Continua ancora oggi l’intensa attività esplosiva del vulcano Tungurahua ed è tutt’ora ben visibile la colonna di gas e cenere che si innalza al di sopra del suo cratere sommitale, per 3-4 km. Ampie zone limitrofe sono interessate dalla ricaduta del materiale più fine emesso e si trovano in una sorta di “notte vulcanica”, poiché le ceneri impediscono ai raggi solari di irraggiare la superficie terrestre.
L’attività in corso in questi giorni ricalca molto bene il comportamento tipico di questo vulcano, che recentemente sembra essere attivo in maniera intermittente, sin dal 1999; da allora si sono infatti susseguite violente eruzioni: una nel 2006, due episodi nel 2010, e poi nel 2011, 2012 e nel 2013. Da testimonianze storiche si evince che nel secolo passato l’unico ulteriore periodo di attività si è manifestato tra il 1916 ed il 1918. L’apparato del Tungurahua sorge in Ecuador e fa parte di un numerosissimo gruppo di vulcani appartenenti alla catena delle Ande, lungo la costa occidentale del Sud America. Al largo di essa si trova la Fossa Perù-Cile, che corre parallela alle montagne, nei pressi della quale si ha lo scivolamento in profondità della crosta oceanica della Placca di Nazca, al di sotto di quella sud-americana: è in questo contesto geodinamico che sorgono i vulcani che costellano la catena andinica. Il Tungurahua raggiunge i 5023 m s.l.m. e dista dalla città di Quito 135 km; la sua forma coincide con quella che ognuno di noi potrebbe avere di un vulcano, se ci venisse chiesto di disegnare il suo profilo su di un foglio. E’ alto e ha pendii piuttosto costanti e notevolmente inclinati, è dotato di un cratere centrale sommitale ed in definitiva assume la classica forma triangolare. Se lo osserviamo nel dettaglio, si può notare che però questo edificio vulcanico è stato costituito dalla sequenza di tre fasi costruttive, alternate tra loro da eventi di collasso calderico. Questa caratteristica ben si inserisce all’interno del comportamento tipico di uno stratovulcano, quale è poi effettivamente il Tungurahua, e come del resto sono i nostri famosi ed amati vulcani italiani: Etna, Vesuvio e Stromboli. Tutti loro si trovano in ambienti orogenici di subduzione, sono caratterizzati da pendii più o meno ripidi e presentano alternanza di fasi effusive ed esplosive, a causa di ostruzioni del condotto che collega il cratere con la camera magmatica, o per via di cambiamenti nel chimismo dei magmi emessi nei diversi periodi di attività. Generalmente l’emissione dei prodotti avviene dal cratere centrale sommitale, che di solito non si sposta di molto nel tempo, consentendo perciò all’apparato di accrescersi notevolmente in altezza. Le lave emesse dal Tungurahua sono andesiti e daciti, ovvero rocce vulcaniche con particolari composizioni chimiche, comunemente intese come rocce acide, caratterizzate da una maggiore viscosità rispetto alle lave basaltiche. L’attività di questo vulcano ha avuto inizio nel Pleistocene medio e si è impostata a partire da un basamento roccioso di origine metamorfica. La prima fase costruttiva (cioè di emissione di lave, scorie e ceneri che si sono poi accumulate nel tempo) si è protratta fino a 14.000 anni fa, epoca in cui si è verificato il primo collasso calderico. La seconda fase costruttiva si è impostata all’interno della depressione originata dal primo collasso ed è continuata fino a circa 3000 anni fa, quando invece ha avuto luogo il secondo evento calderico. Da quel momento in poi si è impostata l’attività che ha dato luogo all’attuale fase costruttiva.
La storia di questo vulcano è quindi un alternarsi continuo di periodi di emissione di ingenti quantità di prodotti, intercalati da fenomeni fortemente esplosivi ma sporadici, che distruggono l’edificio vulcanico e danno luogo a morgfologie calderiche. Queste sono strutture di collasso, generalmente di forma circolare e con fianchi ripidi; se il collasso è guidato dalle faglie e dalla tettonica della regione, si possono avere anche caldere non circolari (caldere vulcano-tettoniche). Le caldere non hanno al di sotto un condotto magmatico, come invece presentano le bocche eruttive, ma sono connesse direttamente al serbatoio magmatico. Si tratta in definitiva, di strutture “negative”, vere e proprie depressioni, che si contrappongono alla tendenza dei vulcani, ad accrescersi verso l’alto. La loro genesi è direttamente connessa ad eruzioni molto potenti, definite eruzioni pliniane: si tratta di fenomeni caratterizzati dalla presenza di una colonna eruttiva piuttosto alta e continuamente sostenuta dal basso, dal forte degassamento della porzione volatile dei magmi acidi, che risalendo verso il cratere, si separano dalla massa magmatica semi-liquida, si espandono (pensate a cosa accade quando stappate una bottiglia di spumante) e diventano così il motore principale dell’eruzione e la spinta fondamentale che alimenta e fa salire verso l’atmosfera, la colonna eruttiva. Quando il gas si separa dal liquido, si aggrega in bolle, che, in maniera molto violenta e rapida, tendono ad abbandonare la restante massa lavica; questo fa sì che il fluido si frammenti in piccolissimi pezzettini, e che quando questi vengono emessi dalla bocca eruttiva e sospinti in alto nella colonna, formino, solidificando, particelle molto piccole e diano origine alla cenere vulcanica.
Grazie alle loro ridotte dimensioni e al loro esiguo peso, sono in grado di essere facilmente trasportate sia verso l’alto che orizzontalmente, dando luogo quindi, nel momento in cui ricadono a terra per gravità, a depositi di cenere più o meno spessi, riconoscibili anche a notevole distanza dal cratere che le ha emesse (chiaramente anche il vento influisce notevolmente sulla dispersione areale delle particelle fini). In definitiva, queste violente eruzioni emettono in breve tempo un’enorme quantità di magma, svuotando velocemente il serbatoio magmatico. Questo fenomeno genera instabilità a causa della cavità che crea al di sotto dell’edificio vulcanico, che, non più sostenuto, collassa su se stesso.
In associazione alle eruzioni pliniane, e alle caldere, si verificano molto spesso flussi piroclastici. Sono nubi ad alta temperatura, dai 300 agli 800° C, costituite da una fase gassosa, dal materiale emesso durante l’eruzione stessa (cenere) e da una porzione litica, costituita dalle rocce strappate dal condotto magmatico durante la violenta risalita della lava. Si originano per il collasso della colonna eruttiva, quando cioè questa non è più sostenuta sufficientemente dalla spinta del degassamento magmatico, facendo sì che la gravità abbia il sopravvento sul motore dell’eruzione. Questo collasso forma perciò dei flussi che percorrono i fianchi del cono vulcanico, incanalandosi preferenzialmente nei bassi morfologici (valli, canaloni) presenti sulle pendici, e raggiungendo velocità che possono arrivare fino a 300 km/h.
Un simile fenomeno si è verificato anche durante l’attuale eruzione del Tunguruahua, in occasione di un temporaneo collasso della colonna. Le eruzioni pliniane sono manifestazioni saltuarie per questo vulcano, ma restano comunque una sua caratteristica peculiare e forse quella più affascinante. Generalmente la sua attività è di tipo stromboliano, quindi sì spettacolare, ma sicuramente non così potente. Osservando i dati di tutte le eruzioni del Tunguruahua (fonte Smithsonian Institute), si nota che l’indice di esplosività più frequente (VEI: Volcanic Explosivity Index) è il 3; il massimo VEI attribuito a questo vulcano, relativamente ad una delle sue prime attività, è 5. Il VEI permette di attribuire ad ogni eruzione un indice di esplosività grazie all’utilizzo di una scala logaritmica di valori che vanno da 0 (per eruzioni non esplosive), fino a 8 (per eruzioni colossali con colonne di cenere e gas alte fino a 25 km, come ad esempio avvenne nella Yellowstone Caldera, 600000 anni fa). Ogni valore corrisponde alla correlazione tra il volume di materiale emesso durante una specifica attività e l’altezza raggiunta dalla colonna, associata ad osservazioni qualitative.
Tornando all’eruzione del Tunguruahua tuttora in corso, l’Istituto Geofisico per la Protezione Nazionale dell’Ecuador (IGEPN) ha comunicato che attualmente la colonna eruttiva è sempre sostenuta e che la ricaduta di cenere interessa essenzialmente le zone a Sud del Tunguruahua. Dai dati geofisici e vulcanologici si prevede che l’attività esplosiva, accompagnata ad emissione di cenere e gas, si protrarrà ancora, ma che andrà scemando nel tempo, finché il vulcano avrà dissipato tutta la sua energia. Dunque, non ci resta che aspettare, restare in osservazione e ammirare (da lontano) gli sviluppi dell’attività di questo vulcano.