Dal 1990 ad oggi molte aree del nostro paese sono state devastate da circa un’ottantina di “Flash Flood”, ossia alluvioni lampo dagli esiti a dir poco devastanti. L’elenco è lunghissimo, è quello che nel pomeriggio di ieri ha devastato i territori della Sardegna nord-orientale, fra Olbia e i comuni più interni del nuorese, è solo l’ultima. Questo elenco dimostra che nessuna regione può restare esente dal rischio idrogeologico. Sia al sud, come al nord (dagli Iblei alle Alpi la storia è sempre la stessa anche se sono in pochi ad ammetterlo), gli eventi alluvionali che sempre più spesso devastano il nostro bellissimo territorio vengono, a loro volta, accresciuti dall’abusivismo edilizio e dalla cementificazione selvaggia di impluvi e zone limitrofe agli scorrimenti fluviali (letti e foci di bacini idrografici). Ma la vera causa di questi eventi cosi estremi è da ricercare proprio nell’eccezionalità dei carichi precipitativi che sempre più spesso si abbattono sulle nostre regioni, con indici di rain/rate quasi a fondoscala. Anche uno studio del professor, Giampiero Maracchi, direttore dell’Istituto di Biometeorologia (IBIMET) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, mette in evidenza l’esponenziale crescita del numero e della frequenza di questi eventi alluvionali negli ultimi 10-15 anni.
Se pensiamo che con la recentissima alluvione che ha flagellato Olbia e buona parte della Sardegna nord-orientale si contano quasi un’ottantina di alluvioni lampo, nel periodo compreso fra 1990 e il 2011, c’è poco da stare allegri. I dati sono eloquenti e dimostrano come l’Italia, ma più in generale questo discorso lo possiamo estendere al resto del Mediterraneo (da Gibilterra alla Turchia e alle coste di Israele), diventa molto spesso sede di questi fenomeni calamitosi che nel giro di poche ti scaricano botte di 300-400 mm di pioggia in appena 4-5 ore di precipitazioni temporalesche scroscianti. L’abbiamo visto con la tragica alluvione di Giampilieri e Scaletta Zanclea (nel messinese) del 1 Ottobre 2009, i “Flash Floods” che hanno sconvolto la Liguria e la città di Genova nel Novembre 2011, e con le dimenticate inondazioni che negli anni passati hanno più volte sconvolto l’Ogliastra e il cagliaritano, lasciando dietro di se una gigantesca scia di morti e distruzioni, con paesi interi letteralmente cancellati e resi inagibili per sempre. Ma storie simili si sono viste pure in Calabria, in Campania, nelle Marche, in Toscana e nelle fasce pedemontane alpine e prealpine. Quasi sempre i “Flash Flood” made in Italy vengono prodotti dalla formazione dei temibili sistemi temporaleschi a mesoscala che assumono caratteristiche autorigeneranti, con la classica forma a “V” (indice di linee di convergenza al suolo in area pre-frontale e forte “Wind Shear” nella media e alta troposfera) divenendo stazionari su una medesima area per diverse ore fino a quando non si rompe l’equilibrio “termico-dinamico” che lo tiene in vita.
Liguria e Sardegna rimangono le regioni più vulnerate dai “Flash Floods”
Tra le regioni più avvezze alle alluvioni lampo troviamo la Liguria, la Toscana, la Calabria, le coste orientali della Sicilia e ampie aree di Campania, Lazio, Basilicata e Puglia. Tra queste elencate la Liguria è senza ombra di dubbio una delle più direttamente esposte alle alluvioni lampo, visto la particolare orografia che degrada rapidamente a mare e la diretta esposizione ai flussi caldi e molto umidi, quindi ricchi di vapore acqueo, di provenienza sciroccale o libecciale. La Liguria, in questo caso, è fortemente penalizzata dalla notevole forzatura orografica dell’Appennino ligure, che rappresenta una barriera che produce un sollevamento forzato dell’aria umida accatastata nei bassi strati dalle umidissime correnti di scirocco e ostro che dal Tirreno risalgono fino alla Versilia e alle coste della Riviera di Levante e del genovesato. Questa azione, già di per se, attiva forti moti ascensionali che portano le masse d’aria umida, di genere marittima, a sollevarsi di quota e raffreddarsi, favorendo la condensazione del vapore acqueo e la successiva formazione di grosse nubi e “cumulogenesi” che dal mare vanno ad impattare contro i primi rilievi del retroterra ligure, venendo poi frenati dalla roccaforte appenninica presente alle spalle della costa.
Ciò consente il continuo sviluppo di nuvole a sviluppo verticale che rimangono semi/stazionarie in loco, crescendo ulteriormente in altezza e dimensione, grazie al calore latente fornito dal mar Ligure, fino a raggiungere lo status di “cellula temporalesca marittima” o “sistema temporalesco organizzato a multicella”, con la classica forma a “V” dell’autorigenerante “V-Shaped”, spesso all’origine di questi immani disastri. Se poi aggiungiamo la presenza o l’attivazione di particolari “linee di convergenza” di vento nei bassi strati o in quota, con lo scontro fra gli umidi venti di Scirocco e Ostro, che risalgono da S-SE verso il levante ligure, contro quelli più freddi di Tramontana, che dalla pianura Padana traboccano da N-NE sulle coste liguri attraverso le valli interne del genovese e savonese (cosa che capita spesso in Liguria con i fronti atlantici), il rischio di grandi eventi precipitativi è a portata di mano. Diventa però più difficile individuare, per tempo, i luoghi pronti ad essere funestati dai temporali autorigeneranti killer e soprattutto prevedere fino a quanto tempo potrà durare l’equilibrio dinamico che mantiene l’area di convergenza, li dove i cumulonembi temporaleschi trovano il loro ambiente ideale per nutrirsi e rinforzarsi, fino ad invecchiare con il successivo passaggio sui rilievi del vicino retroterra. Dopo la Liguria la Sardegna, in determinate condizioni sinottiche (quando sul mar di Sardegna o davanti la costa algerina stagnano delle depressioni che entrano in fase “barotropica” e richiamano masse d’aria cariche di umidità dal basso Tirreno) rimane la regione maggiormente esposta al fenomeno delle alluvioni lampo, per merito della particolare conformazione orografica del territorio sardo e dell’intenso “stau” che essa genera in situazioni sciroccali, con flussi caldo e umidi da SE e E-SE che impattano tutto il loro carico di umidità sui rilievi del vicino retroterra costiero.
L’isola vanta diversi eventi di portata storica, alcuni anche catastrofici. Su tutti spicca l’epocale alluvione dell’Ottobre 1951 che inondo gran parte del territorio isolano. In quei giorni, fra il 14 e il 19 di Ottobre, una latente depressione, evoluta in “CUT-OFF” ed entrata in fase “barotropica” nel tratto di mare antistante la costa algerina, spinse verso l’isola una serie di ammassi nuvolosi, alimentati da un flusso di aria calda e umida sciroccale in risalita dal Tirreno centro-meridionale, che scaricarono piogge di portata torrenziale, nel giro di 3-4 giorni. In molte località dell’isola si registrarono accumuli superiori ai 400-500 mm in poco più di 2-3 giorni. Ma il dato più significativo fu quello di Sicca d’Erba, dove in appena 2 giorni caddero ben 1014 mm di pioggia. Un valore da far invidia persino alle località esposte al flusso dell’umido “Monsone di SO”. A seguito dei grandi movimenti franosi, avvenuti sulle aree montuose dell’entroterra, e delle conseguenti ondate di piena dei vari torrenti e corsi d’acqua, il territorio sardo subì persino delle piccole modifiche morfologiche. In quei giorni, a causa delle piogge torrenziali, i paesi di Gairo e Osini vennero interessati da imponenti movimenti franosi e colossali colate di fango detritiche che costrinsero le autorità all’immediata evacuazione.