Il monte Ararat si trova nella Turchia orientale, al confine tra la regione dell’Agri e dell’Agdir, in un territorio brullo e arido che storicamente ha fatto parte dell’Armenia. Nell’immaginario collettivo questa montagna è connessa al mito dell’arca di Noè, che la Bibbia descrive essersi ancorata sulla sua cima, in seguito al diluvio universale scatenato da Dio per punire gli uomini, ed è proprio da qui che l’umanità avrebbe vissuto la sua seconda genesi. Da sempre molti esploratori, avventurosi e viaggiatori hanno cercato di individuare l’arca, sulle pendici di questa montagna: anche Marco Polo nel 1300 e l’astronauta James Irwin di recente, hanno tentato di reperirne i resti.
L’Ararat si trova in una posizione geopolitica molto delicata, poiché si colloca al confine tra Russia e Turchia, tra il mondo islamico e quello cattolico, e rappresenta quindi un punto strategico da un punto di vista geografico. Già di per se, la parola Ararat, contiene un contrasto, che si è tradotto in uno dei drammi più terribili del XX secolo: il genocidio armeno. Ararat nella lingua armena, significa “luogo creato da Dio”, mentre in turco, assume un significato opposto: “la montagna del dolore”. Il contrasto linguistico nasconde inoltre, quello presente tra le due etnie: quella turca e quella armena. Attualmente il monte si trova in territorio turco, ma in principio faceva parte del territorio armeno. Fu lo scoppio della prima guerra mondiale a segnare la tragedia di questo popolo, poiché i turchi, che erano entrati in guerra contro la Russia, non fidandosi della minoranza cristiana armena presente esattamente al confine con il nemico, decisero di intervenire radicalmente contro di loro, organizzando un vero e proprio sterminio. Nemmeno in tempi più recenti questa regione ha conosciuto la pace poiché teatro dello scontro tra Curdi e polizia turca. Per tutti questi motivi, la zona dell’Ararat è stata inaccessibile per moltissimo tempo, ed è tuttora oscura da un punto di vista scientifico.
Se in molti collegano l’Ararat al mito dell’arca di Noè, quasi nessuno sa che in realtà si tratta di un vulcano, e che rappresenta la vetta più elevata dell’intera Turchia. È per la precisione un vulcano strato, geograficamente distinto in Piccolo (3925 m s.l.m.) e Grande Ararat (5165 m s.l.m.), e fa parte di una estesa cintura di vulcani che si allineano lungo una direttrice ENE-SSO, della quale fanno parte anche gli apparati di Nemrud, Suphan e Tendurek, e che estendendosi per circa 70 km, parte dalla zona più orientale della Turchia (al confine con l’Armenia) e arriva sino al confine tra Turchia ed Iran, nella provincia magmatica dell’Anatolia occidentale.
Da un punto di vista tettonico, si colloca all’intersezione tra due grandi sistemi di faglie regionali: uno con andamento E-O riconducibile all’evoluzione strutturale della penisola anatolica, l’altro ad andamento NO-SE, riconducibile alla struttura geologica dell’Iran. Il Piccolo e Grande Ararat sono costellati da numerosi altri crateri, e tutti insieme costituisco un’area vulcanica enorme, che arriva a 1000 km quadrati. Siamo perciò di fronte ad un sistema di vulcani estremamente esteso e volumetricamente molto consistente, del quale però non si conosce quasi nulla e di cui la comunità scientifica internazionale non si è mai potuta occupare in maniera dettagliata. La scarsità di conoscenze geologiche dell’Ararat contrasta con il fatto che questo si trovi in una delle aree mondiali di maggiore interesse vulcanologico, in quanto connessa ad un contesto geodinamico molto particolare, legato alla chiusura del paleo-oceano Tetide.
Per gli scienziati si tratta di una situazione molto interessante perché è proprio in queste aree che una placca oceanica scompare lentamente tra due placche continentali; la crosta oceanica tende infatti a sprofondare al di sotto di quella continentale a causa del suo maggiore peso specifico, consumandosi progressivamente, via via che la subduzione procede. Quando si ha un consumo totale della placca oceanica, e le due placche continentali che la delimitavano entrano in contatto, si verifica ciò che tecnicamente viene definito “chiusura della Tetide”. Si verifica così il passaggio da un contesto geodinamico in cui le componenti in gioco sono sia di origine continentale che di origine oceanica, ad un contesto in cui si ha solo una componente continentale. Questo cambiamento geodinamico ha delle importanti ripercussioni sul tipo di magmatismo che si sviluppa in superficie, ed è per questo che per gli studiosi del settore, ambienti come questi, giocano un ruolo fondamentale nella comprensione dei meccanismi che legano la tettonica ai vari tipi di magmi emessi.
L’Ararat è un vulcano relativamente (da un punto di vista geologico) giovane, infatti la sua attività è iniziato 1.8 milioni di anni fa e sembra essere stato attivo fino a 10000 anni fa. Sappiamo talmente poco di questo vulcano, che non è ancora ben chiaro se esso sia attivo o meno: esistono però testimonianze storiche che riportano segnalazioni di attività recenti. Sembra infatti che nel II-III secolo d.C si sia verificata una potente eruzione esplosiva. Inoltre, da fonti scritte, si pensa che il forte terremoto di magnitudo 7.4 che sconvolse la Turchia orientale nel 1840, e che la popolazione descrisse essere accompagnato da una gigantesca frana che si staccò proprio dal Grande Ararat e che ne cambiò profondamente la morfologia, sia stata in realtà un’altra violenta eruzione di questo vulcano.
Dallo stato dell’arte appena descritto, appare evidente quanto sia avvolto dal mistero il monte Ararat e la sua attività vulcanica; non sappiamo quando e per quanto è stato attivo, che tipo di eruzioni abbia prodotto e quali composizioni abbia assunto il suo magma nel corso del tempo. Non siamo a conoscenza del suo effettivo comportamento e, in definitiva, non siamo in grado di definire la pericolosità di questo vulcano.
Il 2014 potrebbe essere la chiave di volta per studiare e comprendere l’Ararat, grazie alla realizzazione di una ricerca scientifica resa possibile grazie al progetto del CAI, Ararat2013. L’anno appena passato ha visto l’anniversario dei 150 anni dalla fondazione del Club Alpino Italiano, avvenuta a Torino nel 1863.
In questa occasione è stato ideato un progetto a scala nazionale per celebrare questo evento, ovvero, organizzare e accompagnare un gruppo di ragazzi del CAI giovanile in vetta al Grande Ararat, insieme ad un team scientifico tutto italiano. La spedizione avverrà il prossimo Luglio e vedrà la partecipazioni di scienziati specializzati in diverse discipline: saranno presenti glaciologi, botanici, microbiologi e geologi. Sarà compito di questi ultimi avviare un importante studio, a partire da una mappatura delle colate e delle diverse attività nel tempo, fornire datazioni sulle rocce vulcaniche analizzate, definire i periodi in cui il vulcano ha dato luogo ad eruzioni e analizzare le rocce da un punto di vista mineralogico e geochimico.
È proprio attraverso questo tipo di informazioni che i geologi possono ricostruire il corretto assetto geodinamico della zona e definire meglio il tipo di magmatismo di questo apparato vulcanico e seguire l’evoluzione dei prodotti emessi, al fine di caratterizzare il comportamento del vulcano e definire meglio il rischio connesso alla sua attività. In un certo senso sono in grado di svelare i segreti di un vulcano, a partire dallo studio dei suoi minerali e dalla composizione chimica delle sue rocce: in quest’ottica, minerali e rocce, sono per i vulcani, come il DNA per lo studio del corpo umano.
In attesa della spedizione di Luglio, auguriamo ai nostri scienziati un buon lavoro e una produttiva spedizione alla scoperta di un sistema vulcanico così misterioso e affascinante.