Continua a far discutere e scatenare polemiche l’argomento legato alla presunta “previsione” di un forte terremoto imminente nello Stretto di Messina o in generale al Sud Italia: ne abbiamo già parlato nei giorni scorsi con quest’articolo toccando con mano quanto l’argomento sia caldo e sentito. Alessandro Martelli, Presidente dell’associazione GLIS («GLIS – Isolamento ed altre Strategie di Progettazione Antisismica») e già direttore del Centro Ricerche di Bologna dell’ENEA, oggi pomeriggio ha fatto per l’ennesima volta chiarezza, rilasciando un’intervista radiofonica a RLB Radiolibera di Rende, che sara’ trasmessa nei prossimi giorni. In tale intervista ha ribadito, riassumendoli per esigenze redazionali, concetti noti da tempo, che nel seguito riportiamo in modo piu’ esteso.
“Anzitutto premetto che io sono un ingegnere sismico, non un sismologo. I sismologi – ha esordito Martelli – sono coloro che definiscono il movimento del terreno atteso durante un terremoto. A noi ingegneri spetta il compito finale: quello di fare in modo che le costruzioni, quando le realizziamo, siano in grado di resistere al terremoto, senza vittime e senza danni rilevanti, e quello, quando ne analizziamo di esistenti, di verificare se tali requisiti sono raggiunti. Le preoccupazioni sono state espresse dai sismologi triestini e russi; io, quale “parte interessata”, in considerazione della competenza di tali sismologi, mi sono limitato a trasmetterle all’opinione pubblica, perché ritengo essa debba essere informata. Se fossimo in Giappone, dove le strutture sono ben costruite, non mi preoccuperei più di tanto. Invece siamo in Italia, dove, purtroppo, come si è accertato anche in sede istituzionale (nel 2012, nell’ambito dell’Indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza sismica in Italia), oltre il 70% dell’edificato esistente (inclusi molti edifici strategici e pubblici, come scuole, ospedali ed anche impianti chimici a rischio di incidente rilevante) non è in grado di resistere ai terremoti ai quali potrebbe risultare soggetto“.
“Noto che – continua Martelli – parliamo di terremoti già avvenuti in passato, nelle diverse zone considerate, e che, pertanto, prima o poi ivi, con tutta probabilità, si ripeteranno. Talvolta si tratta di eventi “rari”, come quello che colpì l’Emilia nel 2012 (un evento simile non colpiva l’Emilia dal 1570), ma “raro” non significa impossibile. In base ai loro studi, i sismologi che ho citato, grazie ai risultati dei loro cosiddetti “esperimenti di previsione a medio termine”, ci avvertono che il “prima o poi” potrebbe non essere non tanto in là nel tempo. Circa la validità di questi studi, ricordo che, per il Nord Italia, l’allerta era stata comunicata alla Commissione Grandi Rischi il 1° marzo 2012 ed ivi confermata (alla mia presenza) in una riunione tenutasi il 4 maggio, cioè prima del terremoto in Emilia. Ricordo anche che, fino ad ora, “falsi allarmi” si sono verificati solo nel 30% dei casi“.
“Mentre i russi si preoccupano dei megaterremoti a livello planetario (a loro si devono i timori per un terremoto di magnitudo superiore a 7 in un’area che include Calabria Meridionale e Sicilia Orientale), i triestini – continua l’esperto – limitano i loro studi alla sola Italia e (in accordo con dati a loro disposizione) si allertano se tali studi indicano il possibile superamento di valori di magnitudo assai inferiore a quella presa a riferimento dai russi (5,6 per il sud). Questi studi sono effettuati analizzando periodicamente, in ciascuna delle aree geografiche italiane considerate, gli eventi sismici di entità significativa che lì si verificano (per il sud di magnitudo maggiore di 4,3), quindi non troppo inferiore a quella dell’evento ivi temibile (altrimenti sarebbe di poca validità qualsiasi estrapolazione). Per disporre di un numero sufficiente di eventi per le loro valutazioni (così come richiede qualsiasi analisi statistica), devono poi far riferimento a zone alquanto ampie: l’Italia è, pertanto, suddivisa dai triestini in tre sole parti: nord, centro e sud (anche se non esattamente coincidenti con le omonime aree della cartina geografica). Semplificando, i sismologi, nel monitorare questi eventi, procedono come chi si misura costantemente la febbre: quando notano uno strano picco, verificano, in base ad opportune modellazioni, se si tratta di un “raffreddore” ovvero possa temersi un inizio di “polmonite”. Se, esaminando i dati, presumono che possa trattarsi di un inizio di polmonite, scatta la loro “allerta”. Ovviamente, non possono azzardare ipotesi sul giorno esatto, e neppure su ristretto periodo di tempo, in cui tale “polmonite” potrebbe verificarsi: possono solo stimare che essa possa colpire in un periodo che va da qualche mese ad 1 o 2 anni. Cosiccome, avendo analizzato zone molto ampie, non possono azzardare ipotesi circa il luogo esatto in cui un terremoto maggiore dell’intensità temuta potrà verificarsi. Ovviamente, è poi possibile che si tratti di un falso allarme. Ma non è meglio un falso allarme (se motivato) rispetto ad uno trascurato?“
“In Italia – ha proseguito ancora Martelli – c’è una scarsissima percezione del rischio sismico, sia nell’opinione pubblica che (conseguentemente) nelle istituzioni (siamo noi che eleggiamo i nostri rappresentanti, come possono essere tanto migliori di noi?). È questo il motivo per il quale, non essendosi mai fatta una seria prevenzione sismica, si è accumulato l’enorme numero di costruzioni insicure che ho citato. Ormai le tecnologie per rendere le costruzioni sicure, come in Giappone, esistono anche in Italia. Applicarle ha ovviamente un costo, soprattutto per intervenire sull’esistente (ma anche la vita umana ha un valore, o no?). Però la popolazione, anche attraverso la paura suscitata dagli eventi di questi mesi (per non dire “grazie” ad essa), deve acquisire coscienza: molte cose le possono fare anche i singoli, verificando, ad esempio, la sicurezza delle loro case e quella delle scuole frequentate dai loro figli, sistemando le prime e pretendendo sicurezza per le seconde, nonché, se necessario, spostando i loro figli in edifici sufficientemente sicuri (alcuni ne esistono). I singoli possono poi spronare le istituzioni a fare il loro dovere (i politici ci tengono ai voti …)“.
“Le istituzioni – continua Martelli – dovrebbero fare il loro dovere, cioè attivare finalmente adeguate politiche di prevenzione. Nessuno ha scuse, perché, come ho sottolineato, le tecnologie atte a rendere sicura qualsiasi costruzione esistono. E non si accampi la scusa, per continuare a non far nulla, che la spesa da affrontare per sistemare l’edificato esistente è enorme: ciò è vero e nessuno pretende che essa sia affrontata tutta subito, ci vorranno 50-60 anni per rendere resistente al terremoto l’edificato esistente, ma, se non si comincia mai, il problema (morti e costi) sarà da noi quantomeno “regalato” alle future generazioni”.
“I costi della ricostruzione dopo un terremoto – conclude l’esperto – sono circa 5 volte maggiori della spesa che si sarebbe dovuta affrontare per rendere sicure le costruzioni prima del suo accadimento. Quindi, neppure la scusa dei costi non sta in piedi: un paese civile dovrebbe mettere a bilancio, ogni anno, una spesa per la prevenzione. E per stabilire dove cominciare a spendere, anche gli “esperimenti di previsione” dei terremoti potranno essere molto utili. Così come questi “esperimenti”, contrariamente a ciò che qualcuno va dicendo, sono utili anche nel medio termine: non certamente per evacuare per mesi ampie zone, bensì, ad esempio, per verificare l’adeguatezza delle strutture più importanti, per organizzare la protezione civile e per dare la necessaria informazione alla popolazione. Anche se il terremoto non dovesse avvenire nell’area allertata nei tempi temuti, non sarebbero mai soldi buttati, perché si salverà tale area (abitanti in primis) in futuro. E termino con l’informazione alla popolazione: è dovere delle istituzioni attivarla a tappeto e da subito“.