L’Italia continua a franare e ad essere alluvionata. Quest’inverno, che probabilmente entrerà nelle statistiche come tra i più piovosi di tutta la storia, rappresenta per il territorio del nostro paese il “punto di non-ritorno”: dal Veneto alla Toscana, dalla Liguria alla Sardegna, dall’Emilia al Lazio non passa settimana (e perturbazione) senza assistere ad un territorio devastato da acqua e fango. Le cause, ormai, sono ben note a tutti ed anche MeteoWeb le ha più volte denunciate: anche se molti politici ed amministratori si affannano in tv a colpevolizzare l’eccezionalità delle precipitazioni ed a rimpallarsi in maniera ridicola le accuse tra i vari enti preposti alla salvaguardia dei cittadini, la realtà è una sola.
La ragione di tutto questo sfacelo si chiama incuria del territorio, prodotta da una vera e propria incapacità gestionale dal punto di vista ambientale, geomorfologico ed idraulico. Non esiste prevenzione; mancano i fondi (un altro leit-motiv di questi ultimi giorni, sollevato pure da Franco Gabrielli, Capo della Protezione Civile e da Enrico Rossi, Presidente della Regione Toscana: e se lo dicono loro!); latita la sinergia tra i troppi enti delegati all’amministrazione del territorio (demanio, Comune, Corpo Forestale, Consorzi di Bonifica, Genio Civile, ecc.); Governo e Parlamento hanno ben altro da fare che risolvere i problemi ambientali. Ecco perché non appena una perturbazione scatena una pioggia anche soltanto leggermente superiore alla media, il territorio va in tilt, nelle grandi città (basti per tutte l’esempio di Roma) come nelle campagne venete, emiliane o sarde. Non si tratta più di casi isolati né eccezionali: adesso il problema è generalizzato e permanente, l’Italia intera è afflitta dal dissesto idrogeologico con cui, giocoforza, siamo costretti a convivere già da qualche anno a questa parte senza peraltro aver visto né vedere interventi efficaci di mitigazione e/o adattamento. Questo è il punto focale della questione: non si tratta più soltanto di fermarci, di estirpare un tumore che forse non tornerà, di mettere un punto e chiudere il discorso, di incarcerare i colpevoli. Qui si tratta di capire che questo cancro non scomparirà mai più: siamo andati troppo oltre, il danno è compiuto, i buoi sono già scappati, una buona parte del nostro territorio è condannato e “perduto”. Non lo diciamo noi, tra l’altro spesso tacciati di catastrofismo, ma le statistiche: l’82% dei nostri Comuni è caratterizzato da rischio idrogeologico medio-alto, il 10% del nostro territorio è ad alta criticità idrogeologica, negli ultimi 50 anni frane ed alluvioni hanno provocato oltre 7000 vittime che diventano oltre 12mila se si considera l’ultimo secolo. Ed allora, cosa fare?
Invertire la tendenza, prepararsi a questa convivenza ostile, conoscere e combattere il nemico, sviluppare opportune contromisure nella consapevolezza che il futuro, complice un cambiamento climatico che ormai appare irrefrenabile, ci riserverà ancora fenomeni estremi sempre più frequenti. In questo contesto le soluzioni non mancano, almeno per quanto riguarda la salvaguardia delle vite umane. Alcune paiono lente e costose, sollevando grandi perplessità ed ampi dibattiti che probabilmente non vedranno mai fine, al pari di molte opere (su tutte diverse dighe in Sardegna) per le quali si spendono milioni di euro senza vedere alcun risultato concreto. Altre soluzioni invece potrebbero essere utili se sviluppate nei tempi e nei modi più consoni: su tutte la corretta manutenzione degli alvei, concausa di esondazioni tra le più conclamate ed evidenti (anche nei recenti eventi di Veneto e Toscana), spesso ostacolata però dalla troppa burocrazia ad essa connessa o dai rimbalzi procedurali tra i vari enti preposti. Spesso la critica, e la scusa, più facile per questi interventi è che sono costosi, complessi, lenti e perciò senza risultati tangibili nell’immediato. Dunque, secondo alcuni, inutili: meglio invece spendere poi il doppio dei soldi per ripristinare i danni o aiutare le famiglie che hanno perso casa e lavoro. A nessuno, se non a qualche “illuminato”, viene in mente che esiste una parola magica, capace di far risparmiare tempo, denaro e perfino vite umane. Prevenzione.
Oltre tutto la prevenzione, intesa pure come informazione, può anche costare poco in termini economici ma far guadagnare molto sotto l’aspetto della sicurezza e della tranquillità di intere comunità e bacini idrografici. Proprio questo è l’argomento di un interessante report, intitolato “Progetto Cleopatra”, appena realizzato dal geologo Giampiero Petrucci, da tempo nostro collaboratore ed inviato in Sardegna, sui luoghi colpiti dall’alluvione del 18 novembre scorso. La relazione, 45 pagine di denuncia e critica costruttiva, corredata da una cinquantina di foto e mappe, illustra compiutamente i fatti, le cause, gli effetti e soprattutto le soluzioni di quanto accaduto in Sardegna prima, durante e dopo la catastrofica alluvione che ha stravolto i territori di 63 Comuni e lasciato sul campo 18 vittime.
Petrucci ribadisce ed approfondisce concetti già evidenziati su MeteoWeb come l’origine atmosferica dei fenomeni, il consumo del suolo cui è stata sottoposta l’isola negli ultimi 50 anni, la mancata prevenzione e l’inadeguatezza della cartografia attualmente in vigore che, giungendo oltre tutto in ritardo, certamente non ha agevolato una corretta pianificazione urbanistica.
Il quadro che emerge dal report è desolante e le statistiche confermano la drammaticità della situazione: in Sardegna il tasso di mortalità per inondazione, secondo le statistiche degli ultimi 50 anni, è molto superiore alla media nazionale (0,045 vittime ogni 100mila abitanti contro lo 0,03); ben 306 dei 377 Comuni della regione, ovvero l’81% (!), presentano criticità dal punto di vista idrogeologico ed il 27% risulta a rischio alluvione; 144 Comuni dell’isola, ovvero il 38%, non possiedono un vero e proprio “piano di emergenza”. Durante l’evento del 18 novembre 2013, che viene ricostruito nei dettagli grazie anche alla collaborazione ed alle interviste rilasciate da alcuni Sindaci dei paesi colpiti, tutto questo è stato complicato dalla mancanza di informazione sullo sviluppo delle precipitazioni. Le conclusioni della relazione sono chiare e vertono proprio su quest’ultimo punto focale. Ai Sindaci, e non solo a loro, è totalmente mancato il supporto tecnico-scientifico per comprendere al meglio lo sviluppo dei fenomeni e la gestione della possibile emergenza. Perché, come era ed è chiaro a tutti, il pericolo viene dalla montagna, oltre che dal cielo e dunque bisogna essere informati su ciò che sta accadendo nell’intero bacino imbrifero di riferimento. In definitiva, il sistema ha fallito e deve essere modificato perchè il territorio, già fragile di per sé, non può più essere abbandonato né gestito soltanto attraverso un semplice fax di “criticità elevata”.
Dunque, conclude Petrucci, il territorio deve essere difeso da un sistema di informazione che deve avere solide basi tecnico-scientifiche, con misure dettagliate di precipitazioni e caratteristiche idrologiche, in grado di verificare il momento esatto in cui, con un certo preavviso (stimabile anche in 3-4 ore), lanciare l’allarme per l’inizio di una “bomba d’acqua” in un determinato luogo (a monte del bacino idrografico) e, nel caso in cui le condizioni non migliorino, provvedere all’evacuazione delle zone a rischio idrogeologico (a valle). Un sistema in grado di fornire, H24 ed in tempo reale, anche in condizioni estreme, informazioni dettagliate e precise, quantificando precipitazioni ed altezze idrometriche, segnalando dunque lo sviluppo dei fenomeni minuto-per-minuto e collegando in pratica simultaneamente salvaguardia del territorio ed informazione: ovvero proprio ciò che è mancato il 18 novembre 2013 in Sardegna (e che ancora oggi manca in molte regioni d’Italia).
Dunque, un sistema di “monitoraggio idrogeologico immediato” di cui MeteoWeb ha già più volte parlato, grazie al fondamentale apporto del Prof. Franco Ortolani. L’aspetto fondamentale di questo sistema, a parte la sua immediatezza e semplicità di valutazione, sta anche e soprattutto nei costi: il report di Petrucci presenta anche alcuni esempi di progetto di monitoraggio idrogeologico per i bacini imbriferi interessati dall’ultima alluvione sarda, in particolare per i fiumi Cedrino, Posada, Sologo e Mogoro.
Ebbene, il dato economico che ne scaturisce è, per certi versi, sorprendente: con appena 250mila euro (legati all’installazione ed attivazione di una trentina di strumenti nei 4 bacini nonché al loro controllo tramite appositi sistemi di trasmissione a distanza e graficizzazione dei dati acquisiti) l’intera struttura potrebbe funzionare nel giro di pochi mesi e salvaguardare le vite umane, consentendo tempi di preavviso ed allarme ben più efficaci di quelli attuali. Un investimento sulla prevenzione che, a differenza di certi interventi faraonici dai costi esorbitanti e dai tempi infiniti (con le relative speculazioni), sembra avere pochi eguali nel rapporto salvaguardia-prezzo. I costi contenuti, l’affidabilità tecnico-scientifica del sistema, la garanzia di esercizio già mostrata da strutture analoghe in ambiti similari (www.laghi.net), la semplicità della piattaforma web e dei relativi grafici, la continuità temporale delle misurazioni (garantite anche in caso di blackout elettrici e di difficoltà di trasmissione telefonica) costituiscono i punti di forza del sistema di monitoraggio idrogeologico immediato che dovrebbe essere attuato non solo in Sardegna ma in tutte le aree a rischio idrogeologico del nostro paese.
Il report di Petrucci non si ferma qui perché se il monitoraggio idrogeologico è una conditio sine qua non per il controllo e la verifica delle precipitazioni, da solo non può comunque bastare nel contesto di un intervento più globale, duraturo e strutturale che consenta il non ripetersi di eventi alluvionali paragonabili a quelli del novembre 2013. Ed allora si devono attivare altre soluzioni per mitigare il rischio idrogeologico, valide non solo per la Sardegna ma più in generale per l’intero nostro paese: prima fra tutte la totale revisione della cartografia esistente (in diversi casi sono state inondate aree non considerate a rischio né dal PAI nè dal PUC) che costituisca le fondamenta di una nuova pianificazione urbanistica la cui parola d’ordine deve essere stop al consumo del suolo. La pulizia degli alvei rappresenta il fattore imprescindibile per un’efficace salvaguardia del territorio così come lo sviluppo di una più corretta informazione ai cittadini (in particolare sui comportamenti da evitare in caso di alluvione) e di una migliore cultura della prevenzione (da attuare in particolare nelle scuole) paiono gli strumenti più efficaci per contribuire alla mitigazione dei rischi per la popolazione. Al contrario, pur essendo teoricamente sviluppabili, la risistemazione idraulica e la delocalizzazione delle aree più a rischio rappresentano le soluzioni più difficilmente sostenibili dal punto di vista economico e per questo praticabili solo a lungo termine e con risultati tutti da verificare.
Se dunque l’alluvione sarda ha rappresentato una tragedia immane, conclude Petrucci, essa può, anzi deve, diventare anche un’occasione ed un simbolo per una “ripartenza” esemplare in cui fare tesoro degli errori commessi in passato grazie allo sviluppo di nuove metodologie di salvaguardia del territorio su cui impostare, finalmente, diverse e più efficaci politiche di intervento e mitigazione del rischio idrogeologico. In questo contesto decisivo e fondamentale pare il ruolo giocato dai geologi ed in particolare dall’istituzione del cosiddetto “geologo di zona”, per cui tanto si sta battendo il Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi Gianvito Graziano ed attraverso cui la gestione del territorio dal punto di vista ambientale dovrebbe finalmente essere affidata a personale esperto e qualificato, costituito in team multidisciplinari, in grado di identificare, “senza se e senza ma”, le priorità e i parametri principali per la salvaguardia del territorio. Se la Sardegna, prima fra le regioni d’Italia, riuscirà a coniugare rinascita con salvaguardia, potrà dire di aver vinto la sfida della tutela ambientale, rappresentando un nuovo paradigma per l’intero territorio nazionale. Altrimenti cittadini, tecnici e politica avranno perso un’altra battaglia.
Chi volesse ricevere gratuitamente il file della relazione “Progetto Cleopatra” può farne semplicemente richiesta alla redazione di MeteoWeb.