Giorno 18 novembre 2013 la parte orientale della Sardegna è stata percorsa da sud a nord dalla perturbazione Cleopatra che è stata caratterizzata da una serie di cumulonembi che hanno rilasciato considerevoli quantitativi di pioggia a ridosso dei rilievi (figure 1 e 2).
Nella zona a monte di Olbia i cumulonembi si sono esauriti anche se non si può ricostruire l’entità delle precipitazioni a ridosso di Monte Pinu, nella parte alta del bacino di Riu de Seligheddu, uno dei corsi d’acqua attorno ai quali si è sviluppata urbanisticamente la città.
Torpè si trova nella parte bassa del bacino idrografico del Fiume Posada, a valle della diga di Maccheronis. La parte alta del bacino è stata interessata da copiose precipitazioni piovose il giorno 18 novembre 2013, superiori a 212 mm in circa 10 ore, come rilevato dal pluviometro di Mamone (figura 4).
In base ai dati disponibili si nota che le precipitazioni sono state molto più abbondanti nella zona di Torpè che in quella di Olbia. A Torpè si è lamentata una vittima mentre ad Olbia si sono avute 5 vittime solo nel bacino del Riu de Seligheddu.
L’indagine svolta evidenzia il ruolo determinante che ha l’urbanizzazione, oltre all’entità delle precipitazioni piovose, nell’incrementare il disastro idrogeologico.
I potenti fenomeni naturali da vari anni stanno determinando gravi danni e perdita di vite umane nelle aree urbane italiane che si sono progressivamente sviluppate, dalla seconda guerra mondiale, occupando territori che a volte sono ripetitivamente interessati dalle manifestazioni naturali quali alluvioni, dissesti ecc..
L’area devastata da un fenomeno naturale rappresenta un’area disastrata che è il risultato di una potente sperimentazione attuata da fenomeni naturali in un ambiente reale, che è costituito da un territorio in parte allo stato naturale, in parte antropizzato ed in parte urbanizzato. L’area devastata costituisce, conseguentemente, il risultato di una “sperimentazione” in un “laboratorio naturale”, quasi sempre irripetibile, dove è possibile e dove devono essere effettuati rilievi e misure al fine di individuare i diversi impatti, nelle diverse condizioni fisiche e di urbanizzazione, e le loro modalità di espletamento.
Difficilmente si potrebbero riprodurre in laboratorio gli effetti importanti di tale fenomeno naturale sull’ambiente reale antropizzato e urbanizzato. Perciò, bisogna partire dagli effetti registrati sul territorio per comprendere gli impatti ambientali di fenomeni come le piogge da cumulonembi e organizzare di conseguenza un’adeguata protezione del territorio.
In tali aree si possono verificare le validità delle previsioni degli effetti attesi fatte in precedenza e si possono ricavare dati ed elementi di importanza strategica per individuare le linee di intervento per migliorare la difesa dell’ambiente, della vita dei cittadini e dei manufatti.
Con i dati acquisiti si può comprendere, in tal modo, quali siano le modalità con le quali si sviluppa il fenomeno naturale nelle aree caratterizzate da differenti caratteristiche geoambientali, geomorfologiche e di antropizzazione e urbanizzazione.
Negli ultimi anni abbiamo utilizzato vari territori interessati da disastrosi eventi naturali come “aree di sperimentazione irripetibile” ed in particolare le zone devastate dai fenomeni idrogeologici innescati dalle piogge tipo bombe d’acqua rilasciate dai cumulonembi.
Come accaduto il 18 novembre 2013 quando molti cittadini sono stati improvvisamente, e spesso senza alcun adeguato ed efficace allertamento in tempo utile per mettersi al sicuro, investiti dalle onde di piena, molte altre volte, negli ultimi anni, si sono verificati eventi idrogeologici catastrofici che hanno causato decine di vittime.
Tra i fenomeni più recenti si ricordano quelli di Genova, Cinque Terre, Atrani, Messinese tirrenico e ionico, Casamicciola, Ischia Monte Vezzi ecc..
Le ricerche originali sono state espletate finora per ricostruire l’evento piovoso che ha determinato le catastrofi e l’impatto al suolo con particolare attenzione all’individuazione dell’intervallo di tempo intercorso tra l’inizio dell’evento piovoso eccezionale e il sopraggiungere dei flussi idrici e detritici nelle aree urbane di fondo valle.
Le ricerche hanno evidenziato che le curve pluviometriche hanno un andamento simile nel senso che l’inizio delle precipitazioni rilasciate dai cumulonembi (che poi innescheranno i flussi catastrofici) viene evidenziato dalla tipica verticalizzazione del pluviogramma.
Le curve pluviometriche variano essenzialmente per la durata dell’evento.
E’ stato possibile accertare che tra l’inizio dell’evento piovoso rilasciato dai cumulonembi (agevolmente riconoscibile e misurabile da un pluviografo in grado di registrare la quantità di acqua precipitata ogni 2-3 minuti) e il primo sopraggiungere dei flussi nei fondovalle, agevolmente individuabili preventivamente per le caratteristiche morfologiche, possono intercorrere intervalli di tempo variabili da alcune decine di minuti (in bacini imbriferi di dimensioni molto limitate di alcune decine di ettari) a circa un’ora o addirittura alcune ore, come verificato per Atrani (settembre 2010, circa 1 ora), Genova (novembre 2011), Olbia e Torpè (18 novembre 2013) in bacini imbriferi di varie centinaia e migliaia di ettari.
Le ricerche hanno evidenziato che le aree di fondo valle urbanizzate e antropizzate, potenzialmente interessate dai flussi di piena (idrica e/o colate detritico-fangose), possono essere ben individuate e delimitate per cui si può predisporre un attento e adeguato piano di protezione civile teso ad evitare la perdita di vite umane.
Sulla base di questi originali elementi è stato messo a punto un sistema di allarme idrogeologico immediato la cui attivazione ed attuazione consentirebbe di mettere in salvo i cittadini.
Il sistema è semplice e verrebbe attivato dopo pochi minuti che i pluviometri hanno registrato la tipica verticalizzazione della curva che testimonia l’inizio del rilascio delle precipitazioni tipo bomba d’acqua da parte di cumulonembi.
I sistemi di monitoraggio meteo attualmente attivati a grande scala sono in grado di individuare già con un giorno di anticipo se vi siano e dove le condizioni che possono dare luogo all’innesco di eventi piovosi estremi.
I sistemi di allarme idrogeologico immediato, che devono essere distribuiti adeguatamente nei bacini idrografici, rappresentano un valido sistema di allertamento locale a scala di bacino imbrifero e di territorio comunale, attivabili in tempo utile per mettere al sicuro i cittadini.
Gli eventi accaduti nel bacino del Fiume Posada il giorno 18 novembre 2013 consentono di verificare l’applicabilità e la validità di un piano di allarme idrogeologico immediato.
Già dal giorno precedente si avevano le previsioni di eventi piovosi molto intensi per cui si doveva prevedere che nell’invaso di Maccheronis si sarebbero riversate alcune decine di milioni di metri cubi di acqua; era già possibile, pertanto, valutare la risposta del bacino artificiale che sarebbe stato interessato dal nuovo accumulo idrico (figure 1, 2, 3 e 4).
Dal momento che era attivo il pluviometro di Mamone, ubicato nella parte alta del bacino idrografico del Fiume Posada, si doveva stabilire un contatto in tempo reale con i responsabili delle amministrazioni pubbliche dei comuni ubicati nella valle sottostante il bacino di Maccheronis in modo da trasmettere loro l’evoluzione delle precipitazioni e valutare i volumi idrici che sarebbero affluiti verso valle.
L’osservazione della curva pluviometrica registrata a Mamone avrebbe immediatamente evidenziato l’inizio del primo e secondo fenomeno tipo bomba d’acqua (figura 5). Questi dati avrebbero dovuto fare scattare l’allarme idrogeologico immediato per la valle sottostante e l’attuazione immediata dei piani di protezione civile già sperimentati con la popolazione.
In base alla previsione di piogge molto copiose per tutta la giornata del 18 novembre, l’allarme idrogeologico immediato doveva essere lanciato all’inizio della verticalizzazione della curva pluviometrica avvenuta intorno alle ore 8,00 e prolungato per tutta la giornata.
In figura 21 sono indicati con il cerchio rosso gli intervalli di tempo nei quali la verticalizzazione della curva pluviometrica doveva imporre l’applicazione dell’allarme idrogeologico immediato.
In base ai dati disponibili si è ricostruito che l’allarme per l’evacuazione dei cittadini che risiedevano nella parte bassa di Torpè è stato attuato intorno alle ore 17,00 e che intono alle ore 18,00 circa è iniziata l’inondazione che ha interessato tutto il fondo valle fino alla quota di +10m, +12m.
I fatti accaduti evidenziano che nell’ambito di un bacino idrografico è necessario mettere a punto e sperimentare un piano di allarme idrogeologico immediato e un piano di protezione civile a scala di bacino e a scala comunale; piani strettamente coordinati con il sistema di monitoraggio idrologico a scala di bacino idrografico.
Niente di eccezionale! In base alle valutazioni messe a punto con la ricerca multidisciplinare coordinata dallo scrivente si può affermare che il sistema di allarme idrogeologico immediato adeguato ad un bacino idrografico come quello del Fiume Posada può costare intorno ai 100.000 Euro.
E può mettere al sicuro la vita dei cittadini.
La stessa valutazione è applicabile ai bacini idrografici che incombono su Olbia.
Gli eventi verificatisi il 18 novembre 2013 a Torpè e nella parte bassa del bacino del Fiume Posada e nell’abitato di Olbia evidenziano il ruolo che ha avuto lo sviluppo urbanistico nelle aree attraversate da corsi d’acqua che possono essere interessati da eventi di piena in seguito a fenomeni piovosi tipo bomba d’acqua.
Nella parte bassa del fiume Posada tra gli abitati di Torpè e Posada dalla fine della seconda guerra mondiale lo sviluppo urbanistico nella pianura alluvionale è avvenuto essenzialmente con manufatti rurali e infrastrutture viarie; solo nella parte bassa di Torpè, dove è deceduta una anziana signora disabile, si è verificato un limitato sviluppo urbano anche in aree inondabili, comunque lontane dall’alveo fluviale per cui la corrente idrica non è stata caratterizzata da velocità pericolosa.
I danni sono stati notevoli essenzialmente a causa della distruzione delle colture agricole.
Nell’abitato di Olbia l’esondazione dei corsi d’acqua oltre a causare diverse vittime ha ovviamente provocato danni enormi agli immobili pubblici e privati che sono stati realizzati dopo la fine della seconda guerra mondiale anche a pochi metri dagli alvei dei corsi d’acqua.
E’ evidente che molte attività antropiche si sono sviluppate anche su territori che possono essere interessati da potenti fenomeni geologici e che è praticamente impossibile mettere in sicurezza tutte queste aree. Certamente si devono evitare altri errori di urbanizzazione, ma i problemi che sono stati creati non possono essere risolti tutti.
Nè gli “irresponsabili” responsabili della sicurezza dei cittadini possono continuare ad ignorare che l’unica azione istituzionale seria ed agevolmente realizzabile è quella di garantire, almeno, la sicurezza dei cittadini mediante l’attivazione di sistemi di allarme idrogeologico immediato.
Patrizia Esposito, geologa
Franco Ortolani, Ordinario di Geologia
Silvana Pagliuca, CNR-ISAFOM