La pausa dal maltempo fa respirare, perché i terreni si asciugano (almeno superficialmente), e soprattutto perché si arrestano i fenomeni più pericolosi, come colate di fango, improvvisi distacchi di colline, eccetera. È infatti quando l’acqua scorre che le frane si muovono. Il ritorno del beltempo congela la situazione così com’è, ma non bisogna abbassare la guardia. I terreni difficilmente si asciugheranno in così pochi giorni, in un periodo dell’anno in cui le temperature (a parte l’anomalia di questi giorni particolarmente caldi) non sono alte, e in cui la durata del giorno è breve. L’arrivo delle prossime probabili precipitazioni potrebbe quindi riattivare i tantissimi fenomeni di dissesto che adesso sono quiescenti (in stand-by ), ma che aspettano solo l’arrivo di nuova pioggia per riattivarsi.
L’immagine di questi giorni è comunque quella di una zona d’Italia pesantemente colpita dal maltempo delle settimane scorse, e che attende con le dita incrociate il passaggio dei nuovi probabili fenomeni di maltempo, sperando che non si aggrivino situazioni locali di dissesto.
Il tutto mentre il piano di messa in sicurezza del paese richiesto da anni da geologi, gruppi di difesa del territorio, associazione di bonifiche, eccetera, resta un’utopia. La difesa dal rischio idrogeologico non è mai stata una priorità dei governi e non lo è stato neanche quest’anno. E così l’Italia si riempie di cartelli di pericolo, di birilli, di transenne, di strisce rosso-bianche per segnalare punti pericolosi, di toppe poco durevoli sulle voragini apertesi nelle strade, in attesa che arrivi la prossima tempesta, sperando che sia piccola e che vada tutto bene. Un paese rattoppato e con le dita incrociate.