All’inizio del terzo millennio l’uomo tecnologico e realizzatore di diffusi interventi sul territorio, da definire spesso abusivi in relazione alle leggi e necessità degli elementi naturali, deve affrontare questo serio problema: difendere (e come), oppure no, i cittadini e le aree abitate di fondo valle e allo sbocco di piccoli bacini in aree periodicamente interessate dal transito dei cumulonembi che causano eventi piovosi eccezionali con conseguenti disastri idrogeologici che comportano la perdita di vite umane e notevoli danni all’economia locale.
I tragici eventi che si verificano in concomitanza con fenomeni piovosi eccezionali rilasciati da cumulonembi (tipo “bomba d’acqua”) dimostrano che i rappresentanti delle pubbliche istituzioni, che hanno il dovere istituzionale (oltre che morale) di tutelare e difendere la vita dei cittadini, sono ancora incapaci di creare una struttura organizzativa in grado di difendere efficacemente un territorio o, quanto meno, l’incolumità delle persone ivi residenti.
La storia recente, in particolare, testimonia una evidente forma di impreparazione nel fronteggiare le criticità sul territorio su base meteorologica, quasi come se i rappresentanti delle Istituzioni Pubbliche preposti alla tutela delle popolazioni si sorprendessero del fatto che si è avuta una alluvione o, più genericamente, un fenomeno di grave dissesto idrogeologico.
In questa sede si intende focalizzare l’attenzione sui disastri che, con crescente frequenza, si stanno manifestando allo sbocco di bacini idrografici di limitate dimensioni (da alcune centinaia a circa 2000 ettari) che, finora, erano stati erroneamente ritenuti “incapaci” di alimentare portate di piena di centinaia di mc/secondo, non solo di acqua ma prevalentemente di fango e detriti con tronchi d’albero d’alto fusto e massi lapidei di dimensioni notevoli (fino a 25 mc, come accaduto il 1 ottobre 2009 a Scaletta Zanclea).
Dopo il disastro del messinese del 1 ottobre 2009 abbiamo effettuato ricerche multidisciplinari nelle aree devastate da vari disastri idrogeologici causati da eventi pluviometrici estremi per individuare le più significative caratteristiche idrologiche degli eventi, i modi ed i tempi con i quali le precipitazioni piovose tipo “bombe d’acqua” determinino impatti devastanti sulla superficie del suolo in aree urbanizzate ed antropizzate in relazione alle più significative caratteristiche geoambientali.
Da tali indagini emerge immediatamente quello che è da considerare il problema più grave (e peraltro praticamente non eliminabile): l’urbanizzazione delle aree pedemontane attraversate da corsi d’acqua alimentati da bacini idrografici di alcune centinaia di ettari. Con interventi pubblici, numerosi alvei sono stati “intubati” per realizzare strade e parcheggi auto sulle strutture di copertura: la riduzione delle sezioni utili per lo smaltimento degli eventi di piena, aggrava significativamente il livello di rischio di alluvioni improvvise e devastanti (flash flood).
Negli ultimi anni si sono verificati vari disastri idrogeologici, causati da eventi di piena improvvisa innescati da piogge tipo nubifragio (“bombe d’acqua”) rilasciate da cumulonembi, che hanno provocato decine di vittime ed ingenti danni al patrimonio pubblico e privato.
I più recenti sono quelli del 8 ottobre 2013 e del 18 novembre 2013 che hanno devastato rispettivamente il tarantino (causando 4 vittime) e la fascia occidentale della Sardegna (causando 17 vittime).
Nella presente nota sono analizzati alcuni eventi disastrosi; grazie alle registrazioni pluviometriche è stato possibile correlare i differenti impatti al suolo con l’evoluzione del fenomeno idrologico.
I cumulonembi
I fenomeni meteorologici di estrema violenza sono sempre la manifestazione tangibile di una concentrazione di energia in corrispondenza di aree geografiche di limitata estensione.
Il concetto fisico è evidente: nell’atmosfera è presente energia diffusa, in parte misurabile direttamente (energia termica sensibile o calore), in parte desumibile dai valori dell’umidità presente sotto forma di vapor acqueo. Questa seconda aliquota di energia, di tipo latente, è quella responsabile dei fenomeni meteorologici più intensi che avvengono sulla superficie terrestre: gli uragani, i tornado, i temporali e, di conseguenza, le precipitazioni piovose estremamente intense che possono riversarsi al suolo in brevi intervalli di tempo.
L’acqua per passare dallo stato liquido allo stato gassoso (evaporazione) necessita di una grande quantità di energia, quella stessa energia che si “libera” quando il vapor acqueo torna allo stato liquido (condensazione). E’ facilmente intuibile che una massa di aria molto calda e umida contiene grandi aliquote di energia latente ma, comunque, immediatamente disponibile per alimentare i processi termodinamici che portano allo sviluppo dei cumulonembi, l’unico genere di nubi in grado di generare i temporali, e in alcuni casi, i nubifragi.
I Cumulonimbus sono nubi grande sviluppo verticale: essi presentano la loro base a quote comprese tra i 1000 e i 1500 m mentre la sommità può spingersi fino ai limiti della troposfera e talvolta oltre, a quote, cioè, che alle medie latitudini sono di circa 12.000 m..
In seno a tali nubi sono presenti delle correnti ascensionali (updraft) estremamente intense, con velocità che possono anche superare i 100 km orari. Tali velocità sono raggiunte proprio grazie all’aria calda ed umida che alimenta l’ammasso nuvoloso alla base, masse che nella loro salita (secondo il ramo ascendente di una cellula di moto convettivo) sono sospinte verso l’alto dalla spinta di galleggiamento indotto dalla loro minore densità rispetto alle masse d’aria più fredda che delimitano lateralmente l’ingombro geometrico del Cumulonimbus. Il sollevamento delle masse di aria calda, peraltro, porta ad un raffreddamento per decompressione adiabatica, sino al livello del punto di rugiada. A questo punto si ha il passaggio di stato da fase vapore a fase liquida. Questo è un punto cruciale della dinamica di sviluppo della nube temporalesca: infatti la condensazione fa si che si liberi in ambiente il calore latente immagazzinato all’atto dell’evaporazione. L’energia termica che si immette nel motore della “macchina temporalesca” è immensa. Tale energia, che ha gli stessi effetti di un turbo-compressore per auto-trazione, induce una accelerazione ed un potenziamento del “regime di giri” del sistema temporalesco.
In Italia ogni anno si sviluppano diverse decine di migliaia di temporali ma, fortunatamente, non tutti riescono ad apportare quantitativi pluviometrici di grande entità.
Nella descrizione della fase di sviluppo di un temporale sopra riportata sono presenti, in maniera non elencativa, quelli che sono i presupposti alla base della formazione di un Cumulonimbus:
1) presenza di masse di aria calda e molto umida nei bassi strati;
2) presenza di gradienti termici verticali moderati o forti;
A questi due fattori, che potremmo definire di base, si possono aggiungere altri fattori egualmente importanti:
3) confluenza delle correnti aeree nei bassi strati secondo linee a sviluppo meridianale;
4) presenza di notevoli gradienti verticali di velocità del vento (elevato windshear positivo in medio-alta troposfera);
5) presenza di notevoli gradienti verticali della direzione del vento (elevato windshear di direzione in medio-bassa troposfera).
La coesistenza di tutti i fattori sopraelencati consente di affermare che siamo in presenza di rischio elevato di sviluppo di Cumulonimbus e, quindi di temporali anche violenti.
La prevedibilità dei fenomeni intensi
La previsione di sviluppo di formazioni temporalesche è, dal punto di vista probabilistico, un problema risolvibile in quanto ben noti sono i fattori strutturali atmosferici predisponenti a tale tipologia di fenomeni.
Questi fattori sono correlabili a determinate situazioni a scala sinottica, ben rappresentate dalle analisi e dalle elaborazioni dei modelli fisico-matematici di previsione meteorologica, in particolare dai Modelli ad Area Limitata (LAM). Tra di esse rivestono particolare importanza:
- le carte della distribuzione barica al suolo;
- le carte della temperatura potenziale al suolo;
- le carte degli Indici termodinamici LI (Lifted Index) e CAPE (Convective Available Potential Energy)
- le carte di rappresentazione della componente verticale del moto alla superficie isobarica di 700 hPa;
- le carte dei geopotenziali della superficie isobarica di 500 hPa, con indicazione delle temperature;
- le carte dei geopotenziali della superficie isobarica di 300 hPa, con andamento delle isotache.
Esiste una legge che lega in maniera direttamente proporzionale :
a) l’estensione A dell’area per la quale ha un fondamento ed una sostenibilità scientifica emettere una previsione meteo;
b) il range temporale ?T della previsione.
A = f(?T)
In altri termini è possibile affermare che quanto più è distante la data alla quale si proietta la previsione meteo, tanto maggiore è l’estensione alla quale è possibile riferire la previsione stessa.
Nel rispetto della notazione qualitativa sopra riportata è possibile elencare i seguenti casi.
Prevedibilità di fenomeni intensi a medio termine (3-6 giorni di distanza temporale)
E’ possibile prevedere la presenza di una situazione di instabilità atmosferica ma la notevole distanza temporale rende molto poco affidabile la stima dell’intensità e la localizzazione di dettaglio delle aree indicate quali a massima probabilità di sviluppo di temporali. A tale distanza temporale, le immagini satellitari* non sono di alcuna utilità in quanto le figure bariche responsabili della instabilità possono ancora trovarsi a diverse centinaia o anche migliaia di km di distanza dal sito in esame oppure non essersi ancora sviluppate (*: rilevamenti nel campo del visibile e dell’infrarosso).
Prevedibilità di fenomeni intensi a breve termine (da 24 a 48 ore)
E’ possibile prevedere, con sufficiente attendibilità, il realizzarsi di una situazione di instabilità atmosferica e delimitare in un ambito spaziale più ristretto le zone a massimo rischio di fenomeni temporaleschi. A tale range di distanza temporale, in particolare in corrispondenza dell’estremo inferiore (24 ore), le immagini da satellite possono evidenziare i segni della instabilità, con le cellule temporalesche in sviluppo in aree geografiche prossime a quella in esame.
Prevedibilità di fenomeni intensi a brevissimo termine (meno di 24 ore)
E’ possibile prevedere con elevata attendibilità il realizzarsi di una situazione di instabilità atmosferica in quanto la struttura della troposfera sul sito di osservazione sta già predisponendosi per raggiungere la configurazione termodinamica favorevole allo sviluppo dei temporali. Le immagini da satellite mettono quasi sempre in evidenza la presenza di cellule temporalesche attive nelle immediate adiacenze del sito e anche l’osservazione a vista dello stato del cielo può di sovente evidenziare la presenza di nubi a forte sviluppo verticale (Cumulus congestus o isolati Cumulonimbus)
Prevedibilità di fenomeni intensi in regime di nowcasting (poche ore di anticipo)
La situazione di instabilità è sul luogo di osservazione. Il satellite è oramai l’unico mezzo per monitorare la situazione meteorologica ed individuare la presenza e l’iter evolutivo dei Cumulonimbus presenti. Ad integrazione del quadro informativo fornito dalle immagini satellitari è opportuno analizzare:
a) il flusso di immagini prodotte dai radar meteorologici, in grado di “fotografare” le precipitazioni stimandone l’intensità istantanea;
b) l’andamento dei parametri meteorologici al suolo rilevati da centraline presenti nelle immediate adiacenze (temperatura, direzione del vento, pressione, umidità)
c) le mappe di distribuzione delle scariche elettriche.
Ma anche in questa fase, con la cellula temporalesca attiva, non è possibile prevedere quanti mm saranno caduti sul luogo di osservazione a fenomeno esaurito .
Interpretazione dei pluviogrammi per la proiezione degli accumuli precipitativi.
L’unico mezzo per poter effettuare proiezioni sui quantitativi che risulteranno essere caduti al suolo a fenomeno temporalesco esaurito, è quello della analisi in continuo dei dati misurati da un pluviometro, monitorando, al tempo stesso, le dinamiche evolutive della cellula temporalesca tramite immagini satellitari e radar.
I pluviometri di recente generazione hanno la possibilità di fornire il dato di accumulo in tempo reale, con intervalli di campionamento anche di solo 1 minuto. Ciò rende possibile la valutazione non solo dell’accumulo complessivo ma anche del parametro “Rain Rate” o “Intensità istantanea di precipitazione”.
Risulta quindi possibile una analisi approfondita delle modalità di sviluppo dell’evento pluviometrico, con immediata intercettazione di eventuali accumuli significativi in relazione, per esempio, a problematiche di Protezione Civile.
Si riassume quanto detto nella tabella seguente:
Tabella di valutazione della utilità previsionale specifica dei vari supporti informativi
?T > 6 giorni | 6 gg < ?T < 3 gg | 48 h < ?T < 24 h | ?T < 24 h | ?T < 3 h | |
Modelli previsionali |
bassa | media | alta | alta | bassa |
Immagini satellitari |
nulla | bassa | media | alta | altissima |
Immagini radar |
nulla | nulla | nulla | bassa | altissima |
Immagini scariche elettriche |
nulla | nulla | bassa | alta | altissima |
Osservazione a vista del cielo |
nulla | nulla | bassa | media | alta |
Analisi dei pluviogrammi |
np | np | np | np | altissima |
Aree geografiche maggiormente esposte a tali fenomenologie
L’Italia è una nazione climaticamente equilibrata, senza particolari forme di estremizzazione. Tale affermazione trova la sua massima forma di veridicità se si prende in considerazione il parametro “temperatura”: infatti l’Italia risulta ben protetta dalle irruzioni di aria artica e da quelle di origine siberiana per la presenza del bastione alpino e del naturale prolungamento verso sud-est costituito dalle Alpi Dinariche.
Se invece si prendono in considerazione le precipitazioni piovose, il discorso cambia in maniera abbastanza radicale, così come chiaramente testimoniato dai numerosi eventi alluvionali che da sempre hanno colpito ogni parte d’Italia, causando, in più occasioni, distruzione e morte.
Una analisi della morfologia che caratterizza l’Italia, della complessa orografia, della circostanza che la penisola italiana si protende in un mare caldo quale è il Mediterraneo, porta fisiologicamente a prevedere una elevata probabilità di fenomeni pluviometrici di grande rilievo.
La carta di seguito riportata (figura 2) evidenzia schematicamente le aree maggiormente esposte al rischio di precipitazioni piovose di grande intensità. Esse corrispondono, essenzialmente, ai versanti sopravvento della dorsale appenninica, dalla Liguria alla Calabria; i numerosi eventi che nel recente passato hanno colpito la Sicilia e la Sardegna, consentono di inserire le due isole maggiori nelle aree a maggior rischio. Altra zona esposta al rischio di eventi pluviometrici di grande intensità è quella della fascia prealpina lombarda, veneta e di tutto il Friuli Venezia Giulia.
Tipologia di fenomeni e interazione con il contesto geomorfologico interessato
Un evento pluviometrico, con determinate caratteristiche di durata ed intensità, per poter indurre forme di criticità sul territorio sul quale cade, deve “confrontarsi” con le caratteristiche dello stesso.
Al fine di comprendere la dinamica di sviluppo di un fenomeno alluvionale è necessario introdurre le “Curve di probabilità pluviometrica” ed alcuni parametri di caratterizzazione di un bacino idrografico.
Una curva di probabilità pluviometrica è il frutto di uno studio approfondito dei dati di pioggia misurati da un pluviometro che abbia la possibilità di determinare le massime intensità di pioggia cadute in determinati intervalli temporali. Tali intervalli sono:
a) 15 – 30 – 60 minuti
b) 3 – 6 – 12 – 24 ore
c) 2 – 3 – 4 giorni
Una curva di probabilità pluviometrica consente di determinare, fissato un certo intervallo temporale, di definire quale sia l’accumulo massimo statisticamente prevedibile in tale intervallo di tempo.
Questa analisi mostra che le intensità di pioggia (rapporto tra volume precipitato al suolo e tempo nel quale esso si concretizza) più rilevanti si manifestano in occasione di rovesci di breve durata: quindi, se lo studio dai dati in archivio per la durata di 15 minuti indica un accumulo di 20 mm, per la durata di 30 minuti (durata doppia) si potrà avere, ma solo in linea teorica, al massimo un accumulo pari a 40 mm.
Ogni curva di probabilità pluviometrica si riferisce ad un certo periodo di ritorno T.
Si veda, per esempio, in figura 3, la famiglia di curve di seguito riportata.
Dall’analisi delle curve di probabilità si può osservare, ad esempio, che l’accumulo massimo statisticamente prevedibile relativo alla durata di 3 ore, se considero il tempo di ritorno T=10 anni, è pari a 65 mm mentre se considero T=100 anni esso è pari a 130 mm, quindi il doppio. Si rammenta che il tempo di ritorno T è il tempo che, mediamente, intercorre tra due eventi di pari intensità.
Nel diagramma la pendenza delle curve di probabilità pluviometrica è rappresentativa dell’intensità delle precipitazioni (valori massimi nella parte sinistra del diagramma, zona relativa alle minori durate).
Passiamo ora ad analizzare le caratteristiche del territorio che subisce l’evento pluviometrico, con particolare riferimento ad un determinato bacino idrografico.
Introduciamo, pertanto, i concetti di “Tempo di corrivazione” e di “Potere d’invaso” di un certo bacino.
Il tempo di corrivazione di un bacino imbrifero superficiale è il tempo che impiega l’acqua che cade nel punto più lontano dalla sezione terminale del bacino per giungere a quest’ultima. Tale tempo dipende fondamentalmente dalla dimensione del bacino e dalla pendenza media del cammino percorso dall’acqua.
Il potere d’invaso di un bacino imbrifero è la quantità di acqua che rimane sul territorio, in condizioni statiche o dinamiche, non contribuendo alle portate idrauliche in transito nella sezione terminale del bacino.
Un bacino di piccole dimensioni ha, quindi e generalmente, un tempo di corrivazione breve e un potere d’invaso modesto.
Nella individuazione della precipitazione critica, il criterio di massima da utilizzare è quello di adottare la precipitazione di durata pari al tempo di corrivazione.
Se ne deduce, quindi, che per i bacini di piccole dimensioni, le precipitazioni critiche sono caratterizzate da notevole intensità.
I più recenti fenomeni alluvionali occorsi nelle Cinque Terre, a Genova e nel messinese tirrenico confermano in maniera totale queste considerazioni di base.
Il bacino del Rio Fereggiano di Genova, dal quale si è originata la piena che ha causato 6 vittime, ha una estensione pari a 350 ha come quelli incombenti su Monterosso e Vernazza nelle Cinque Terre, quello del torrente dragone di Atrani è di circa 900 ha, ecc. Tutti bacini di modesta dimensione planimetrica.
Al crescere delle dimensioni del bacino idrografico, cresce parallelamente la durata dell’evento pluviometrico critico.
Per il bacino del fiume Po, considerando quale sezione terminale quella di foce, la durata da considerare è di 5-6 giorni. Peraltro in tale caso, data la vastità del bacino imbrifero, non è possibile considerare un valore pluviometrico uniforme, come è invece possibile fare nei piccoli bacini idrografici di pochi km quadrati di estensione.
E’ importante sottolineare che le dimensioni in pianta dei nuclei temporaleschi più intensi è di qualche km quadrato.
Alluvione della provincia di Messina del 22 novembre 2011
Analisi previsionale dei modelli fisico-matematici a 24 ore dalla fase di sviluppo del fenomeno alluvionale.
Le proiezioni dei principali modelli di previsione mostravano sulla zona che di li a poco sarebbe stata investita dai fenomeni alluvionali, un accentuato flusso sud-orientale nei bassi strati, molto umido, davanti al margine avanzante della depressione, con velocità di circa 15-18 m/s in corrispondenza della superficie isobarica di 850 hPa (circa 1500 m di quota sul livello del mare).
Alla quota isobarica di 925 hPa (circa 800 m di quota sul livello del mare), invece, il vento sullo tratto di Mar Ionio subito ad est della Sicilia era ancora più intenso, con punte di oltre 20 m/s.
L’analisi alle ore 00.00Z del 22 novembre mostrava un vortice depressionario alla quota isobarica di 500 hPa, centrato sul Canale di Sardegna, con valore minimo del geopotenziale pari a circa 5570 m, associato a elevati valori della vorticità positiva.
Sulla Sicilia orientale, sempre a tale quota, era presente una diffluenza delle correnti, tanto da poter ipotizzare una accentuazione della confluenza nei bassi strati.
A sud del suddetto vortice, alla quota isobarica di 300 hPa, era presente un ramo della corrente a getto sub-tropicale, con velocità superiori ai 40 m/s (jetstreak) proprio a sud della Sicilia, sulla verticale del Golfo di Gabes.
Questo quadro, nel complesso, lasciava prevedere lo sviluppo di fenomeni temporaleschi anche intensi ma non sussisteva una combinazione dei fattori (vedi elenco al paragrafo precedente) tale da lasciar temere lo sviluppo di fenomeni di estrema intensità, fenomeni che, salvo casi particolari, non sono comunque mai escludibili del tutto.
Le intense e persistenti piogge sull’area settentrionale del messinese e sulla Calabria sono state determinate dal passaggio di una anomalia fredda in quota, ben evidenziata dalle mappe della tropopausa dinamica, su un’area a forte baroclinicità, generata da un promontorio termico di matrice africana; ciò ha determinato una forte convergenza nei bassi strati e di conseguenza l’innesco di una persistente attività convettiva organizzata autorigenerante (V-shaped storm, figura 4).
Il modello COSMO-ME è stato spesso citato come quello ad aver meglio inquadrato la possibilità di piogge di notevole rilevanza sulla provincia di Messina. In effetti il run delle ore 00.00UTC del 21/11 stimava un quantitativo massimo di 220 mm, valore di grande rilevanza. A parere di chi scrive la proiezione di COSMO-ME, invece, non è stato un successo previsionale in quanto i massimi pluviometrici sono stati posizionati sulla fascia costiera che da Catania giunge sino a Scaletta Zanclea, una collocazione, quindi, esclusivamente sopravvento ai rilievi dell’Etna e dei Monti Peloritani. Questa collocazione attribuisce notevole peso al fattore orografico e al sollevamento forzato sul versante est e sud-est dei rilievi ma sembra non tenere in debita considerazione l’aspetto delle precipitazioni di tipo convettivo, precipitazioni che in caso di cellule temporalesche di grande intensità, non si limitano, assolutamente, al solo versante esposto alle correnti; anzi in talune situazioni strutturali dell’atmosfera, come del resto perfettamente evidenziato da quanto accaduto sul messinese tirrenico, sono proprio le zone sottovento a ricevere i massimi apporti precipitativi (figura 6). Per sottovento è da intendersi non solo “al di la del crinale spartiacque” nella direzione di provenienza delle correnti ma anche, e più genericamente, “al di la di un elemento orografico in grado di generare l’input di attivazione dei moti verticali”.
Il vertice meridionale del sistema convettivo si è localizzato sull’area tirrenica del Messinese, tra Barcellona Pozzo di Gotto e Villafranca Tirrena, dove si sono registrate le precipitazioni più intense e, quindi, le conseguenze più catastrofiche sul territorio, in termini di danni alle cose e alle persone.
Cause del fenomeno alluvionale
Gli ambiti da investigare per trovare la spiegazione di quanto è accaduto in provincia di Messina in data 22 novembre 2011 non sono, alla luce delle precedenti considerazioni, di tipo unicamente meteorologico ma devono estendersi ad altri settori di indagine.
In particolare è necessario approfondire, con grande attenzione, l’aspetto dell’interferenza sinergica del fattore meteorologico con la struttura orografica del territorio.
La parte nord’orientale della Sicilia è caratterizzata da una orografia complessa, nella quale possono individuarsi tre grandi complessi montuosi:
1) i Monti Peloritani
2) il complesso vulcanico dell’Etna;
3) la parte più orientale dei monti Nebrodi.
I monti Nebrodi e i Peloritani sono parte costituente della catena montuosa che corre, mediamente, da O verso E nella parte settentrionale dell’isola e che, in corrispondenza della provincia di Messina, si orienta con asse SO-NE.
Nella giornata del 22 novembre il flusso nei bassi strati, proveniente da SE, ha abbordato le coste ioniche della Sicilia interferendo in maniera significativa col rilievo. La presenza di vallate ampie, come quella dell’Alcantara, hanno fatto si che, localmente, il flusso potesse penetrare in profondità nell’entroterra, convogliando masse di aria estremamente umida nei punti di innesco della formazione dei cumulonembi.
Il rilievo dei Peloritani ha esercitato un’azione di forcing dinamico sulle correnti, particolarmente efficace stante l’angolo di incidenza poco discosto dall’ortogonalità rispetto alle curve di livello. Le precipitazioni piovose e gli impatti più devastanti si sono registrati a nord dello spartiacque, lungo due fasce sub-parallele (figure da 6 a 13).
Fenomeni alluvionali delle Cinque Terre del 25/10/2011
Analisi idrologica
L’alluvione del 25 ottobre 2011 nell’area ligure di levante e nella Toscana nord-occidentale è stato generato da un sistema temporalesco autorigenerante che ha imperversato per diverse ore consecutive.
L’analisi delle correnti aeree nei bassi strati mostrava un flusso settentrionale nella parte centro-occidentale della Liguria, sino alla città di Genova, mentre la Liguria orientale era interessata da un flusso sciroccale particolarmente umido ed instabile. Il sistema temporalesco si è insediato nella fascia di massimo shear orizzontale della velocità del vento (asse di saccatura), con vertice di generazione al largo sul Mar Ligure, a metà strada tra Imperia e Ajaccio, area ove esisteva una forte confluenza delle correnti al livello del mare (figura 14). A Vernazza si sono lamentate tre vittime, a Monterosso una.
Fenomeno alluvionale di Genova del 4 novembre 2011
Analisi idrologica
Dopo pochi giorni dalla tragedia delle Cinque Terre, il 4 novembre 2011, anche Genova è stata interessata da un disastroso evento alluvionale causato da un nubifragio rilasciato da cumulonembi, con 6 vittime, decedute circa 4 ore dopo l’inizio del nubifragio.
Si evidenzia subito che il nubifragio, se fosse stato disponibile il sistema di allarme idrogeologico immediato nel locale piano di protezione civile, poteva essere individuato immediatamente, dopo pochi minuti dopo che era iniziato, intorno alle 8,40.
Le precipitazioni, con caratteristiche tipicamente correlabili alla presenza di cumulonembi, si sono susseguite fino intorno alle ore 14,30 circa. I pluviometri ARPAL e quelli di vari amatori hanno registrato valori di pioggia di oltre 400 mm tra le 9,30 e le 14,30 con picchi nella zona del bacino del Rio Fereggiano.
Intorno alle 13.00 sarebbe iniziata l’esondazione disastrosa del Rio nella zona dell’imboccatura nell’alveo strada che è stato realizzato per circa 1500 m fino allo sbocco nel T. Bisagno; l’onda di piena ha invaso la strada sovrastante l’alveo causando sei vittime.
Il bacino idrografico del Rio Fereggiano, fino all’imbocco dell’alveo strada, è limitato a soli 375 ettari, più o meno le stesse dimensioni dei bacini idrografici incombenti su Monterosso e Vernazza; le caratteristiche geomorfologiche e degli eventi pluviometrici di Genova e di Vernazza e Monterosso sono, quindi, quasi coincidenti. Gli eventi piovosi sono stati causati, in entrambi i casi, dal transito di cumulonembi.
Lungo i versanti del bacino idrografico del Rio Fereggiano non si sono verificati dissesti particolari come quelli innescati nei bacini a monte di Vernazza e Monterosso nelle Cinque Terre; conseguentemente non si sono mobilitati molti detriti e tronchi d’albero d’alto fusto.
Conclusioni
Che si può e deve fare?
E’ praticamente impossibile mettere in sicurezza in tempi rapidi tutte le aree urbane ed antropizzate esposte ai pericoli idrogeologici. Molti problemi sono stati creati realizzando insediamenti urbani in aree esposte ai pericoli idrogeologici.
Anche impedendo nuovi interventi in aree pericolose non si risolverebbe il problema delle urbanizzazioni già realizzate.
Pragmaticamente siamo giunti alla conclusione che in tempi brevi e con costi contenuti si può e si deve tentare di salvare almeno le vite umane.
E’ evidente che occorre una nuova organizzazione in grado di fare scattare un sistema di allarme idrogeologico immediato che può e deve essere attivato nelle aree urbane e nel territorio interessato da infrastrutture di importanza strategica dopo pochi minuti che i vari pluviometri distribuiti sul territorio hanno iniziato a registrare una pioggia eccezionale, tipica dei cumulonembi, che può innescare fenomeni idrogeologici devastanti.
I bacini stretti e lunghi di dimensioni simili a quelle a monte di Monterosso e Vernazza (Atrani e altri comuni della costiera amalfitana, Messina), che incombono su aree abitate attraversate da alvei-strada, quando sono interessati da eventi piovosi simili a quelli del 25 ottobre 2011 e del 4 novembre 2011, possono alimentare dapprima flussi idrici e fangosi e poi detritici tali da trasportare nell’area urbana volumi enormi di detriti.
La portata massima che caratterizza questi flussi eccezionali, di solito, non viene smaltita dagli alvei che molto spesso sono stati coperti nei tratti urbani.
Gli alvei vengono sistematicamente intasati da autoveicoli, tronchi di alberi d’alto fusto e detriti anche di grandi dimensioni.
Nella previsione dei fenomeni di “Alluvione lampo” (Flash flood) risulta di fondamentale importanza la definizione delle dimensioni dei bacini idrografici superficiali: infatti, come visto, il livello di rischio cresce al diminuire delle dimensioni del bacino in esame.
Questa legge di inversa proporzionalità si poggia sulla evidenza che nello studio degli eventi pluviometrici di rilevante entità, le massime intensità istantanee di pioggia sono relative ai fenomeni di breve durata.
E’ quindi in tali contesti che è necessario realizzare sistemi di monitoraggio pluviometrico che possano “intercettare” in tempo reale l’evento perverso caratterizzato da molte decine di millimetri di pioggia in un’ora, con durata complessiva anche di alcune ore, che consentano di emettere “Allarmi Idrogeologici Immediati”, con possibilità, per le popolazioni coinvolte, di raggiungere luoghi sicuri, esterni ai prevedibili percorsi delle acque e dei detriti di una alluvione lampo o di una colata detritica.
La ricerca ha messo in evidenza che le piogge tipo nubifragio o “bomba d’acqua”, che sono rilasciate dai cumulonembi, sono registrate con un pluviogramma dalla tipica morfologia, facilmente individuabile già in fase di registrazione dell’evento piovoso.
Consideriamo, ad esempio, i pluviogrammi degli eventi del 24 ottobre 2011 a Monterosso e a Brugnato e del 4 novembre 2011 a Genova (figura 27). Si distinguono nettamente tre tratti: un tratto “a” che rappresenta la registrazione di una pioggia caratterizzata da pochi millimetri all’ora, praticamente una pioggia “normale”, un tratto “b” che rappresenta una verticalizzazione della curva pluviometrica che corrisponde alla pioggia tipo nubifragio rilasciata da cumulonembi con diverse decine di millimetri ogni ora, ed infine un tratto “c” corrispondente ad una pioggia normale, dopo che è terminato il nubifragio. In tutte le registrazioni pluviometriche di eventi tipo nubifragio rilasciati da cumulonembi è possibile riconoscere questa tipica morfologia della curva; in particolare la verticalizzazione della curva appena iniziano le precipitazioni piovose rilasciate da cumulonembi.
Un pluviometro che sia in grado di registrare la pioggia precipitata al suolo ogni due-tre minuti consente agevolmente, dopo pochi minuti, di individuare l’inizio del nubifragio la cui durata può essere di alcune decine di minuti o di qualche ora.
Dopo pochi minuti dall’inizio della fase di verticalizzazione è possibile lanciare l’allarme idrogeologico con il fine di mettere al sicuro immediatamente i cittadini applicando il Piano di Protezione Civile Locale che si basa sulla corretta individuazione delle zone che possono essere interessate dagli eventuali flussi costituiti da onde di piena idrica e/o da flussi detritici.
Deve essere garantita la autonoma fornitura di energia necessaria al funzionamento del sistema di registrazione e trasmissione dei dati per evitare che durante i nubifragi possa interrompersi il funzionamento delle strumentazioni.
La ricerca multidisciplinare finora eseguita autonomamente ha consentito di:
1- individuare che le curve pluviometriche che hanno registrato eventi piovosi tipo nubifragio o “bombe d’acqua” hanno una morfologia tipica e ben riconoscibile;
2- individuare che l’inizio delle piogge tipo nubifragio rilasciate da cumulonembi è evidenziato dalla verticalizzazione della curva registrata in tempo reale da un pluviometro in grado di registrare ogni 2-3 minuti il quantitativo di pioggia precipitata al suolo;
3- individuare un intervallo di alcuni minuti, dopo l’inizio della verticalizzazione della curva pluviometrica, entro il quale si può accertare che sia iniziato un evento piovoso tipo nubifragio che può continuare per decine di minuti e alcune ore determinando la precipitazione sul suolo di significativi volumi di acqua che possono innescare onde di piena e flussi detritici;
4- ricostruire i differenti impatti che sono stati determinati dagli eventi tipo nubifragio su superfici del suolo dei bacini idrografici in condizioni naturali, devastate dal fuoco, terrazzate e coltivate e nei fondo valle antropizzati e diversamente urbanizzati in relazione alle diverse caratteristiche morfologiche, geoambientali e di antropizzazione e urbanizzazione;
5- ricostruire, nelle aree devastate da fenomeni idrogeologici conseguenti ad eventi piovosi tipo nubifragio, dopo quanti minuti, che era iniziata la “bomba d’acqua”, il fondo valle antropizzato ed urbanizzato sia stato interessato dall’onda di piena idrica o da eventuali flussi detritici.
6- individuare linee guida per la redazione preventiva di piani di protezione civile locali da attuare, appena lanciato l’allarme idrogeologico immediato, nelle zone che possono essere interessate da onde di piena e flussi detritici;
7- elaborare linee guida per la realizzazione di un sistema di allarme idrogeologico immediato e valutarne i relativi costi.
Allo stato attuale con i sistemi di monitoraggio meteo su vasta scala, con un anticipo di alcune ore si è in grado di individuare la fascia ampia entro la quale possono innescarsi e svilupparsi cumulonembi.
In questa fase può scattare il preallarme e la curva pluviometrica è sub-orizzontale.
I cumulonembi rilasciano la pioggia tipo “bomba d’acqua” scorrendo lungo fasce di territorio ampie da circa 5 a circa 10 km per cui l’area interessata dall’evento piovoso può essere individuata esattamente solo con le registrazioni pluviometriche al suolo da parte di pluviometri ubicati strategicamente in relazione alle caratteristiche morfologiche dei bacini idrografici.
Dopo alcuni minuti di registrazione che evidenziano la verticalizzazione della curva (figura 29) e dopo l’osservazione diretta dei fenomeni che accompagnano i cumulonembi in varie stazioni di monitoraggio può essere delineata la fascia entro la quale i cumulonembi si stanno spostando. Questo è il momento di lanciare l’Allarme Idrogeologico Immediato.
Il Sistema di Allarme Idrogeologico deve essere attuato a livello comunale e di bacino idrografico in quanto il percorso dei cumulonembi può avvenire lungo la direzione di allungamento dei bacini idrografici o trasversalmente ad essa.
Ing. Alberto Fortelli, Dottorando c/o Dipartimento di Scienze della terra, dell’Ambiente e delle Risorse, Università di Napoli Federico II
Franco Ortolani, Ordinario di Geologia
Silvana Pagliuca, CNR ISAFOM, Ercolano