L’autunno per l’Italia negli ultimi anni, se non decenni, ha segnato un tragico appuntamento con frane, alluvioni, fenomeni atmosferici violenti, ma soprattutto vittime, troppe vittime (le ultime in Sardegna), che di anno in anno si aggiungono ad una tragica lista, che continua ad aggiornarsi e che, inesorabilmente, continuerà probabilmente a farlo ancora per molto tempo. Una scellerata e sconsiderata pianificazione territoriale, unita ad una terra geologicamente attiva e morfologicamente complessa, insieme a cambiamenti climatici sempre più spinti e violenti, creano un mix letale, contro cui è difficile difendersi, se non con una radicata e attenta prevenzione su tutto il territorio nazionale.
Purtroppo oggi è ancora diffusa una logica perversa quanto pericolosa, quella del “speriamo che qui non accada”, una speranza che ha portato l’uomo a stabilire un rapporto impari e sbagliato con la Natura, una speranza che ha vita breve e che ben presto si trasforma in distruzione, morte, rabbia e tanto dolore.
Le bellezze paesaggistiche che hanno contribuito alla fama del Bel Paese nel mondo, sono allo stesso tempo frutto di una eterogeneità topografica tanto accentuata quanto potenzialmente pericolosa: appena il 21% del territorio italiano è costituito da pianure, il 40% da colline, il 39% da montagne: che l’Italia abbia il primato europeo della franosità (Fig.1) è dovuto soprattutto alla sua configurazione geomorfologica, frutto delle spinte geodinamiche della crosta terrestre. Tali forze endogene sono ancora attive e i terremoti e i fenomeni vulcanici che interessano ripetutamente l’Italia ne sono ulteriore dimostrazione: la penisola italiana nel suo complesso è uno dei territori geologicamente più giovani e dinamici d’Europa.
Secondo una recente ricerca condotta dal Servizio Geologico Nazionale (SGN), in un arco di tempo compreso tra la fine del secondo dopoguerra e il 1990, il costo in termini di vite umane a causa dei disastri idrogeologici (frane) ha raggiunto la drammatica cifra di 3.483 unità. I comuni italiani colpiti dal dissesto idrogeologico, sempre nel medesimo periodo, sono non meno di 4.568 (56,5% del totale nazionale), cui corrispondono circa 194.500 kmq (65% dell’intero territorio italiano).
Le conseguenze dei fenomeni franosi assumono una rilevanza tale da rappresentare un vero e proprio problema socio-economico:
- Con una media di 59 vittime all’anno per frana nell’ultimo secolo l’Italia risulta al 4° posto nel mondo tra i paesi più colpiti dopo i paesi andini, la Cina e il Giappone
- Relativamente ai danni subiti, con un ammontare di danni per frana stimato fra 1 e 2 mld. di € all’anno, l’Italia è al 2° posto assoluto, a pari merito con USA e India e dopo il Giappone
- In termini di rapporto danni/PIL l’Italia, con l’1,5‰, si colloca, fra i paesi tecnologicamente avanzati, al 2° posto subito dopo il Giappone
Nella Tab.1 vengono riportati soltanto alcuni tra i più tragici eventi di frana nella recente storia del nostro Paese, escludendo gli altrettanto terrificanti eventi del nuovo millennio.
Altra temibile conseguenza dell’ormai tristemente noto dissesto idrogeologico è rappresentata dalle alluvioni, che spesso si manifestano in concomitanza con gli eventi di frana, rappresentando una sorta di letale binomio inscindibile, come emerge chiaramente dalla Fig.2.
I principali fattori che provocano le alluvioni (Fig.3) sono il cambiamento del regime delle precipitazioni e dei parametri idrologici, tra cui:
- Diminuzione dei tempi di corrivazione (il tempo che le acque di afflusso meteorico impiegano per raggiungere una data sezione fluviale che sottende un bacino, partendo dai punti più lontani dello stesso.)
- Impermeabilizzazione del suolo
- Aumento della velocità delle acque, minori capacità di ricezione e di contenimento delle acque per la riduzione degli spazi d’alveo
- Diminuzione delle aree golenali, sede naturale di espansione delle piene
Il cambiamento nel regime delle precipitazioni è da collegarsi a sua volta ai cambiamenti climatici, che determinano sempre più spesso un aumento della ricorrenza delle piogge “a carattere alluvionale”, quindi delle piogge che tendono ad avere un’intensità maggiore ed una durata minore. A ciò va aggiunto l’ enorme sviluppo dell’urbanizzazione, delle infrastrutture e delle attività economiche, che ha determinato un’estesa impermeabilizzazione del territorio, da cui ha avuto origine un ruscellamento superficiale incontrollato di grandi proporzioni. Infine una drastica riduzione delle aree golenali (porzioni di territorio disposte nelle immediate circostanze degli alvei fluviali, in grado di accogliere le masse d’acqua in eccesso in seguito a una piena) è stata determinata dalla realizzazione di vasti insediamenti produttivi e abitativi a ridosso degli stessi alvei fluviali.
Un comportamento umano così irrazionale, unitamente ad una Natura superiore sempre più ribelle, crea una sorta di retroazione (feedback) positiva: il verificarsi di un fenomeno produce un risultato che di per sé rinforza ulteriormente il risultato del fenomeno stesso.
Nel caso di tragedie così immani ma soprattutto così sempre più frequenti, solo i numeri possono testimoniare l’entità di simili sciagure, e i dati raccolti (Tab.2-3) a riguardo dall’IRPI (Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica, CNR) lasciano poco spazio ad ogni tipo di commento.
L’uomo non può che imparare da queste cifre impressionanti, ma cambiare una logica, una cultura di vita così radicata non è affatto facile e ahinoi ancora molto dovrà essere fatto.