L’Italia si trova all’interno di quella che viene definita a grandi linee fascia climatica temperata, estendendosi per ben 10° di latitudine (più di 1000 km), dal limite meridionale della Sicilia (di poco inferiore ai 37° N), al limite settentrionale del Trentino (che sfiora i 47° N); da ciò ne risulta una ovvia e complessa variabilità climatica. E così come determinati fenomeni atmosferici risultano estremamente poco probabili sul nostro paese (meglio non parlare di eventi impossibili in meteorologia), come ad esempio gli uragani tipici della fascia intertropicale, allo stesso modo vi sono prodigi di Madre Natura che hanno deciso di deliziare soprattutto i paesi del “Grande Nord”.
Il primo di questi spettacoli che ci viene in mente è sicuramente l’aurora polare , e già qui converrebbe fare un po’ di chiarezza: questo affascinante “dono” del cielo non si verifica soltanto nell’estremo Nord (aurora boreale), ma anche nell’estremo Sud (aurora australe), dove però interessa essenzialmente l’Antartide e l’Oceano Meridionale; nell’emisfero settentrionale invece non di rado si osserva anche in paesi come la Scozia e in molte regioni della penisola scandinava. Come molti sapranno, questo fenomeno ha in realtà poco a che vedere con le temperature eccezionalmente basse delle zone polari. La sua causa va infatti ricercata nella geometria del campo magnetico terrestre, il quale costringe le particelle del vento solare a concentrarsi in due zone ad anello dette Fasce di Van Allen, una più interna, stabile e composta prevalentemente da protoni, l’altra più esterna, meno stabile e composta essenzialmente da elettroni; entrambe proteggono la Terra (ad eccezione proprio dei poli dove sono praticamente assenti) dalle radiazioni ionizzanti. Queste ultime penetrano nell’atmosfera durante le tempeste solari, in direzione dei poli, dove eccitano gli atomi dell’atmosfera che, diseccitandosi in seguito, emettono luce di varia lunghezza d’onda e…….il gioco è fatto (Fig.1)!
Un altro evento atmosferico estremo, questa volta sì legato al freddo, tanto che ad averne coniato il termine è stato il Nord America, è il “blizzard”, molto più di una comune tempesta di neve. Le definizioni, molto stringenti, cambiano a seconda dei vari paesi, ad esempio tra Canada, Regno Unito ed U.S.A: ad esempio, secondo lo statunitense National Weather Service, per essere classificata come blizzard, una tempesta di neve deve avere venti sostenuti o frequenti raffiche maggiori o uguali a 56 km/h, con visibilità ridotta a 400 m o ad un quarto di miglio o meno e deve durare almeno tre ore. Queste inusuali e violente tempeste di neve non di rado si abbattono anche sull’Europa centro-settentrionale(soprattutto nel Regno Unito, come nel 1946-47,1962-63 e nel 2009), nell’Asia centrale (Iran 1972, Cina 2008) e più raramente sulle Snowy Mountains, negli stati australiani del New South Wales e Victoria. Ma il primato spetta senza dubbio agli Stati Uniti d’America ed al Canada; lunghissima sarebbe infatti la lista degli eventi passati alla storia. A titolo di esempio ricordiamo il caso di Chicago che il 26 Gennaio 1967 sperimentò il peggior blizzard nella sua storia, quando in un solo giorno caddero circa 23 inches (58 cm) di neve, record tutt’ora imbattuto per la città (Fig.2)
Un’altra bizzarria di Madre Natura, questa volta piuttosto frequente anche nell’Italia settentrionale, è il gelicidio, detto volgarmente anche “pioggia che gela”: non è un delitto, non è neve né grandine, eppure si verifica con temperature al suolo negative, tanto che l’acqua è costretta a cambiare il proprio stato fisico per ben due volte. Immaginiamo di avere tre strati a partire dal suolo: un primo strato freddo con temperature sottozero, un secondo strato con temperature di poco positive ed infine uno strato di nubi da cui cade della neve; questa si troverà dapprima a trasformarsi in pioggia attraversando lo strato “caldo”, per poi gelare all’istante non appena le gocce vengono a contatto con una qualsiasi superficie a livello del suolo, formando uno strato di ghiaccio trasparente, omogeneo, liscio e molto scivoloso. Sovente in inverno questa patina ghiacciata intrappola nella propria morsa molti stati dell’Europa centro-settentrionale, ma anche la Pianura Padana e più raramente le zone dell’Appennino tosco-emiliano e le conche interne centrali. Spesso infatti dopo un periodo piuttosto freddo e particolarmente prolungato, il cambio di circolazione porta masse d’aria più miti ed umide a scorrere su di un sottostante cuscinetto freddo difficile da scalfire: queste sono le condizioni ideali per il verificarsi del gelicidio (Fig.3).
Attenti a non confondere con questo fenomeno la galaverna o “nebbia ghiacciata”, che si verifica ugualmente con temperature inferiori a 0 °C quando minuscole goccioline di acqua esistenti nell’aria si solidificano intorno al suolo o sulla vegetazione formando un rivestimento che è però opaco (per la presenza di aria), biancastro ed assai fragile; nel gelicidio invece l’involucro di ghiaccio cristallizzato è perfettamente trasparente, perché non contiene aria. Inutile citare i numerosi ed ovvi disservizi che ne derivano, ma gli scenari mozzafiato che la galaverna è in grado di offrirci (Fig.4), credo ripaghino qualsiasi inconveniente; e poi, ricordiamolo, Madre Natura ha sempre ragionato allo stesso modo, anche quando l’uomo era cacciatore e ancora non era in grado di guidare l’automobile.