L’alluvione in Sardegna è solo l’ultima di una lunga serie di catastrofi. L’Italia è regolarmente sconvolta da calamità legate ad un dissesto idrogeologico sempre più preoccupante. E fa riflettere che una devastante serie di 80 furiosi tornado abbia ucciso “appena” 8 persone nei giorni scorsi nel Midwest, cuore degli Stati Uniti d’America, mentre in Italia siano morte 18 persone per fenomeni meteorologici sicuramente estremi ma comunque meno violenti rispetto a quelli che hanno colpito l’Illinois.
Il geologo Giampiero Petrucci analizza il problema per MeteoWeb.
Genova, Cinque Terre, Valle del Vara, Albinia, Marche, Umbria, Tevere, Sardegna: la lista si allunga, diventa infinita come il numero dei morti ed i milioni di euro di danni. Flash flood, cicloni, depressioni isobariche, perturbazioni, nubifragi, chiamateli come vi pare.
Invocate l’eccezionalità, le proporzioni incredibili, le sfortunate casualità, il particolare scatenarsi della natura, il global warming, l’impreparazione dei cittadini. Potete dire tutto quello che vi pare, alla tv come sui giornali, ripetere sempre le stesse tiritere come imbonitori da strapazzo. Ma la realtà è soltanto una: la colpa delle continue alluvioni che sempre più frequentemente colpiscono il nostro paese è ben individuabile. La ragione di tutto questo si chiama incuria del territorio.
Quello che un tempo veniva indicato come il bel paese o il giardino d’Europa è ormai diventato una landa distrutta, deturpata e violentata dove rifiuti tossici ardono sotto terra ed avvelenano le colture, fabbriche che non rispettano le leggi anti-inquinamento uccidono coi loro fumi veleniferi migliaia di inermi cittadini, fiumi impazziti escono dagli argini e travolgono interi paesi. Perché? Le risposte sono lunghe e molteplici, come la scia di morte lasciata dalle catastrofi annunciate.
Perché il territorio non è tutelato, perché le lobbies affaristiche costruiscono interi villaggi sugli argini dei fiumi, nelle zone golenali, nelle aree di pertinenza fluviale. Perché negli ultimi 40 anni l’abusivismo edilizio è stato il must di imprenditori senza scrupoli, sicuri dell’immunità grazie ad una politica connivente. Perché, in Sardegna ma non solo, intere colline incontaminate sono state abbattute per lasciare spazio ad assurdi villaggi-vacanze, abitati tre mesi all’anno, senza tenere conto dei deflussi idrici, tombando canali di scolo e torrenti, riducendo lo spazio vitale non solo dei cittadini ma dell’intera natura: e questo grazie a leggi troppo permissive in cui il benessere della collettività è stato sacrificato sull’altare del turismo e della tangente. Perché l’eccezionalità, intesa come precipitazioni rapide ed improvvise al di fuori della norma, sta diventando consuetudine, avviandosi al costante innalzamento dei valori medi di temperatura e mm di pioggia, prodotto da un cambiamento climatico sempre più evidente nel Mediterraneo e di cui ormai le istituzioni, non solo quelle scientifiche, devono prendere atto e reagire con opportune contromisure.
Perché, ecco il punto focale, le istituzioni, sia locali che centrali, non riescono più a fronteggiare la nuova situazione, figlia probabilmente di eventi eccezionali ma anche e soprattutto di un’evidente incapacità gestionale del territorio, soprattutto dal punto di vista ambientale, geomorfologico ed idraulico. Negli amministratori, locali e centrali, manca la cultura della prevenzione e l’impreparazione è spesso evidente. Da oltre 60 anni, dall’alluvione del Polesine in poi, ogni regione d’Italia ha avuto la sua alluvione e le sue vittime, spesso in più di un’occasione: eppure ad ogni perturbazione, trasformata dai media in ciclone come se fossimo ai Tropici, accade il patatrac e tutti lì a dire le stesse cose. Ma stavolta è diverso, deve essere diverso. Invochiamo ed esigiamo, da cittadini prima che da uomini di scienza, una svolta, un cambiamento. Chiediamo rispettosamente al Ministro dell’Ambiente, on. Andrea Orlando, di attivarsi, di non rimanere inerme e magari stavolta di rispondere al nostro appello, se non direttamente almeno con fatti concreti.
Non a caso, una stima del CNR attesta che l’82% dei Comuni italiani è affetto da dissesto idrogeologico. Dunque non ci si può sorprendere se ad ogni precipitazione, legata o no a cicloni e flash floods, il territorio viene devastato: il nostro paese cade a pezzi, e non siamo noi a dirlo ma personaggi ben più autorevoli e preparati. Allora, cosa hanno intenzione di fare i nostri politici, i nostri amministratori, i nostri Sindaci? Attendere la prossima perturbazione, il prossimo ciclone, piangere le vittime, invocare le calamità naturali? Oppure, come nel Medioevo, nascondersi dietro la volontà di Dio? Il danno ormai è fatto ed è costantemente sotto gli occhi di tutti. Inutile piangere sul latte versato, bisogna andare avanti e tentare di prendere seri provvedimenti atti alla salvaguardia del territorio. Gli strumenti esistono. La tecnologia moderna viene in soccorso, la scienza è pronta ma spesso non viene ascoltata, molte volte è trascurata e lasciata in un angolo se non addirittura accusata e processata come al tempo di Galileo Galilei (i fatti di L’Aquila). Siamo stanchi delle parole. Siamo stanchi di criticare. Siamo stanchi di dover lottare contro il muro di gomma. L’Italia frana, si allaga, trema, è avvelenata. Quale futuro lasciamo alle prossime generazioni?
Le soluzioni non sono lontane, la professionalità e le conoscenze non mancano. Basta creare le condizioni ottimali per il loro impiego e sviluppo. Si deve avere il coraggio di cambiare le carte in tavola, non solo in senso metaforico. Molti Comuni posseggono una cartografia geoambientale vetusta e non aggiornata, spesso per mancanza di fondi. Il monitoraggio è assente oppure realizzato solo parzialmente e sempre al seguito di catastrofi (vedrete, anche in Sardegna sarà così). Il territorio non è controllato, mancano le verifiche. La prima cosa da fare è indubbiamente aggiornare l’intera cartografia nazionale, regionale e comunale tramite metodologie moderne ed immediate come il GIS, il SIT e le foto satellitari utilissime per la verifica dei cambiamenti in atto sul territorio, anche a distanza di pochi mesi, ad esempio per l’individuazione delle aree alluvionate o interessate da incendi.
In sostanza si deve mappare in maniera digitale il territorio, aggiornando non solo l’urbanistica ma anche e soprattutto gli spot ambientali, le frane, i dissesti, il rischio idrogeologico. Trasformare in maniera moderna la cartografia di base, in modo da avere una specie di “fotografia” del territorio di ogni Comune. Ampliare le reti di monitoraggio dei parametri ambientali, non solo del rischio idrogeologico: nuove mappe della franosità dei versanti, del rischio idraulico, dell’uso del suolo, delle risorse idriche, del rischio sismico, del sottosuolo. Rimodulare dunque i parametri urbanistici in funzione dei nuovi dati ed applicare severamente le leggi oppure promulgarne di nuove: regimare il corso dei fiumi, verificando le nuove aree di loro pertinenza in caso di fenomeni eccezionali (la cui frequenza sta aumentando costantemente); allargare la luce delle arcate dei ponti o costruirne di nuovi; pulire gli alvei ed i fossi; fermare la cementificazione e l’impermeabilizzazione degli argini; favorire il deflusso delle acque ed il loro ruscellamento sul terreno. Già nell’antica Roma, l’Imperatore Augusto, al fine di evitare le continue alluvioni del Tevere, creò apposite squadre di “curatori” con il compito di ripulire costantemente l’alveo del fiume biondo: la storia, evidentemente, non ha insegnato niente se dopo 2000 anni siamo ancora qui a parlare di esondazioni ed alluvioni.
Si deve restituire ai cittadini la sicurezza di vivere in un territorio finalmente salvaguardato e protetto. Parlando per esperienza diretta, quando andiamo a proporre ad un Sindaco i piani di monitoraggio sopra descritti, generalmente la risposta è “bravi, ma non ci sono i soldi”. Però per le auto blu dei politici, per i privilegi della casta o per le pensioni d’oro i soldi alla fine si trovano sempre. Il problema non sta nell’istituzione in sé, ma in chi la governa e la gestisce. Nessuno è immune da colpe, nemmeno l’Ordine Nazionale dei Geologi che non è mai riuscito a far comprendere pienamente quanto sia fondamentale la figura professionale del geologo nella stesura dei piani regolatori e nella salvaguardia del territorio. La politica prevale sempre sulla scienza: lo abbiamo visto nel Belice, in Irpinia, perfino recentemente a L’Aquila (con il centro storico ancora inagibile). Noi geologi siamo chiamati in causa spesso dopo la catastrofe, quando rimediare è troppo difficile, non essendo tra l’altro dotati di bacchetta magica. Ciò che nessuno capisce, o fa finta di non capire, è l’importanza del prima, della prevenzione. In Emilia non è stata realizzata la “microzonazione sismica” ed abbiamo visto tutti cosa è successo. A Genova ed alle Cinque Terre sono state tombate (ovvero ricoperte dal cemento) centinaia di metri di alveo e la catastrofe è prontamente avvenuta.
Ciò, e quanto accaduto in Sardegna, dimostra come la tutela del territorio sotto il punto di vista ambientale sia totalmente inefficace. Un celebre detto inglese, mutuato nel gergo calcistico, recita safety first, ovvero “primo non prenderle” ed è stato alla base di tanti successi della nostra Nazionale. Ebbene, dovremmo applicarlo anche sul nostro territorio: prepararsi, fare attenzione, difendere e tutelare l’ambiente in tutte le sue forme, utilizzare scienza e tecnologia per la salvaguardia dei cittadini e non solo per navigare su internet o vedere la tv in HD. Forse è un sogno perché, purtroppo, la verità è sotto gli occhi di tutti: il territorio non è pronto né preparato ad affrontare la prossima perturbazione o il prossimo ciclone, causa l’incremento del valore esposto e della vulnerabilità. Serve l’impegno di tutti, anche dei cittadini, ma soprattutto delle istituzioni cui chiediamo, una volta di più, una risposta chiara, energica, esauriente. Se, come molto probabile, non l’avremo, la prossima volta saremo ancora qui a parlare di un’altra catastrofe e di altre vittime innocenti: non è questa l’Italia che meritano gli Italiani.