esplosiva sulla sommità del Nevado del Ruiz iniziava, con formazione di flussi piroclastici che scioglievano rapidamente i ghiacciai e i nevai presenti in quota. A valle tutto questo non venne visto, a causa di una tempesta che si stava abbattendo sulla regione e che coprì anche il rumore dell’eruzione.

Lo scioglimento delle nevi e dei ghiacciai in quota formò numerosi lahar, che presero diverse direzioni incanalandosi nelle valli. Una di queste colate si incanalò nella valle del fiume Cauca, sommergendo il villaggio di Chinchina dove uccise 1927 persone. Un’altra colata seguì la valle del fiume Lagunillas, e raggiunse Armero due ore dopo con una velocità di 50 km/h, cogliendo la popolazione del tutto di sorpresa. Secondo alcune testimonianze di sopravvissuti l’elettricità andò via poco prima dell’arrivo del lahar. Subito dopo si sentì il rombo fragoroso della enorme colata di detriti. Poi, nel giro di pochi minuti, la città venne devastata. Anche edifici di cemento armato vennero rasi al suolo, perché la colata di fango trascinava con se anche enormi blocchi, che come grosse ruspe demolivano qualasiasi costruzione o infrastruttura.

I morti furono oltre 23 mila, la maggior parte ad Armero. I soccorsi furono difficilissimi, perché il fango che aveva sepolto la città era molto molle rendendo difficilissimo il lavoro di recupero dei sopravvissuti, che nel frattempo morivano per le ferite e il freddo. Fra tutte rimase famosa la terribile testimonianza video di una giovane ragazza, di nome Omayra Sánchez, che per 60 ore rimase intrappolata nel fango prima di morire. Quella sua voglia di uscire dal luogo dove era rimasta intrappolata, piena di progetti per il futuro, il suo sguardo sempre più stanco, l’orrore della sua agonia vennero filmate e per sempre impresse in un video che fece il giro del mondo: quella immane sofferenza di una ragazza che avrebbe potuto continuare a vivere, così come i tanti altri scomparsi in quel giorno, diedero a tanti l’impulso per darsi da fare nel settore della prevenzione, del monitoraggio e dell’individuazione dei rischi geologici, affinchè un disastro del genere, ampiamente prevedibile, non si ripetesse. Fortissime furono le accuse al governo colombiano, per non aver evitato il disastro. Durante uno dei funerali di massa che seguirono l’eruzione uno striscione dava la colpa dei morti non al vulcano, ma al governo. Dal 1985 ad oggi non si sono ripetute eruzioni così forti, ma l’area continua ad essere ad alto rischio. Tuttavia sono stati approntati piani di evacuazione e il monitoraggio è maggiore di quanto non fosse 28 anni fa.

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