Rischio idrogeologico: il geologo di zona non basta, urgono piani di monitoraggio

MeteoWeb

L’alluvione in Sardegna ha scatenato il dibattito sulla gravissima condizione in cui versa l’intero territorio italiano dal punto di vista del rischio idrogeologico. Tra le proposte più interessanti di questi ultimi giorni figura l’istituzione del cosiddetto Ufficio Geologico Territoriale, presentata ieri in conferenza stampa alla Camera. Il geologo Giampiero Petrucci la analizza per MeteoWeb.

In Italia è prassi comune, in particolar modo della politica, accorgersi dei problemi soltanto nelle situazioni di emergenza e chiudere la stalla quando ormai i buoi sono scappati. Da almeno sessant’anni è così, dai tempi dell’alluvione del Polesine: allarmi ritardati, costruzioni in zone vulnerabili, edificato incapace di resistere alle calamità naturali, leggi inadeguate ed applicate male, politica connivente con lo sfrenato consumo del territorio, prevenzione scarsa o inesistente.
I risultati ed i numeri sono da incubo: negli ultimi 50 anni il nostro paese ha subìto oltre 500 eventi alluvionali gravi, con circa 1700 vittime, accompagnati da un migliaio di frane importanti, con oltre 5000 morti. Le persone che vivono in territori a rischio sismico elevato sono circa 22 milioni (un terzo dell’intera popolazione); l’82% dei Comuni italiani è sottoposto a rischio idrogeologico; negli ultimi 30 anni l’urbanizzazione selvaggia (favorita dalla politica permissiva e dai vari condoni edilizi) ha divorato 160 km di litorale. Senza considerare poi il pericolo potenziale derivante da vulcani e tsunami, quest’ultimo molto sottovalutato nonostante la storia insegni il contrario. Abbiamo già analizzato le problematiche connesse al rischio idrogeologico e le sue cause; inoltre abbiamo già visto come la figura professionale del geologo sia oggi in Italia considerata “di serie B”, sottoimpiegata e sottosviluppata. Adesso giunge una notizia che sembra lanciare un barlume di speranza, peraltro probabilmente insufficiente.

Gian Vito Graziano
Gian Vito Graziano

E’ di ieri infatti la presentazione di una nuova proposta di legge riguardante “monitoraggio e salvaguardia del territorio per la mitigazione dei dissesto idrogeologico e la prevenzione delle catastrofi naturali”. La proposta, portata avanti dall’on. Antonino Moscatt, ben coadiuvato da Gian Vito Graziano, Presidente dell’Ordine Nazionale dei Geologi, tende ad aumentare in maniera sensibile la presenza dei geologi all’interno della Pubblica Amministrazione. In particolare il progetto, sviluppato grazie al fattivo operato dei geologi siciliani (guidati da Fabio Tortorici), intende istituire la figura del cosiddetto “geologo di zona” in ogni Comune d’Italia. L’idea, in realtà, non è nuova: già nel lontano 1969, a seguito dei gravi disastri naturali verificatisi nel lustro precedente (dal Vajont alle alluvioni di Firenze e Biellese), un gruppo di parlamentari, guidati dall’on. Sangalli, tentò di promulgare una legge similare. Evidentemente, ci sono voluti 45 lunghi anni di molte altre calamità e vittime perché qualcuno si prendesse la briga di trovare una soluzione, peraltro non facile. Stavolta però il momentum pare diverso, anche sull’onda emotiva di quanto accaduto in Sardegna, e la comunità d’intenti notevole.

In sostanza, si richiede di sviluppare un apposito regolamento attuativo che porti all’istituzione di un Ufficio Geologico Territoriale in ogni Comune, rappresentato da un geologo di zona i cui compiti però non risultano ancora ben chiari e definiti così come la sua area di appartenenza (Comune, libera professione, Protezione Civile, ISPRA?). Certamente però questi “Uffici” dovrebbero essere di supporto agli enti locali, con particolare riferimento ai tecnici comunali ed ai Sindaci, non solo nella gestione delle emergenze ma anche e soprattutto nello sviluppo della prevenzione, individuando le aree a rischio idrogeologico ed indicando gli interventi atti a salvaguardare il territorio. In particolare dovrebbero sviluppare il cosiddetto presidio territoriale idrogeologico, già indicato da un’apposita direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri (27 febbraio 2004), valutando la pericolosità potenziale dei movimenti franosi e delle piene previste. Questi interventi, secondo quanto dichiarato anche dal Presidente Graziano, porterebbero ad una migliore pianificazione territoriale, con la sicura diminuzione degli eventi catastrofici cui è sottoposta l’Italia intera. Un progetto indubbiamente interessante e da sostenere in toto, anche se non mancano dubbi e perplessità, soprattutto per la poca chiarezza sugli effettivi compiti e competenze del geologo.

Non vorremmo infatti che, come già accaduto in passato, questa figura di geologo diventasse una specie di passacarte o mero vidimatore, intento più alla verifica burocratica delle pratiche urbanistiche (come ad esempio oggi accade spesso nelle commissioni edilizie) che al concreto controllo del territorio sul campo, rimanendo surclassato e chiuso in un angolo da professionisti ben più valutati e stimati quali Ingegneri e Geometri oltre che dagli interessi lobbistici di alcune frange politico-affaristiche locali e centrali. L’intento e l’impegno dell’on. Moscatt sono indubbiamente lodevoli e meritori di ogni encomio, anche per il tempismo con cui si presentano e si sviluppano, ma purtroppo troppe volte, all’indomani delle catastrofi naturali, abbiamo ascoltato grandi assicurazioni e promesse da ogni sorta di politici e maneggioni.

Come opportunamente indicato dallo stesso Presidente Graziano, questo deve essere soltanto il primo passo, fondamentale ed imprescindibile, ma a nostro avviso non basta, non può bastare, anche perché il rischio idrogeologico, per quanto adesso sotto gli occhi di tutti, non è certamente l’unica grave situazione ambientale cui è sottoposto il nostro paese. La semplice istituzione di una figura professionale, qualunque essa sia, non può essere sufficiente se rimane fine a sé stessa. Deve essere dotata di mezzi e fondi, poter operare liberamente sul campo senza vincoli né costrizioni, saper giudicare senza pregiudizi, essere inquadrata in una struttura più grande in grado di supportarla (e spesso sopportarla) a dovere. Soprattutto non deve essere abbandonata. A questo proposito, nell’intento di ampliare il dibattito già sorto in questi giorni anche sulle pagine di MeteoWeb, intendiamo presentare una nostra proposta non solo sul ruolo dell’eventuale “Ufficio Geologico Territoriale”, ma più in generale sulle modalità di controllo e salvaguardia del territorio.

Innanzi tutto la legge deve dimensionare e definire meglio questa “zona” che, in base alla popolazione ed alle dimensioni areali, potrebbe essere costituita da un consorzio di più Comuni come da una porzione di una città metropolitana. Non si può infatti generalizzare: un Comune del Gennargentu o dell’Aspromonte non può avere le stesse necessità e gli stessi problemi del centro storico di una grande città e neppure di una cittadina della bassa padana. Pare dunque necessario specificare nel dettaglio le “zone” ed eventualmente classificarle in base alle loro caratteristiche territoriali e geomorfologiche. Inoltre i geologi da soli, come già detto, non possono bastare, nemmeno in un territorio di limitate dimensioni. Più opportuno pare affiancarli sia ai vari tecnici comunali che ad altri professionisti quali biologi, agronomi, naturalisti, ingegneri ambientali ed anche membri delle organizzazioni ambientaliste che da anni si battono coraggiosamente in ogni angolo della nostra nazione contro i disastri e l’inquinamento provocati dall’uomo. Sarebbe perciò auspicabile la creazione di una squadra, un pool di tecnici, una task force ambientale in grado inizialmente di stilare una specie di “fotografia attuale” del territorio. Ciò partendo dalle mappe esistenti (molte delle quali non aggiornate in relazione agli ultimi eventi eccezionali) e da un capillare lavoro di rilevamento ed indagini sul campo, con l’ausilio di metodologie moderne quali GIS e foto satellitari le quali possono segnalare e confrontare le variazioni paesaggistiche, urbanistiche e morfologiche anche a distanza di anni. Esistono Comuni in cui la mappatura presente negli uffici tecnici è vetusta ed inadeguata, vecchia anche di 10-12 anni, perfino quella legata all’ambito urbanistico (specialmente nelle zone in cui impera l’abusivismo edilizio): per questo pare assolutamente necessario una riorganizzazione strutturale ed una revisione generale della cartografia nazionale, regionale, provinciale e comunale. Ecco perché servono squadre di più persone e di diverse discipline.

Il risultato finale di questa “revisione cartografica” è rappresentato da una nuova mappatura geoambientale del territorio, in ambito GIS (dunque facilmente gestibile online), in cui individuare le aree più a rischio in funzione dei vari parametri grazie alla sovrapposizione ed all’incrocio dei dati ottenuti. Tale mappatura dovrebbe essere implementata dai dati ambientali pregressi (presi come riferimento) e sviluppata “a settori”: dall’atmosfera (polveri sottili, CO, microinquinanti, biomonitoraggio licheni, ecc.) al sottosuolo (carte multilivello in funzione della profondità), dalla microzonazione sismica (liquefazione, densificazione, ecc.) all’idrogeologia (acque superficiali e sotterranee, pozzi, sorgenti, esondazioni, ecc.), dalla franosità dei versanti (ovviamente in aree montuose e collinari) all’erosione costiera ed all’ingressione salina (in zone litoranee) per finire a tutti i tipi di inquinamento (acustico, elettro-magnetico, rifiuti tossici, ecc.) ed alla vulnerabilità delle infrastrutture, in particolare ponti e strade (visto quanto accaduto in Sardegna), in rapporto ad eventi meteo eccezionali e perfino a fenomeni naturali estremi come eruzioni e tsunami.

Credit: NOAA

Un siffatto piano di monitoraggio ambientale, multidisciplinare e variegato, dovrebbe essere sviluppato in ogni “zona” prevista dal nuovo disegno di legge, operando H24, aggiornando costantemente i dati, sotto l’egida di un Ente importante dotato di significativi mezzi economici e strutturali (ad esempio la Protezione Civile), impiegando personale specializzato (ottenendo quindi nuovi posti di lavoro e rilanciando pure l’economia) e con la supervisione del cosiddetto “Ufficio Geologico Territoriale”, coadiuvato da un gruppo di lavoro contenente esperti dei vari settori interessati. Tutto ciò, oltre a fornire un quadro esauriente della situazione ambientale attuale e pregressa, garantirebbe una maggior rilevanza al supporto che gli studi geologico-ambientali possono fornire alla pianificazione urbanistica. Questo tipo di metodologia e di intervento non rappresenta una chimera: è già stato applicato più volte, sia pure parzialmente ed in ambiti territoriali limitati, su progetti di grandi opere infrastrutturali quali gallerie ed autostrade. Certo, ha un costo non indifferente ma comunque non proibitivo e sicuramente inferiore a quanto spendiamo per riparare i danni degli eventi naturali calamitosi (circa 3.5 miliardi di euro all’anno!). Per iniziare, questo progetto potrebbe essere sperimentato proprio in Sardegna, laddove la prevenzione è mancata totalmente, appena terminata la fase di emergenza e di messa in sicurezza. L’attenzione suscitata dall’ennesima catastrofe, a livello mediatico e politico, potrebbe rappresentare il volano per lo stanziamento ed il reperimento di fondi anche a livello europeo, con l’Unione Europea che più volte s’è espressa favorevolmente su tematiche ambientali tese alla salvaguardia del territorio.

Ma non finisce qui. Sarebbe fondamentale censire gli edifici, almeno quelli pubblici, sotto il profilo del rischio sismico, con particolare riferimento all’istituzione del “fascicolo del fabbricato”, una sorta di “carta d’identità” della costruzione, tramite cui valutare la sua staticità e vulnerabilità ai terremoti, con lo scopo di indagare sulle condizioni strutturali, individuare le operazioni di messa in sicurezza e costituire un archivio anagrafico dei fabbricati (con particolare riferimento alla presenza di seminterrati in zone a rischio idrogeologico, secondo quanto dichiarato recentemente da Franco Gabrielli). Un tentativo in tal senso, infruttuoso, venne effettuato anni fa dal Comune di Roma, abortito poi per il dissenso di alcune lobbies di potere, evidentemente ostili al progetto: criticato aspramente da più parti perché giudicato di difficile realizzazione pratica, il “fascicolo” venne definitivamente bocciato dal Consiglio di Stato per l’incostituzionalità di alcuni suoi articoli. Niente vieta però che possa essere riproposto sotto un’altra forma legislativa, più coerente con i principi della nostra Costituzione e soprattutto con le normative ambientali ed urbanistiche vigenti.

Si dovrebbe inoltre dotare ogni Comune, sulla falsariga di quanto esistente ad esempio a Vicenza, di opportuni sistemi di allarme (sirene, speakeraggio, sms, ecc.), gestito dalla task force o dall’Ufficio Geologico Territoriale, in grado di avvertire immediatamente la popolazione dei rischi imminenti, in modo anche da snellire le eventuali procedure di evacuazione. Favorire poi, tramite opportuni incentivi economici, la dismissione e lo smaltimento dell’eternit (in particolare delle coperture di edifici) ancora presente in quantità sui territori di molti Comuni. Programmare, infine, l’abbattimento dei tanti eco-mostri e degli edifici abusivi, soprattutto sulle nostre coste, oltre ad evidenziare le strutture edificate in aree a rischio, ad esempio le zone di pertinenza fluviale in caso di fenomeni eccezionali (vedi Olbia), valutando il loro eventuale spostamento in altra sede più idonea.

Il lavoro, come si può notare, è immane, ma da qualche parte si dovrà pure iniziare e si deve accogliere con grande interesse la proposta dell’on. Moscatt che però non deve rimanere isolata. Giusto procedere per passi, ma altrettanto importante stilare una road-map di eventi su cui basare la tutela del territorio. Appare imprescindibile la sinergia tra i vari Enti, oggi non sempre coordinati tra loro, con attribuzioni ed incarichi spesso sovrapposti e lotte di potere che si riverberano negativamente sull’efficacia delle azioni di prevenzione. Ci vuole coraggio, anche e soprattutto da parte delle istituzioni, e volontà di cambiare strategia e paradigma. La nostra proposta è chiara: adottare opportuni criteri di mitigazione e adattamento ad una situazione già grave, fermare una volta per tutte lo sfrenato consumo del suolo, modernizzare le strutture comunali di controllo territoriale attraverso appositi piani di monitoraggio e sistemi di allarme che consentano evacuazioni in tempi rapidi, gestire la prevenzione tramite personale specializzato e dai compiti ben definiti tra cui il rinnovo totale della mappatura geoambientale, sviluppare in maniera definitiva gli studi geologico-ambientali a supporto della pianificazione urbanistica, dotare di mezzi e fondi le squadre operative sul territorio, ampliare la presenza e l’autorità nelle amministrazioni pubbliche dei geologi cui dovrebbe spettare il compito di identificare e supervisionare le aree a rischio di ogni Comune. Solo in questo modo potrà essere migliorata la salvaguardia di territorio e popolazione. Non è facile, ma dobbiamo provarci, cittadini e politica insieme. Bene l’istituzione dell’Ufficio Geologico Territoriale ma non dobbiamo fermarci qui. Non dobbiamo stancarci di chiedere più sicurezza e rispetto per noi e per l’ambiente in cui viviamo. Se non altro, per la responsabilità morale che abbiamo di fronte alle future generazioni.

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